venerdì 19 giugno 2020
La nave di Dioniso e i sigilli di Parigi.
Studiando l'emblema di Trieste, quella strana 'alabarda' riportata anche nel frontespizio della Perigrafia dei nomi imposti (1808), si fanno delle curiose associazioni...
Si tratta di un segno molto antico, ben più antico delle comuni alabarde medievali a cui di solito viene associato.
Le Baccanti che cacciavano il toro, assieme ai satiri dalla coda caprina, impugnavano un bastone triforcato molto simile:
il tirso, emblema di Dioniso.
Il bastone del corteo bacchico lo si vede bene in questo cratere a campana dal Museo Archeologico di Bologna...
Il bastone di Bacco/Dioniso era il simbolo della crescita prodigiosa che garantiva il dio.
Vasi del genere sono rintracciabili anche sul Mercato Antiquario:
è il caso di questa Menade che impugna il tirso, una ceramica Apula del IV secolo a.C. ...
Strano a dirsi: Gilles Corrozet, libraio francese del '500, nel suo libro La fleur des Antiquités (Paris 1532) consultabile anche su Google Libri, parlava di un tempio antico consacrato alla dea Iside a Parigi: un tempio la cui statua lui stesso aveva visto dal vivo...
« Alcuni dicono che là dove si trova Saint-Germain-des-Prés vi era un tempio dedicato alla superstizione dell'idolo o dea Iside [...] la statua della quale è stata veduta al tempo nostro, e ne conservo il ricordo » [1]
Corrozet spiegava perfino il nome Paris come un costrutto latino:
« para-Is(is) », cioè presso Iside...
« Quel luogo era chiamato tempio di Iside, e poiché la città era vicina ad esso fu chiamata Parisis (quasi juxta Isis), presso il tempio di Iside » [1]
Cosa mai ci faceva, a Parigi, un tempio di Iside?
Anatole de Coëtlogon nel libro Les armoiries de la ville de Paris [2] riportava due emblemi parigini assai curiosi, risalenti al 1406 e al 1415.
Sulla vela di un veliero era impresso quel segno -poi noto come giglio di Francia- così simile all'antico tirso di Dioniso...
Un veliero come simbolo di Parigi?
La cosa può sembrarci strana.
Una lettera patente di Napoleone (da notare le tre Api, suo emblema) datata 29 gennaio 1811, presentava lo stesso simbolo (qui sotto, digitalizzato) di Parigi:
un Veliero con la dea Iside (a sinistra), assisa sulla prua della nave...
Giovanni Boccaccio nel suo trattato sulle donne famose dell'antichità, De claris mulieribus, narrava la strenua ricerca dell'amato Osiride da parte della dea Iside su una nave.
I miniatori medievali immaginarono la Dea Iside come una Madonna a bordo di una barca...
Nel mondo greco-romano, la sacra barca della dea Iside era consacrata a Dioniso con il suo emblema: il bastone fiorito.
L'albero della nave fioriva in tanti grappoli d'uva, come ci racconta l'Inno Omerico a Dioniso, e ci mostra una famosa coppa da Vulci:
« Poi dall'alto della vela germogliò una vite,
da entrambi i lati, e penzolavano giù molti
grappoli; attorno all'albero si avvolgeva un'edera scura,
densa di fiori, e vi crescevano amabili frutti » [3]
Negli emblemi di Parigi rimane una traccia preziosa di questo mito della fertilità:
la vela della barca con il 'giglio' di Francia o tirso è l'ultima traccia dell'albero fiorito sulla nave di Dioniso.
Note alle immagini ---
_Il vaso [sopra] con il mito dell'albero fiorito sulla barca, proviene dall'Antikensammlungen di Monaco [545-530 a.C.] :
a questo vaso è dedicata una pagina su Wikipedia.
_La miniatura con Iside sul vascello è tratta da Giovanni Boccaccio, De Claris mulieribus.
Il manoscritto (1403) è presente, integralmente scansionato, nel sito della Bnf [ms. fr. 239].
Note al testo ---
[1] Lo storico dell'arte lituano Jurgis Baltrusaitis citava tutta la leggenda in "Le Isidi di Gilles Corrozet" ne La ricerca di Iside: saggio sulla leggenda di un mito, Adelphi, Milano 1985.
