martedì 15 luglio 2014

Le scale di Dio: la scena del potere al tempo
di san Francesco.



Ai giorni nostri, la propaganda passa quasi tutta dal tubo catodico e l'architettura non fa (quasi) più paura.

Tutto il contrario era nel '200!

La Chiesa dei teocrati impose un'architettura verticista in cui i ministri di Dio, i sacerdoti che officiavano messa, erano sopraelevati e irraggiungibili, non solo per la plebe.

Alle famiglie che potevano permettersi la proprietà di una panca era concesso sì di assistere al rito eucaristico nelle prime file, ma dal basso (!). Ai piedi della piramide.


San Francesco, il predicatore laico che si sporcava le mani coi lebbrosi e animava riti scabrosi in odore di paganesimo nel contado, con la sua rivoluzione 'sordida' poté ben poco contro lo strapotere della casta sacerdotale.
Per farsene un'idea è il caso di dare una letta al Testamento del Poverello, che la Curia si preoccupò di divulgare subito dopo la sua morte.

« Poi il Signore mi dette e mi da una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. » (ff 112-113)

Quanti sospetti vengono leggendo queste righe!

Perché Francesco, o chiunque abbia redatto il testo, si preoccupò con tante sottolineature di ribadire che mai e poi mai sarebbe venuta meno la sottomissione ai suoi signori, i sacerdoti?

Perché mai scrivere che sarebbe rimasto sottomesso ai sacerdoti, anche in caso di persecuzioni subite?

Viene (un po') il dubbio che la condotta del santo nei confronti dei sacerdoti non sia stata sempre inappuntabile.


Niente male l'abside sopraelevata dell'abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria o la scalinata che svetta nella deliziosa chiesetta di San Michele Arcangelo e a San Silvestro [vedi sopra].

Un altro esempio notevole del potere detenuto dalla casta sacerdotale si trova all'abbazia di San Bartolomeo a Camporeggiano (vicino Gubbio).

Nostalgia della Chiesa dei teocrati?


Nota bibliografica ---

Ho trovato un solo libricino che tratti specificamente, e per una manciata di pagine, delle due chiese di Bevagna:
Giovanna Mencarelli, Le chiese di San Michele e San Silvestro di Bevagna, Edizioni dell'Ente Rocca di Spoleto, 1980.

Di seguito, la copertina del volume da me consultato presso la francescana Biblioteca Oasis di Perugia...

venerdì 20 giugno 2014

San Francesco a Perugia: una storia violenta.



Gli stereotipi fanno male, specie quando sono le fonti oculari a smentirli.

Francesco d'Assisi era un serafico pacificatore?
A leggere un agiografo che visse i fatti storici, come Tommaso da Celano, viene qualche dubbio.

Il Celano ci racconta un episodio che sembrerebbe un vero scheletro nell'armadio nella vita del Poverello.
Almeno per noi, che siamo abituati all'icona melensa del santino e a non fare più i conti con un uomo politico in carne ed ossa, un uomo iroso e vendicativo.

Siamo tra il 1214 ed il 1217, quando frate Francesco decise che era giunto il momento di 'vendicare' la prigionia subita diversi anni prima come soldato per mano degli odiosi cavalieri perugini.

« Alcuni giorni dopo il padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con voce di pianto: "I perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini [n.d.a. la guerra tra Perugia e Assisi] e il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada".

Attese alcuni giorni, poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia.

[...]

Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno. E poiché i cavalieri impedivano l'ascolto della parola di Dio, giostrando secondo l'uso ed esibendosi in spettacoli d'arme, il santo, molto addolorato, li apostrofò: "O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello.

[...] Ebbene, vi dico: non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete istruiti dallo sdegno giacché nulla avete imparato dalla benevolenza"
. »

Nel passo citato, è interessante notare come l'agiografo prima racconti che il gesto di Francesco fu premeditato ["si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada"], poi attribuisca la predica velenosa del Poverello alla cialtroneria dei cavalieri perugini che gli giostravano intorno.

