martedì 9 dicembre 2014

Nel regno della Dèa:
dalle feste Hilaria alla Madonna Ilare

Talvolta anche il libretto che tratta la storia di un paesino sperduto nasconde dei riferimenti sorprendenti.

Vi ricordate l'Abbazia di San Silvestro?
A settembre avevamo parlato dei culti di fertilità connessi alle sue acque prodigiose.

I monaci di San Silvestro si spinsero ben oltre.

Leggiamo ciò che scrive Virgilio Sampalmieri a proposito di una chiesetta nascosta nella boscaglia alle pendici del monte Subasio: la chiesa della Madonna Ilare.


A sud di Collepino, fra gli uliveti, c'è un'antichissima chiesetta chiamata "Madonna Ilare", in dialetto "Madonna d'Illera". È una delle tante cappelline che i monaci di San Silvestro avevano fatto costruire per comodità di pastori, coloni, operai.
La prima notizia di questa chiesetta l'abbiamo nell'inventario di tutte le chiese ordinato da Mons. Mario Maffei nel 1773 in cui è segnata con il nome di S. Maria dell'Ilare.


[...]

In questa chiesa la gente di Collepino si recava in processione la sera di Pasqua, portando lo stendardo della Madonna ed il Crocefisso, cantando la seguente lauda:

Vergin celeste e pura
Che fosti preservata
E sempre immacolata
Ricordati di me.


Madonna Ilare: da dove viene questo strano epiteto?

Certo non dall'affresco che si trova all'interno del santuario [a fianco] né dalle edicole votive sparse nei dintorni [sotto].




Quello della Madonna, tutto è tranne che un sorriso a 32 denti!
E forse non è nemmeno un sorriso.


Sampalmieri nota:

Ufficialmente il nome della chiesina è "Madonna Ilare", in dialetto dell'Illera, Illora o Illula. Queste incertezze nella pronuncia ci fanno supporre che il nome derivi da un'antica festa pagana in onore della dea Hilaria, madre di tutti gli dei, che veniva celebrata nei boschi durante l'equinozio di primavera. Quando la Chiesa cristianizzò le varie feste pagane, la sostituì con la festa della Madonna madre di tutti i cristiani; il nome Hilaria potrebbe essersi trasformato in Ilare*.

Nell'antica Roma, secondo Macrobio**, le feste Hilaria si celebravano all'Equinozio di Primavera, il 25 marzo, in onore della dèa Cibele che a partire da quella data con l'allungarsi delle ore di luce consentiva la rinascita della Natura.

Da ciò viene il nome della festa, hilaris, cioè gioioso, come i suoi devoti che si preparavano con sette giorni di digiuno e astinenza ai festeggiamenti.

Come è noto, la Pasqua si calcola sul primo plenilunio successivo all'Equinozio di Primavera.

È troppo pensare che quelle processioni alla Madonna Ilare fossero una sopravvivenza delle antiche onoranze a Cibele?

Nel dubbio, Dio salvi i vecchi libretti come questo!

Note - - -

*Cfr. Virgilio Sampalmieri, Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni, Armenzano, Spello, 1988, pp. 31-34.

** " Quern diem Hilaria appellant, quo primum tempore sol diem longiore nocte protendit. " Cfr. Macrobio, Saturnali, Liber I, 21.

sabato 18 ottobre 2014

Da san Francesco a Cappuccetto Rosso: il culto apotropaico del Lupo


All'inizio del MedioEvo sull'Europa incombeva una minaccia: il lupo.

Con il crollo dell'Impero Romano le città si svuotarono, le strade caddero nell'incuria: la boscaglia prese il sopravvento.

Allontanarsi dal centro abitato era un pericolo, i lupi agitavano il sonno dei contadini così come quello dei mercanti. Nessuno si sentiva al riparo. Perfino i Vescovi organizzarono battute di caccia per sopprimerli.


« Carlo Magno dovette creare dei funzionari appositi per la caccia dei lupi, che vennero chiamati lupari.
[...]
Il pericolo esisteva, grave al punto che, trascorsi alcuni secoli dall'inizio del Medioevo, quando la pubblica amministrazione si organizzò in forma più rigida ed efficace, la caccia al lupo divenne compito dello stato che se ne sentiva investito. Gli stessi vescovi organizzavano grandi battute di caccia all'animale e ne facevano strage.

Il nome "Lupo" era dato con frequenza alle persone, uomini e donne; grande era il valore totemico e sacrale che il lupo rivestiva presso le popolazioni germaniche e di altre stirpi. Le danze sacre che scandivano l'inizio delle battaglie vedevano i guerrieri incappucciati con la testa del lupo, dell'orso e di altre bestie selvagge. I nomi più frequenti dei guerrieri erano: "Elmo di lupo", "Elmo d'orso". » [1]

Il bandito che Francesco d'Assisi convertì tra i dirupi della Verna era soprannominato Fra Lupo per la sua ferocia.