I passi qui citati sono a pp. 60-61.
Baltrusaitis citava anche una nota di Jean Miélot, segretario di Filippo il Buono, in cui si ricordava che il nome di Parigi derivasse dal culto di Iside:
« Io [sacerdotessa cornuta, con le sembianze di una vacca] fu chiamata altresì Iside, da cui venne il nome Parigi o Parisius, da para, vale a dire "presso", e da Iside, cosicché Parigi è una città sita "presso Iside", ossia presso Saint-Germain-des-Prés dove il suo idolo era un tempo e ancora vi si vede oggigiorno. »
[2] Il libro di Anatole de Coëtlogon, Les armoiries de la ville de Paris (1874-1875), si può consultare integralmente su Gallica.
Contiene bellissimi stemmi antichi, anche a colori.
Riporto qui sotto uno degli emblemi di Parigi con veliero...
[3] Cfr. Inno a Dioniso (vv. 35-41) in Inni Omerici, Rizzoli Bur, Milano 1996, p. 185.
Post correlato ---
Per capire il culto isiaco, radicato anche nelle città a nord del Mediterraneo, vedi il post precedente:
La Madonna del Mare e la barca di Iside.
giovedì 14 maggio 2020
La Madonna del Mare e la barca di Iside.
In un manoscritto francese dalla Bnf di Parigi sul De mulieribus claris di Boccaccio, trattato sulle donne famose dell'antichità, vediamo la dea Iside remare a bordo della sua barca, alla ricerca del corpo di Osiride [1].
Sulla prua dell'imbarcazione campeggia una simpatica testa di toro:
è l'emlema della dea, con le corna che svettano sul suo copricapo e che richiamano il crescente lunare.
Al Museo di Antichità di Trieste troviamo diverse statuette di questa tipologia: il culto Isiaco era infatti molto fiorente nella città giuliana, per i suoi traffici commerciali con il nord Africa...
Iside aveva le corna perché legata alla Luna, e quindi al dio Apis.
Ecco il dio-toro fluttuare sospeso nel cielo in un dipinto di Filippino Lippi dalla National Gallery (1490): da notare il crescente lunare che il toro ha impresso sul corpo...
Gli ebrei in fuga dall'Egitto, non avendo fiducia nel Dio di Mosè, fusero con i loro monili una statua con le fattezze di Apis: il famoso Vitello d'oro.
Il libro dell'Esodo ci narra il fatto:
« Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne.
Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. [1] »
La caccia al toro era praticata in tutte le città antiche in cui era forte il culto di Osiride-Apis (Osorapis, cioè Serapide nel mondo ellenistico), e del suo omologo greco Dioniso.
Euripide lo scriveva nelle sue Baccanti:
Dioniso fu concepito con le corna taurine...
« [Zeus] generò infine, quando le Moire
sancirono il giorno, un dio dalle corna di toro »
(Cfr. Baccanti, vv. 99-100)
Giuliana Pistoso in Erodiade e Gesù ci racconta la caccia al toro che praticavano le sacerdotesse di Dioniso...
« Delle Baccanti si racconta il rito notturno dell'inseguimento del toro o, più spesso, di un cerbiatto simbolizzante il dio.
L'animale veniva raggiunto e ucciso, la sua carne veniva divorata cruda (omofagia) e il suo sangue veniva bevuto per entrare così nella più stretta comunione col dio. [2]»
In Età moderna rimanevano ancora tracce evidenti di questo rito.
A Trieste, Antonio Cratey nella Perigrafia dei nomi imposti (1808), consultabile anche su Google Libri, racconta che ci fosse perfino un'area della città (l'attuale piazza del Teatro) deputata alla caccia del toro...
« […] e ridotto il terreno ad uso di squero, che poscia fu racchiuso, ed in esso si facevano da principio nel carnovale le caccie del toro [3] »
Da dove veniva questo gioco sanguinario?
Un indizio lo si può ricavare proprio studiando lo stradario triestino.
M'interessa il nugolo primitivo di stradine che dal molo portavano su per il colle, e soprattutto una di queste strade:
via della Madonna del Mare...
Ma che c'entrava la Madonna del Mare con l'antica barca di Iside?
Il grande linguista toscano Mario Alinei, parlando dei carri di Carnevale, ci fornisce un altro indizio da non sottovalutare...