Il racconto così si conclude...

« Poco tempo dopo scoppia la contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali l'atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati. »


Nota al testo ---

➔ Il passo citato è tratto dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano -ff 622.

sabato 7 giugno 2014

Tre diaboliche civette ad UmbriaLibri...


L'immagine qui sopra è un'incisione dei primi dell'800 raffigurante la medievale Porta Trasimena di Perugia.
Perché c'interessa tanto?

C'è qualcosa che si lega a questa porta e che va ben oltre la cartolina turistica.

A Porta Trasimena, ancora nei primi decenni del '900, si appiccavano di notte i roghi dei cuscini affatturati. Bruciare le piume dei cuscini infatti, per un'antica tradizione della stregoneria contadina, era come bruciare il malocchio che le piume portavano con sé.

La superstizione risaliva al medioevo e ancora più addietro, al mondo romano: si credeva che i crocicchi delle strade fossero dei luoghi infausti in cui evocare il demonio o Ecate dalle tre teste, la dèa a cui un tempo erano associate le streghe. Con la cristianizzazione, molti crocicchi posti sotto la protezione della dèa Ecate furono consacrati alla Vergine, con l'erezione di edicole votive di cui a Perugia è rimasto un ottimo esempio appena fuori Porta Eburnea [sotto].

Gli antichi credevano che le streghe confezionassero i loro malefici legandoli alle piume degli uccelli; in latino l'analogia fonetica tra le piume (pennae) e le pene (poenae) era ricorrente e tale rimase nelle tradizioni della vecchia stregoneria italiana.

Cosa c'entra tutto questo discorso fumoso con la filastrocca delle Tre civette sul comò?

Se volete saperlo, vi aspetto a Perugia venerdì 13 alle ore 18:00 presso la Sala della Giunta a Palazzo della Provincia in piazza Italia!

Che giorno poteva essere meglio di un venerdì 13 per parlare di stregoneria e malefici?!

martedì 20 maggio 2014

Il maleficio delle Tre Civette.


« Ambarabaciccìcoccò
Tre civette sul comò
Che facevano l'amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabaciccìcoccò
»

Il contenuto di questa filastrocca popolare è ben più truce della sua parvenza giocosa!

Capirne il senso non è semplice perché il pubblico a cui, un tempo, essa era rivolta non esiste più, così come non esiste più quell'intrico di superstizioni contadine che spingeva il popolo a credere nei malefici delle streghe, e ad insegnarli ai più piccoli attraverso delle canzoncine.


Fino all'avvento della rivoluzione industriale, che spinse milioni di persone ad abbandonare il contado, nelle campagne pullulavano i cacciatori di streghe: uomini convinti che le streghe possedessero animali come le civette o i gufi per causare malattie mortali o per far perdere la verginità alle ragazze più coscienziose del villaggio.

Matthew Hopkins, il più sanguinario cacciatore di streghe dell'Inghilterra puritana, in un libro descrisse le pratiche delle streghe e il modo per estorcere loro confessioni scabrose negli interrogatori.
Nell'illustrazione che campeggiava sul frontespizio del suo Trattato, 'The Discovery of witches', edito nel 1647, Hopkins è ritratto al centro della stanza nel momento in cui due donne, le presunte 'streghe', confessano i nomi diabolici degli animali posseduti!


La cantilena delle Tre civette insegnava ai bambini, per filo e per segno, non solo i delitti di cui un tempo si macchiavano le streghe, ma anche l'identità dei loro agenti segreti, e perfino la formula magica che attivava i loro incanti:
Ambarabaciccìcoccò.


Gli animali posseduti venivano trasformati dalle streghe in aitanti giovani, ed entravano a contatto con le pulzelle da corrompere, soprattutto nelle feste comandate:
quando era facile, anche per le ragazze più devote del villaggio, cadere nel peccato di fornicazione.