Ma lo stregone di Assisi s'imbatté anche in un lupo vero, e a Gubbio se ne conserva una traccia ai limiti dell'immaginazione.


Alla chiesetta di San Francesco della Pace si trova collocato a mo' di altare il masso su cui –udite, udite- Francesco ammansì il terribile lupo di Gubbio, come ci raccontano un affresco conservato a Pienza [sopra] ed un famoso brano dei Fioretti...

« Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado di Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere [...] »


Non appena il lupo si avventò sul nostro stregone, bastò a Francesco un segno di croce per trasformarlo in un docile cagnolino.

« Mirabile cosa a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. »

A quel punto lo stregone di Assisi si mise a parlare con il lupo e strappò alla bestia la promessa di non terrorizzare più nessuno.

« E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E santo Francesco sì dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare". E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. » [ff 1852]

Una volta morto il lupo, la sua carcassa fu oggetto di culto, tanto è vero che nell'Ottocento la si ritrovò coperta da un sarcofago, conservato oggi come una reliquia nella cripta della chiesetta...


In Cappuccetto Rosso, invece, è necessario l'abbattimento del lupo.

Pierre Saintyves sostiene che l'uccisione del lupo ad opera del cacciatore nel racconto non sia un escamotage letterario, ma il retaggio di precise cerimonie apotropaiche in cui ci si propiziava la caccia al Lupo.
Saintyves scrisse che l'antenato del lupo di Cappuccetto Rosso era nientemeno che Fenrir. [2]


Nella mitologia norrena il lupo Fenrir è un terribile dio che abita le paludi ed è dotato di un'intelligenza fuori dal comune, tanto da essere in grado di parlare.
Vi ricorda qualcosa?

"Nonna nonna, che occhi grandi che hai..."
"È per guardarti meglio, bambina mia."

Fenrir è così astuto e così forte che l'unico in grado di affrontarlo con coraggio è il dio della guerra Týr [sopra], brandendo il suo spadone.

Dall'agiografia alla fiaba: un mito per un altro mito.


Un post sulle bestie capaci di comprendere la lingua umana:

Cacciatori: attenti allo Spirito del bosco.


Un post sul Lupo guaritore nella devozione cristiana:

Animali Totem il culto apotropaico di san Lupo.


Nota all'immagine ---

_L'affresco, in apertura del post, con san Francesco che stringe un 'patto' sciamanico con il lupo è opera di Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, dalla chiesa di San Francesco a Pienza, fine del XIV secolo.

⮩ Cfr. Sara Mammana e Roggero Roggeri, Cristoforo di Bindoccio, Meo di Pero e il ciclo Francescano di Pienza. Rarità iconografiche e nuove scoperte, p. 27 in Centro Studi Pientini.


Note al testo ---

[1] Vito Fumagalli, L'alba del Medioevo, Il Mulino, Bologna 1993,
pp. 73 e 75.

[2] Paul (!) Saintyves, Cappuccetto Rosso, reginetta di maggio, in Cappuccetto Rosso: una fiaba vera, a cura di Stefano Calabrese e Daniela Feltracco, Meltemi, Roma 2008, pp. 60-61.

mercoledì 3 settembre 2014

Le portentose acque dell'abbazia di San Silvestro sul monte Subasio


Francesco d'Assisi deve (quasi) tutto ai monaci.

Gli oscuri riti della fertilità che portò in giro per le campagne, si praticavano già da secoli all'ombra dei monasteri.

Facciamo un salto all'antica abbazia di San Silvestro sul monte Subasio.

L'abbazia emerge dalla boscaglia tra i tornanti che dal paese di Collepino raggiungono la vetta.


A dire il vero, dell'abbazia non è rimasto molto, eccetto la chiesetta ed una (preziosissima) fonte.


Ma nel MedioEvo questo piccolo baluardo faceva gola: i monaci di San Silvestro controllavano solo a Spello qualcosa come 92 appezzamenti di terra.

Piatto ricco, al punto che Papa Alessandro III nel 1178 con la Bolla Religiosam vitam mise l'abbazia sotto la Sua tutela.

Finché i monaci non caddero in disgrazia, e tutto quel ben di Dio finì nel mirino delle loro dirimpettaie e rivali, le monache del monastero di Vallegloria.

Nell'agosto del 1236 papa Gregorio IX decise che era giunto il momento di porre fine allo strapotere di San Silvestro e diede ordine al vescovo di Spoleto di sopprimerla.