« È infatti evidente, a mio avviso, che il nome del Carnevale deriva invece da carrus navalis.
Già diversi autori e studiosi del secolo scorso [...] avevano raggiunto la conclusione che il carro navale che si nasconde dietro il nome del Carnevale era il navigium Isidis
Il navigium Isidis era il carro "della dea Iside, portata in processione su un battello a ruote come patrona dei navigatori, tra le danze e i canti della popolazione"
[...] E non a caso i più famosi Carnevali, con i loro “carri navali” allegorici, sono quelli che si festeggiano, o si festeggiavano, in città sul mare, come Viareggio, Venezia e Rio de Janeiro, o su grandi fiumi, come Colonia e Basilea sul Reno, e Roma sul Tevere.
Come si vede, tutte queste località sono marittime o fluviali, ciò che conferma che il culto di Iside e del suo navigium, così come quello di Maria Stella Maris, era originariamente caratteristico delle popolazioni portuali. [4] »
Ne Le imagini degli Dei degli Antichi del reggiano Vincenzo Cartari, si vede appunto la dea Iside che regge un veliero: sopra, una xilografia dall'edizione padovana del 1615.
Il toro che si cacciava in tutto il mondo greco in onore di Dioniso, era associato in Egitto al suo omologo Osiride.
Secondo Plutarco, il toro era una cosa sola con Osiride...
« Apis è l’immagine vivente di Osiride, e la sua nascita avviene quando dalla luna cade un raggio di luce fecondante e va a colpire una mucca in calore. È per questo che Apis, col suo mantello misto di chiaro, grigio e nero, somiglia molto ai vari aspetti della luna. [5] »
Il dio-toro era generato dalla luna [Iside], e non è certo casuale che alla Madonna si associasse il crescente lunare.
Stessa storia nella mitologia greca: Dioniso dalle corna di toro, generato da Semele -una variante linguistica della dea Luna Selene, secondo Robert Graves...
« Semele era onorata ad Atene durante le Lenee, cioè la Festa delle Donne Invasate, quando un giovane toro, che rappresentava Dioniso, era tagliato in nove pezzi e sacrificato alla dea; un pezzo veniva bruciato e il resto divorato dai fedeli.
Semele viene di solito interpretata come una variante di Selene ("luna"), e nove era il numero tradizionale delle orgiastiche sacerdotesse della Luna che prendevano parte a tali feste [6] »
Ecco le due divinità, Madre e Figlio, Semele e Dioniso, in un vaso (Kylix) dal Museo Archeologico di Napoli...
La Luna era associata al mare.
Su un capitello del tardo Medioevo (XV secolo) al Palazzo dei Dogi a Venezia, vediamo scolpita chiaramente questa simbologia:
la Dea che regge la luna, naviga a bordo di una barca.
Certo non è casuale che la Luna partorisse nella mitologia greco-egizia un toro 'solare' [Dioniso-Apis-Osiride], destinato ad essere ucciso.
La simbologia fu ripresa dai predicatori cristiani del Tardo Impero: qui sotto, ne vediamo un risultato...
➔ Sul culto degli dèi cornuti:
La luna e le corna: il culto della Vacca lunare.
➔ Sul sangue del Toro che svela la sacerdotesse infedeli ---
L'ordalia del Toro: sacerdotesse dagli occhi bovini.
Note alle immagini ---
_Sopra, disegno dal frontespizio della Vita di S. Filippo Neri fiorentino, scritta da Pietro Giacomo Bacci e stampata "in Roma, appresso Vitale Mascardi", 1646.
La simbologia della Luna (la Madonna) che contiene il Sole (Gesù) eredita il rapporto Iside-Horus dalla religione egizia:
Iside cornuta, dea della Luna, partorisce la divinità solare Horus.
_Il disegno con la testa di toro (quinta immagine nel post) è tratto da Richard Payne Knight, Le culte de Priape et ses rapports avec la théologie mystique des anciens, Bruxelles 1883.
Nel sito Archive.org è possibile visionare l'Opera con il disegno citato, che attesta i poteri di fertilità del toro nella cultura antica.
_La Perigrafia dei nomi imposti si può visualizzare, ad alta risoluzione, anche nel sito della Università degli Studi di Trieste: clicca qui per essere reindirizzato al file .pdf.