Nei verbali dei processi alle streghe, dal XIV al XVII secolo, si trovano molti di questi casi che ho raccolto, per dare un volto ai protagonisti della filastrocca...


Post sulla formula Ambarabaciccìcoccò e sul significato magico della conta ---

La magia della conta: come annullare le streghe.

Post sui poteri magici della filastrocca An-ghin- ---

« An-ghin-gò / Tre galline e tre capò ». I poteri del numero TRE in una filastrocca.

giovedì 1 maggio 2014

I dèmoni che vide san Francesco:
due mascheroni demoniaci
alla Pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi


Come s'immaginavano i dèmoni, nel MedioEvo?

Invito a fare due passi alla Pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi, accastellamento vicino alle carducciane Fonti del Clitunno.


La Pieve dista appena un chilometro dal borgo di Castel Ritaldi e sorse intorno all'anno Mille (la prima data certa è il 1066, quando la chiesa fu annessa al capitolo della cattedrale di Spoleto).

Come altre pievi, oggi ha perso ogni importanza ed è raro trovarla aperta, ma fino al 1828 questa era addirittura la chiesa parrocchiale di Castel Ritaldi.

Secondo Mario Sensi, San Gregorio nel MedioEvo era il vero centro economico e religioso di tutto il territorio. Ciò che campeggiava sulla facciata della chiesa era, diremmo noi oggi, 'sotto gli occhi di tutti'.

A cominciare dal portale, un delizioso romanico spoletino con un intrico di tralci d'uva che scaturisce dalla bocca del leone, entro cui Sansone doma la belva aprendone le fauci a mani nude (notare la scritta Leo et Sanson che corre sulla formella!).

Ma ciò che si trova sopra il portale è, di gran lunga, la vera chicca.


Due dèmoni incombono, con le relative iscrizioni che li nominano: PAMEA e GENOPHALUS INFERUS.
I due dèmoni sono fronteggiati dai profeti Geremia ed Ezechiele, che li controllano a vista. Il tutto era sormontato dalle raffigurazioni dei quattro Evangelisti di cui è rimasta solo l'Aquila di Giovanni.


L'interpretazione di questi due mascheroni ci pone (più di) un dubbio.
Da dove vengono?
Sono due teste di reimpiego?
Facevano parte già in origine della facciata?

Di una cosa (sola) possiamo essere certi: i dèmoni che tormentavano il popolo superstizioso che acclamò san Francesco, erano (molto) simili a questi!


Bibliografia ---

➔ Il primo ad aver citato la Pieve con tanto di Prospetto fu l'architetto Ugo Tarchi nella sua monumentale opera L'arte nell'Umbria e nella Sabina, volume II, Tav. CXXXV, Fratelli Treves, 1937.

Tre comuni rurali e i loro statuti, Nota Introduttiva a cura di Mario Sensi, XXXI, Perugia, Editrice Umbra Cooperativa, 1985.

Bernardino Sperandio, Chiese romaniche in Umbria, Quattroemme, Perugia 2001, pp. 54-55.

domenica 13 aprile 2014

Sant'Apollonia: una santa cavadenti al Tempietto di San Michele a Perugia...

Il campionario dei mostri cristiani non finisce mai di stupirci.

Al tempio di San Michele Arcangelo di Perugia, deliziosa chiesetta paleocristiana, si è conservata una delle poche raffigurazioni medievali superstiti di Apollonia da Alessandria, la santa cavadenti.


Questo ex-voto, realizzato da un Anonimo pittore locale, ci consente di spiegare una volta di più la natura tutta pagana del culto tributato ai santi nei primi secoli del Cristianesimo.

Chi commissionò la pittura nel Trecento doveva avere qualche problemino d'igiene orale se rivolse le sue suppliche a sant'Apollonia, che secondo gli Acta Sanctorum sarebbe stata martirizzata nel terzo secolo proprio cavandole uno ad uno i denti, ragion per cui la Chiesa la elesse santa patrona dei dentisti.