Seguirono poi devastazioni e rovina: dell'imponente monastero non rimase che un mucchietto di pietre...


Eppure la chiesa continuò ad essere mèta di numerosi pellegrinaggi.
In una visita pastorale del Vescovo di Foligno ai primi del '900, Felice Benedetti raccontava:

« [...] non vi sono santuari, ma dalla continua affluenza dei fedeli che accorrono o mandano a s. Silvestro può dirsi impropriamente santuario.
Vi accorrono i mammiferi, sì animali ragionevoli che irragionevoli, quando sono privi di latte vengono o mandano e bevendo di quell'acqua gli ritorna il latte
. »

Stesso tono in un'altra fonte più antica, risalente ad una visita del 7 giugno 1868.

« Quello che lo rende anche più importante è la divozione che riscuote specialmente dalle donne che senza interruzione vi traggono da ogni parte per ottenere a intercessione del santo continue grazie bevendo l'acqua denonimata di s. Silvestro. »

Ma i poteri di San Silvestro non si limitavano a questo!


Scendendo nella cripta si distinguono nell'oscurità tre colonne: avanzo di qualche tempio romano di cui si è persa la memoria.

La colonna centrale ha il capitello corroso dalle mani dei fedeli, che per secoli lo toccarono con la speranza di guarire dal male delle ossa!


I monaci dell'abbazia sapevano bene che le loro fortune dipendevano dai poteri taumaturgici del santuario.

Lo sapevano così bene che fecero dipingere una grande
Madonna con Bambino sull'abside per rassicurare le migliori clienti di Silvestro: le puerpere a cui mai doveva mancare il latte
!



Note al testo ---

Le notizie storiche inerenti all'abbazia sono riprese da due testi:

_ Guida di Spello, a cura di Venanzo Peppoloni e Corrado Fratini, 1978, p. 117.

_ Notizie sui castelli di Collepino, S. Giovanni , Armenzano, Virgilio Sampalmieri, Spello, settembre 1988, pp. 36-37.

I testi sulle visite pastorali invece sono ripresi da:

Mario Sensi, Visite pastorali nella diocesi di Foligno, Macerata 1991, pp. 177 e 235.

lunedì 4 agosto 2014

Lo darò al diavoletto / Che lo tiene un mesetto: cantilene stregate.


« Chi fa la spia
non è fijo de Maria,
non è fijo de Gesù;
quanno more va laggiù:
va laggiù da quel buchetto
dove c'è il diavoletto.
»

Di questa canzoncina raccolta nel contado di Assisi, esistono decine di versioni in tutto lo stivale.

Spaventare i bambini con lo spauracchio del diavolo è stata per secoli la pratica educativa più diffusa.

Il ricorso al demonio non era tanto un antidoto escogitato dalle madri per garantirsi la tranquillità domestica, ma nascondeva dei veri scongiuri apotropaici.

Scongiuri di cui abbonda perfino la storia dell'Arte.
Diamo uno sguardo ad un gonfalone processionale dipinto a metà del '400 da Benedetto Bonfigli...


Nel dettaglio, il popolo orante segue con tanto di trombettieri una cerimonia officiata dal vescovo: la benedizione dei ceri votivi.

Un bambino dispettoso sbuca sotto la tunica di una suora, e tenta di rubacchiare un cero.
Niente di più grave!

Il pittore dipinge sulla sua tunica un diavoletto nero con un ammonimento severissimo: serva da lezione a tutti i bambini che, come lui, seguiranno la processione dietro al gonfalone:

"Fura che serai apeso!"

Ma un'iconografia, più di tutte le altre, funzionava da ammonimento per i bambini impenitenti e per tutte quelle madri che aspettavano troppo a battezzarli: la Madonna del Soccorso.


Questo dipinto, realizzato da Domenico di Zanobi e custodito alla Basilica di Santo Spirito a Firenze, ci mostra una Madonna che più castigatrice non si può: prende a randellate un diavolo sotto gli occhi atterriti del bambino in pericolo.

La madre, supplice, invoca la clemenza della Vergine affinché allontani l'orrido diavoletto dal figlio indifeso...



Per secoli si credette nell'Italia contadina che i bambini non battezzati venissero rapiti dalle streghe, che poi li portavano ai loro sabba notturni per darli in pasto ai demoni.

Non parliamo poi delle leggende diffuse nel profondo nord tedesco!

Nella mitologia germanica si credeva nel Zodawascherl, un bambino vestito di stracci, morto prematuramente senza battesimo, che seguiva il corteo notturno guidato dall'anziana dèa Percht. [1]

Questo bambino straccione era l'unico a cui non spettasse mai un pasto quando i contadini all'Epifania apparecchiavano le loro tavole per sfamare Percht ed il suo corteo demoniaco.