Note al testo ---
[1] Cfr. La Sacra Bibbia, Libreria Editrice Vaticana, 2008, Esodo, 32, 3-4.
[2] Cfr. Giuliana Pistoso, Erodiade e Gesù, Luciana Tufani Editrice, Ferrara 1998, p. 17.
[3] Cfr. Antonio Cratey, Perigrafia dell'origine dei nomi imposti alle androne, contrade e piazze di Trieste, presso la tipografia di Gasparo Weis, 1808, p. 256.
[4] Cfr. Mario Alinei, Carnevale: dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris, Tavarnuzze (Firenze), p. 7.
L'articolo di Alinei è consultabile anche nel sito di Continuitas.
[5] Cfr. Plutarco, Iside e Osiride, traduzione e note di Marina Cavalli, Adelphi, Milano 2009, p. 93.
[6] Cfr. Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1983, p. 48, nota 5.
domenica 12 aprile 2020
La Madonna come antidoto agli dèi pagani.
Come mai tutti gli eremi francescani primitivi sono tappezzati di Madonne?
Alle Carceri di Assisi Francesco iniziò la sua 'colonizzazione' da una cappellina: Santa Maria delle Carceri...
Al tempo di san Bernardino, i frati ci tenevano ancora tanto a questo andito ricavato su un costone della montagna da scegliere di murarlo nel loro nuovo Convento.
Per riprendere possesso delle vecchie cappelle abbandonate dai monaci benedettini, san Francesco (e i frati) dovettero sloggiare ladri e pastori che spesso sostavano nelle grotte adiacenti agli eremi, e che professavano culti superstiziosi.
Soprattutto quello di un'antica dea romana dei ladri: Laverna.
Padre Salvatore Vitale, nel suo Trattato sul Monte Serafico della Verna [1628], narra come il culto di questa dea infestasse le alture del Casentino, prima che i frati le colonizzassero...
« De' ladroni se fu questo monte, ed à lor Dea in questo luogo, dove hor è 'l Tempio della Madonna, cioè la Chiesa piccola, era il suo Tempio [1]. »
La dea Laverna fu sostituita dai frati con il culto della Madonna, a cui i malviventi divennero molto devoti.
Ce lo mostra questa incisione del 1836 da L'Italia illustrata di Audot: un Brigante depone le armi davanti a un'edicola mariana...
Questa bonifica dal 'Male' non si manifesta solo alla Verna in Casentino, ma in molti eremi francescani.
Al contrario di quello che vorrebbero farci credere gli agiografi, la scelta di luoghi malfamati dove far attecchire la predicazione francescana non era affatto dettata dall'ascetismo, ma da una precisa strategia di controllo del territorio.
Una prova? I continui combattimenti di Francesco (e degli altri frati) contro i diavoli che infestavano gli eremi.
Il frate e vescovo Francesco Gonzaga nel suo trattato in latino sulle Origini del movimento francescano, è molto chiaro sulla lotta alle Carceri di Assisi, che aveva poco di mistico e molto di 'fisico'.
« cum demone luctas, de quibus victoriam retulit [2] »
Scontri cruenti, che si concludono alle Carceri con il diavolo che viene precipitato nel burrone...
« avendo il demonio tentato il p. san Francesco, restato vinto, si sprofondò quivi [3] »
Il dirupo ancora oggi, visto aggrappati al muro delle Carceri, fa una certa impressione...
Alla Verna invece è il diavolo ad avere la meglio, ma Francesco dalla colluttazione rimane (miracolosamente) illeso: il masso di roccia si trasforma in un giaciglio di cera per il corpo del Santo!
« [...] ecco venire il Demonio con grand'impeto, & aspetto horrendo, e volle pigliare San Francesco, e gettarlo giù a terra di quel precipizio; ma San Francesco non havendo altro refugio, e non potendo fuggire, si voltò con tutto il corpo nella sinistra parte, abbracciando il sasso con le mani per attenersi, e la dura pietra si convertì in teneritudine [1]. »
La lotta contro i diavoli coinvolgeva altri frati, oltre Francesco.
Ecco un diavolo scaraventato giù nel burrone da frate Rufino, alle Carceri...