L'assurdità di questa storia ci permette di schiarirci meglio le idee sulla concretezza storica di molti santi leggendari dei primi secoli, spesso inventati di sana pianta per venire incontro ai bisogni materiali di una gran massa di fedeli.

In effetti, che bisogno c'era per un devoto di continuare a rivolgersi ai vecchi dèi pagani, quando la Chiesa aveva creato una sfilza di santi ausiliatori per ogni evenienza?
San Cristoforo contro la lebbra, sant'Acacio contro l'emicrania, santa Margherita di Antiochia contro i dolori del parto...

Per chiudere, una curiosità ancora la merita questa santa cavadenti patrona degli igienisti dentali.

Nel Settecento Papa Pio VI provò a dare un minimo di attendibilità al culto di santa Apollonia, forse per combattere chi di questo culto cominciava a dubitare.
Dopo essersi fatto spedire tutti i denti attribuiti alla santa in giro per l'Europa, si rese conto che per contenerli ci voleva una cassetta da 3 chili.

Pare che i denti sacri siano stati gettati senza troppi complimenti nel Tevere.

P.s. qui sotto, gli attrezzi del 'mestiere' in mano alla santa così come si vedono nell'affresco...

venerdì 21 marzo 2014

Mostri cristiani: unaTrinità tricefala alla Biblioteca Augusta di Perugia...

Fa sempre comodo avere un bibliofilo per amico.

Riccardo Strappaghetti, il bibliofilo in questione, mi ha suggerito un'altra traccia preziosa per ricomporre il mosaico della superstizione popolare in Umbria...


In un libro sulle Memorie storiche di Corciano, stampato nel 1902, a pagina 100 si fa menzione di una tipica chiesetta del contado che insisteva sulla strada per Magione, con una pittura devozionale alquanto 'bizzarra' al suo interno.

"Altra chiesa di Santa Maria in Via, sulla strada provinciale per Magione, vocabolo Terraioli, che ora non esiste più. Era grande e vi si osservavano pitture molto antiche e, fra le altre, una in cui era la Trinità, bizzarramente espressa, in una sola testa con tre facc(i)e, simile a quella che può vedersi in un codice dantesco, del secolo XIV, esistente nella Biblioteca Comunale di Perugia."


La curiosità era tanta: sono andato subito a cercarmela, questa Trinità mostruosa a quattro occhi!

Il codice è certamente uno dei più preziosi rimasti alla Biblioteca Augusta di Perugia dopo le spoliazioni pontificie. La miniatura raffigura l'ingresso di Dante in Paradiso, accompagnato da Beatrice, la quale gli consente la visione dell'Eterno...


Su un fondo oro raffinatissimo, con un complesso intrico floreale, svetta questa testa a tre facce incorniciata in una sfera celeste.

Come avevo già spiegato nel mio libricino, Il culto proibito della Dèa, raffigurazioni di questo genere furono popolarissime per tutto il MedioEvo e incentivate dalla Chiesa, perché consentivano di mostrare Dio in una veste paganeggiante molto familiare al volgo che serbava memoria delle antiche divinità bifronti e trifronti.

Quando Lutero accusò i cattolici italiani di superstizione e idolatria, il Concilio Tridentino corse ai ripari cancellando la maggior parte di queste pitture. Ad oggi poche sono sopravvissute fino a noi. Così certo non è stato per l'immagine della Chiesa di Santa Maria in Via, demolita poco prima che il libro sulle Memorie Storiche di Corciano la menzionasse.

Che dire di più?

Grazie a Riccardo per avermi consentito di fare questa piccola -e inaspettata- scoperta...


Nota al documento ---

Per chi desiderasse vedere coi propri occhi il codice dantesco - nelle biblioteche pubbliche è concesso questo privilegio! -, la segnatura è ms. B 25 e la miniatura si trova alla carta 113r.