Se non ne avete abbastanza di canzoncine stregate, la storia continua con altre immagini nel libro:
Tre civette sul comò: storia di un maleficio.


◉ Sulle streghe responsabili degli infanticidi, vedi:

Le streghe e gli aborti: il Noce che rende libere.


Note alle immagini ---

_In apertura, una miniatura del monaco inglese Matthew Paris, con un bambino ghermito dal diavolo.
Il disegno è tratto dal manoscritto MS 016, folio 65v.
L'Opera contiene la Chronica maiora II, ed è conservata nella Parker Library al Corpus Christi College di Cambridge: il manoscritto si può sfogliare, integralmente, nel sito inglese della biblioteca.

_Il gonfalone del Bonfigli si trova ampiamnte citato nel catalogo:
Un pittore e la sua città: Benedetto Bonfigli e Perugia, Electa, Milano 1996, p. 152.


Nota al testo ---

[1] « Zodawascherl/Honawascherl: Nome del tredicesimo bambino della corte notturna di Percht.
È un bambino morto senza battesimo, che si trascina nel corteo portandosi una brocca piena di lacrime.

Quando, la notte dell'Epifania, i bambini apparecchiano una tavola per Percht e il suo gruppo, vi sono solo dodici posti, sì che quando arriva lo Zodawascherl non gli rimane più nulla.

Il nome è formato dai termini dialettaliche significano "stracci" e "trascinarsi" o "restar dietro"; lo si può quindi tradurre "Lo straccione che resta dietro"
. »

Cfr. Claude Lecouteux, Dizionario di mitologia germanica, Argo, Lecce 2007, p. 271.

martedì 15 luglio 2014

Le scale di Dio: la scena del potere al tempo
di san Francesco.



Ai giorni nostri, la propaganda passa quasi tutta dal tubo catodico e l'architettura non fa (quasi) più paura.

Tutto il contrario era nel '200!

La Chiesa dei teocrati impose un'architettura verticista in cui i ministri di Dio, i sacerdoti che officiavano messa, erano sopraelevati e irraggiungibili, non solo per la plebe.

Alle famiglie che potevano permettersi la proprietà di una panca era concesso sì di assistere al rito eucaristico nelle prime file, ma dal basso (!). Ai piedi della piramide.


San Francesco, il predicatore laico che si sporcava le mani coi lebbrosi e animava riti scabrosi in odore di paganesimo nel contado, con la sua rivoluzione 'sordida' poté ben poco contro lo strapotere della casta sacerdotale.
Per farsene un'idea è il caso di dare una letta al Testamento del Poverello, che la Curia si preoccupò di divulgare subito dopo la sua morte.

« Poi il Signore mi dette e mi da una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. » (ff 112-113)

Quanti sospetti vengono leggendo queste righe!

Perché Francesco, o chiunque abbia redatto il testo, si preoccupò con tante sottolineature di ribadire che mai e poi mai sarebbe venuta meno la sottomissione ai suoi signori, i sacerdoti?

Perché mai scrivere che sarebbe rimasto sottomesso ai sacerdoti, anche in caso di persecuzioni subite?

Viene (un po') il dubbio che la condotta del santo nei confronti dei sacerdoti non sia stata sempre inappuntabile.


Niente male l'abside sopraelevata dell'abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria o la scalinata che svetta nella deliziosa chiesetta di San Michele Arcangelo e a San Silvestro [vedi sopra].

Un altro esempio notevole del potere detenuto dalla casta sacerdotale si trova all'abbazia di San Bartolomeo a Camporeggiano (vicino Gubbio).

Nostalgia della Chiesa dei teocrati?


Nota bibliografica ---

Ho trovato un solo libricino che tratti specificamente, e per una manciata di pagine, delle due chiese di Bevagna:
Giovanna Mencarelli, Le chiese di San Michele e San Silvestro di Bevagna, Edizioni dell'Ente Rocca di Spoleto, 1980.

Di seguito, la copertina del volume da me consultato presso la francescana Biblioteca Oasis di Perugia...

venerdì 20 giugno 2014

San Francesco a Perugia: una storia violenta.



Gli stereotipi fanno male, specie quando sono le fonti oculari a smentirli.

Francesco d'Assisi era un serafico pacificatore?
A leggere un agiografo che visse i fatti storici, come Tommaso da Celano, viene qualche dubbio.

Il Celano ci racconta un episodio che sembrerebbe un vero scheletro nell'armadio nella vita del Poverello.
Almeno per noi, che siamo abituati all'icona melensa del santino e a non fare più i conti con un uomo politico in carne ed ossa, un uomo iroso e vendicativo.

Siamo tra il 1214 ed il 1217, quando frate Francesco decise che era giunto il momento di 'vendicare' la prigionia subita diversi anni prima come soldato per mano degli odiosi cavalieri perugini.

« Alcuni giorni dopo il padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con voce di pianto: "I perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini [n.d.a. la guerra tra Perugia e Assisi] e il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada".

Attese alcuni giorni, poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia.

[...]

Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno. E poiché i cavalieri impedivano l'ascolto della parola di Dio, giostrando secondo l'uso ed esibendosi in spettacoli d'arme, il santo, molto addolorato, li apostrofò: "O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello.

[...] Ebbene, vi dico: non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete istruiti dallo sdegno giacché nulla avete imparato dalla benevolenza"
. »

Nel passo citato, è interessante notare come l'agiografo prima racconti che il gesto di Francesco fu premeditato ["si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada"], poi attribuisca la predica velenosa del Poverello alla cialtroneria dei cavalieri perugini che gli giostravano intorno.

Il racconto così si conclude...

« Poco tempo dopo scoppia la contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali l'atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati. »


Nota al testo ---

➔ Il passo citato è tratto dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano -ff 622.

sabato 7 giugno 2014

Tre diaboliche civette ad UmbriaLibri...


L'immagine qui sopra è un'incisione dei primi dell'800 raffigurante la medievale Porta Trasimena di Perugia.
Perché c'interessa tanto?

C'è qualcosa che si lega a questa porta e che va ben oltre la cartolina turistica.

A Porta Trasimena, ancora nei primi decenni del '900, si appiccavano di notte i roghi dei cuscini affatturati. Bruciare le piume dei cuscini infatti, per un'antica tradizione della stregoneria contadina, era come bruciare il malocchio che le piume portavano con sé.

La superstizione risaliva al medioevo e ancora più addietro, al mondo romano: si credeva che i crocicchi delle strade fossero dei luoghi infausti in cui evocare il demonio o Ecate dalle tre teste, la dèa a cui un tempo erano associate le streghe. Con la cristianizzazione, molti crocicchi posti sotto la protezione della dèa Ecate furono consacrati alla Vergine, con l'erezione di edicole votive di cui a Perugia è rimasto un ottimo esempio appena fuori Porta Eburnea [sotto].

Gli antichi credevano che le streghe confezionassero i loro malefici legandoli alle piume degli uccelli; in latino l'analogia fonetica tra le piume (pennae) e le pene (poenae) era ricorrente e tale rimase nelle tradizioni della vecchia stregoneria italiana.

Cosa c'entra tutto questo discorso fumoso con la filastrocca delle Tre civette sul comò?

Se volete saperlo, vi aspetto a Perugia venerdì 13 alle ore 18:00 presso la Sala della Giunta a Palazzo della Provincia in piazza Italia!

Che giorno poteva essere meglio di un venerdì 13 per parlare di stregoneria e malefici?!

martedì 20 maggio 2014

Il maleficio delle Tre Civette.


« Ambarabaciccìcoccò
Tre civette sul comò
Che facevano l'amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabaciccìcoccò
»

Il contenuto di questa filastrocca popolare è ben più truce della sua parvenza giocosa!

Capirne il senso non è semplice perché il pubblico a cui, un tempo, essa era rivolta non esiste più, così come non esiste più quell'intrico di superstizioni contadine che spingeva il popolo a credere nei malefici delle streghe, e ad insegnarli ai più piccoli attraverso delle canzoncine.


Fino all'avvento della rivoluzione industriale, che spinse milioni di persone ad abbandonare il contado, nelle campagne pullulavano i cacciatori di streghe: uomini convinti che le streghe possedessero animali come le civette o i gufi per causare malattie mortali o per far perdere la verginità alle ragazze più coscienziose del villaggio.

Matthew Hopkins, il più sanguinario cacciatore di streghe dell'Inghilterra puritana, in un libro descrisse le pratiche delle streghe e il modo per estorcere loro confessioni scabrose negli interrogatori.
Nell'illustrazione che campeggiava sul frontespizio del suo Trattato, 'The Discovery of witches', edito nel 1647, Hopkins è ritratto al centro della stanza nel momento in cui due donne, le presunte 'streghe', confessano i nomi diabolici degli animali posseduti!


La cantilena delle Tre civette insegnava ai bambini, per filo e per segno, non solo i delitti di cui un tempo si macchiavano le streghe, ma anche l'identità dei loro agenti segreti, e perfino la formula magica che attivava i loro incanti:
Ambarabaciccìcoccò.


Gli animali posseduti venivano trasformati dalle streghe in aitanti giovani, ed entravano a contatto con le pulzelle da corrompere, soprattutto nelle feste comandate:
quando era facile, anche per le ragazze più devote del villaggio, cadere nel peccato di fornicazione.

Nei verbali dei processi alle streghe, dal XIV al XVII secolo, si trovano molti di questi casi che ho raccolto, per dare un volto ai protagonisti della filastrocca...


Post sulla formula Ambarabaciccìcoccò e sul significato magico della conta ---

La magia della conta: come annullare le streghe.

Post sui poteri magici della filastrocca An-ghin- ---

« An-ghin-gò / Tre galline e tre capò ». I poteri del numero TRE in una filastrocca.

giovedì 1 maggio 2014

I dèmoni che vide San Francesco:
due mascheroni demoniaci
alla Pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi

Come immaginavano i dèmoni Francesco e i suoi coevi?

Ad una domanda così eccentrica sembrerebbero esserci delle risposte solo nel recinto della fantasia.

Se siete di questo avviso, v'invito a fare due passi alla Pieve di San Gregorio di Castel Ritaldi, accastellamento vicino alle carducciane Fonti del Clitunno.


La Pieve dista appena un chilometro dal borgo di Castel Ritaldi e sorse intorno all'anno Mille (la prima data certa è il 1066, quando la chiesa fu annessa al capitolo della cattedrale di Spoleto).

Come altre pievi, oggi ha perso ogni importanza ed è raro trovarla aperta, ma fino al 1828 questa era addirittura la chiesa parrocchiale di Castel Ritaldi.

Secondo Mario Sensi, San Gregorio nel MedioEvo era il vero centro economico e religioso di tutto il territorio. Ciò che campeggiava sulla facciata della chiesa era, diremmo noi oggi, 'sotto gli occhi di tutti'.

A cominciare dal portale, un delizioso romanico spoletino con un intrico di tralci d'uva che scaturisce dalla bocca del leone, entro cui Sansone doma la belva aprendone le fauci a mani nude (notare la scritta Leo et Sanson che corre sulla formella!).

Ma ciò che si trova sopra il portale è, di gran lunga, la vera chicca.


Due dèmoni incombono, con le relative iscrizioni che li nominano: PAMEA e GENOPHALUS INFERUS.
I due dèmoni sono fronteggiati dai profeti Geremia ed Ezechiele, che li controllano a vista. Il tutto era sormontato dalle raffigurazioni dei quattro Evangelisti di cui è rimasta solo l'Aquila di Giovanni.


L'interpretazione di questi due mascheroni ci pone più di un dubbio.
Da dove vengono?
Sono due teste di reimpiego?
Facevano parte già in origine della facciata?

Nel romanico assemblare frammenti lapidei di origine diversa più che una pratica, era un'abitudine.
Ma quanto erano familiari questi due dèmoni alla popolazione indigena?
Dare risposte a queste domande è quasi impossibile, l'iconografia ci viene poco in aiuto e ancora meno l'esegesi.

Resta l'aspetto inquietante dei due dèmoni.
E se non fosse che siamo andati a fargli visita la loro effigie si potrebbe confondere con quella di altri mascheroni demoniaci dell'antica Roma o dell'Estremo Oriente.

Di una cosa però possiamo essere certi: i dèmoni che tormentavano il popolo superstizioso che acclamò San Francesco, erano molto simili a questi!


Bibliografia ---

Il primo ad aver citato la Pieve con tanto di Prospetto fu l'architetto Ugo Tarchi nella sua monumentale opera L'arte nell'Umbria e nella Sabina, volume II, Tav. CXXXV, Fratelli Treves, 1937.
Tarchi fu -ahimé!- anche uno dei pochi ad interessarsene.

Tre comuni rurali e i loro statuti, Nota Introduttiva a cura di Mario Sensi, XXXI, Perugia, Editrice Umbra Cooperativa, 1985.

Bernardino Sperandio, Chiese romaniche in Umbria, Quattroemme, Perugia 2001, pp. 54-55.

domenica 13 aprile 2014

Sant'Apollonia: una santa cavadenti al Tempietto di San Michele a Perugia...

Il campionario dei mostri cristiani non finisce mai di stupirci.

Al tempio di San Michele Arcangelo di Perugia, deliziosa chiesetta paleocristiana, si è conservata una delle poche raffigurazioni medievali superstiti di Apollonia da Alessandria, la santa cavadenti.


Questo ex-voto, realizzato da un Anonimo pittore locale, ci consente di spiegare una volta di più la natura tutta pagana del culto tributato ai santi nei primi secoli del Cristianesimo.

Chi commissionò la pittura nel Trecento doveva avere qualche problemino d'igiene orale se rivolse le sue suppliche a sant'Apollonia, che secondo gli Acta Sanctorum sarebbe stata martirizzata nel terzo secolo proprio cavandole uno ad uno i denti, ragion per cui la Chiesa la elesse santa patrona dei dentisti.

L'assurdità di questa storia ci permette di schiarirci meglio le idee sulla concretezza storica di molti santi leggendari dei primi secoli, spesso inventati di sana pianta per venire incontro ai bisogni materiali di una gran massa di fedeli.

In effetti, che bisogno c'era per un devoto di continuare a rivolgersi ai vecchi dèi pagani, quando la Chiesa aveva creato una sfilza di santi ausiliatori per ogni evenienza?
San Cristoforo contro la lebbra, sant'Acacio contro l'emicrania, santa Margherita di Antiochia contro i dolori del parto...

Per chiudere, una curiosità ancora la merita questa santa cavadenti patrona degli igienisti dentali.

Nel Settecento Papa Pio VI provò a dare un minimo di attendibilità al culto di santa Apollonia, forse per combattere chi di questo culto cominciava a dubitare.
Dopo essersi fatto spedire tutti i denti attribuiti alla santa in giro per l'Europa, si rese conto che per contenerli ci voleva una cassetta da 3 chili.

Pare che i denti sacri siano stati gettati senza troppi complimenti nel Tevere.

P.s. qui sotto, gli attrezzi del 'mestiere' in mano alla santa così come si vedono nell'affresco...

venerdì 21 marzo 2014

Mostri cristiani: unaTrinità tricefala alla Biblioteca Augusta di Perugia...

Fa sempre comodo avere un bibliofilo per amico.

Riccardo Strappaghetti, il bibliofilo in questione, mi ha suggerito un'altra traccia preziosa per ricomporre il mosaico della superstizione popolare in Umbria...


In un libro sulle Memorie storiche di Corciano, stampato nel 1902, a pagina 100 si fa menzione di una tipica chiesetta del contado che insisteva sulla strada per Magione, con una pittura devozionale alquanto 'bizzarra' al suo interno.

"Altra chiesa di Santa Maria in Via, sulla strada provinciale per Magione, vocabolo Terraioli, che ora non esiste più. Era grande e vi si osservavano pitture molto antiche e, fra le altre, una in cui era la Trinità, bizzarramente espressa, in una sola testa con tre facc(i)e, simile a quella che può vedersi in un codice dantesco, del secolo XIV, esistente nella Biblioteca Comunale di Perugia."


La curiosità era tanta: sono andato subito a cercarmela, questa Trinità mostruosa a quattro occhi!

Il codice è certamente uno dei più preziosi rimasti alla Biblioteca Augusta di Perugia dopo le spoliazioni pontificie. La miniatura raffigura l'ingresso di Dante in Paradiso, accompagnato da Beatrice, la quale gli consente la visione dell'Eterno...


Su un fondo oro raffinatissimo, con un complesso intrico floreale, svetta questa testa a tre facce incorniciata in una sfera celeste.

Come avevo già spiegato nel mio libricino, Il culto proibito della Dèa, raffigurazioni di questo genere furono popolarissime per tutto il MedioEvo e incentivate dalla Chiesa, perché consentivano di mostrare Dio in una veste paganeggiante molto familiare al volgo che serbava memoria delle antiche divinità bifronti e trifronti.

Quando Lutero accusò i cattolici italiani di superstizione e idolatria, il Concilio Tridentino corse ai ripari cancellando la maggior parte di queste pitture. Ad oggi poche sono sopravvissute fino a noi. Così certo non è stato per l'immagine della Chiesa di Santa Maria in Via, demolita poco prima che il libro sulle Memorie Storiche di Corciano la menzionasse.

Che dire di più?

Grazie a Riccardo per avermi consentito di fare questa piccola -e inaspettata- scoperta...


Nota al documento ---

Per chi desiderasse vedere coi propri occhi il codice dantesco - nelle biblioteche pubbliche è concesso questo privilegio! -, la segnatura è ms. B 25 e la miniatura si trova alla carta 113r.

domenica 9 marzo 2014

Laverna, l'oscura dèa senza corpo.


Padre Salvatore Vitale, un erudito francescano del Seicento, ci racconta in un librone devozionale la vera storia antica della Verna, l'eremo in cui Francesco d'Assisi prese le stimmate.


A spulciare il suo tomo sul Monte Sacro tra i libri del fondo antico della Biblioteca Comunale di Arezzo, veniamo a conoscenza di un dettaglio insospettabile sull'origine del luogo...

« Della causa perché questo Sacro Monte fu chiamato Laverna.

Questo sacro Monte, per tradizione di memoria antichissima si sa, e per molti Autori, che fu nominato Laverna per un Tempio di Laverna, Dea gentilica di ladroni quivi edificato, e frequentato da molti crassatori e ladri che stavano dentro al folto bosco che lo veste; e spesse, profonde ed orrende caverne e burroni, dove sicuri dimoravano per spogliare e predare li viandanti... »


Se non fosse per questo paragrafo, che ci svela una tradizione nota ancora ai primi del '60, noi oggi dovremmo affidarci alle congetture.

Laverna era l'antichissima dèa italica dell'ombra e della morte; così oscura che i Suoi templi erano proprio le grotte, dove spesso trovavano rifugio pastori e malfattori.
Nel mondo romano, Laverna fu presto associata ai ladri di cui divenne la protettrice, perdendo i suoi attributi di dèa ctonia dell'Oltretomba.

Ancora oggi al Santuario francescano della Verna è possibile scorgere quello che doveva essere il tempio primitivo della dèa Laverna, il Sasso Spicco, trasformato nella Grotta dell'Angelo dalla 'bonifica' francescana
[vedi a lato].
Ben prima dello stregone di Assisi, questo sito era visitato da altri pellegrini, i devoti a Laverna che scendevano nei recessi della gola in cerca di protezione.

In un'ottica revisionista, nemmeno troppo ardita, potremmo dire che san Francesco si appropriò dei Suoi devoti scendendo una seconda volta agli Inferi.


--- P.s. A questo link troverai il saggio che dedicai tempo fa all'argomento...


Post sull'episodio delle Stimmate ---

Falco o gufo? La Dea dell'ombra e le piume diaboliche.

Era tutto un sogno? Il monaco Matthew e il 'mistero' delle Stimmate.

I funghi e le stimmate: una visione serafica o allucinogena?

lunedì 27 gennaio 2014

La Madonna che rimpiazzò Diana
- alla chiesa di Santa Maria Infraportas di Foligno...



Non sempre gli indizi più preziosi per decriptare un culto si nascondono negli affreschi.

Anzi, a volte sono così a portata di mano che quasi non li si nota!

Foligno, chiesa di Santa Maria Infraportas.

Quella che vediamo oggi è il risultato di secoli di trasformazioni, dal MedioEvo fino all'Ottocento, ma all'interno della chiesa si conserva ancora la cappellina primitiva consacrata all'Assunta nell'VIII secolo, quando il tempio non era nemmeno dentro le mura cittadine ma nel contado e si chiamava Santa Maria Forisportam:
tanto è vero che ancora nel 1138 è documentata come pieve in un diploma di Innocenzo II.

La cappellina, subito a sinistra, ospita degli affreschi molto suggestivi, tra cui [sopra] una deliziosa fantasia di leoni bizantini dipinta a mo' di tendaggio.

Ma è all'ingresso quello che c'interessa di più.

La porta di accesso è sormontata da una lapide seicentesca che ci racconta le origini primitive della chiesa...


"Antiqua Dianae Superstitione Sublata"

La cappella dell'Assunta fu innalzata per sostituire il culto pagano di Diana, dèa romana della caccia.
Il tempio di Diana non a caso era posto ai margini della città antica di Fulginia (Foligno), fuori delle mura urbiche, probabilmente al limitare di un boschetto.
La chiesetta originale era molto angusta; la cappella, inglobata nel XII secolo quando il Comune cominciò ad allargarsi, misura appena 5,50 x 4,20 metri.

Logico supporre che ai primi cristiani interessasse solo rimpiazzare un culto pagano femminile con un'icona mariana.

Intorno alle origini gloriose della chiesetta si favoleggiò per secoli tanto che la lapide ci racconta che essa fu eretta addirittura nel I secolo dai primi cristiani per ospitare san Pietro in viaggio di evangelizzazione a Foligno (!).

A ricordo dell'impresa, il luogo di culto sarebbe stato intitolato ai santi Pietro e Paolo, cosa davvero strana se si pensa che in origine qui si cultuava una dèa come Diana, e che ancora oggi la chiesa è consacrata alla Madonna.

Noi che ormai abbiamo imparato a studiare le agiografie -ma a diffidarne sempre!- non ci facciamo troppo caso, e badiamo ad altro.

Come al simpatico cagnolino portalegna che sant'Amico di Rambona, in un affresco ancora integro, si tiene stretto stretto al guinzaglio...


P.s. Ringrazio Michela Pazzaglia per le foto: ogni tanto gusta nei propri 'pellegrinaggi' non doversi portare dietro la macchina fotografica!


------ Bibliografia

Bernardino Sperandio, Chiese romaniche in Umbria, 2001, Quattroemme, p. 65