« Ritornò fra Rufino e tornando di novo il diavolo in forma di crocefisso, fra Rufino li disse quanto di sopra, et il diavolo si precipitò per il fosso in giù, in sino al piano, conducendo seco grosse pietre indietro, et fu tanto il rumore, che si spaventò la cità et se sentì alla Madonna delli Angeli et il padre san Francesco disse a tutti alegramente che fra Rufino hauta victoria contro il diavolo [3]. »
E il toponimo Le Carceri?
Non è un'invenzione di Francesco!
Già esisteva, tanto da essere menzionato in una Bolla di papa Innocenzo III come proprietà vescovile nel 1198, citata da quel grande storico locale che fu Arnaldo Fortini:
« La bolla di Innocenzo III del 1198 attribuisce al Vescovo di Assisi piena giurisdizione, fra l'altro, sui seguenti luoghi: capellam que est in cacumine montis sancti Rufini, carcerem de Templo cum toto colle qui dicitur regalis [4] »
Il Collis regalis, citato nelle fonti, era contrapposto al Collis Infernus, che sorgeva molto più in basso.
Sui due 'colli' [si tratta in realtà di due punti diversi del Monte Subasio], i frati eressero la Basilica di San Francesco [prima più piccola, poi raddoppiata sopra].
E in alto, l'Eremo delle Carceri, appropriandosi di due siti malfamati: il primo per le esecuzioni capitali, l'altro come rifugio dei malviventi.
Padre Benvenuto Bazzocchini narra nella Cronaca della Provincia Serafica edita a Firenze nel 1921, come San Francesco avesse sentito il bisogno d'intitolare il tempio che sorse presso 'le Carceri' proprio alla Madonna:
« Sul fianco destro della chiesina si apre un'altra porta che mette in una piccolissima cappella, quella stessa che il padre San Francesco trovò nascosta e forse abbandonata nella solitudine delle Carceri: Sancto Francischo puose a questa cappella il nome di
Un combattimento durissimo contro il diavolo:
chi c'era dietro questo 'diavolo'?
« Ficcando gli occhi per i fori della pietra, si vede uno sprofondo, che la tradizione chiama il buco del Diavolo: "Avendo il tentatore maligno investito il Padre S. Francesco mentre egli stava in orazione nella sua grotta, fu dal Serafico campione debellato e vinto e subissato all'Inferno... lasciando in tale sconfitta e subissamento la indicata apertura o più propriamente voragine [5] »
◉ Sostituzione ad Ecate del culto Mariano ---
Donne protettrici: la Madonna vs. Ecate.
◉ Sulle origini pagane di un sito francescano ---
Laverna, l'oscura dèa senza corpo.
◉ Origine 'criminale' delle Basiliche di Assisi, secondo padre Giuseppe Fratini ---
Edilizia francescana: sotto il Sacro Convento, le forche del boia...
Note alle immagini ---
_L'Opera di Audot, con la relativa immagine citata, si può consultare su Google Libri.
_La nicchia con la pittura della Madonna con Bambino in apertura del post, costituiva il primitivo luogo di culto francescano chiamato 'Chiesa di Santa Maria delle Carceri', di cui parla padre Bazzocchini in [5].
Note al testo ---
[1] Cfr. Monte Serafico della Verna [...] Descritto dal r.p.f. Saluatore Vitale sacerdote, in Firenze, 1628, pp. 9, 11 e 80.
Su Google Libri trovi il volume interamente scansionato.
[2] Cfr. Francesco Gonzaga, De origine seraphicae religionis franciscanae, Romae, 1587, p. 158.
Anche questo libro si trova scansionato su Google Libri.
[3] Cfr. Breve narratione di S. Maria delle Carcere d'Assisi, Appendice « Documenti » in Marcella Gatti, Le carceri di San Francesco del Subasio, a cura del Lions club, Assisi 1996, pp. 159-160.
[4] Cfr. Arnaldo Fortini, Nova Vita di S. Francesco, S. Maria degli Angeli, 1959, Volume III, pp. 149 e 543 [citazione e testo completo della Bolla].
[5] Cfr. Benvenuto Bazzocchini, Cronaca della Provincia Serafica di S. Chiara d'Assisi, Firenze, 1921, pp. 64 e 67.
giovedì 9 gennaio 2020
Edilizia francescana: sotto il Sacro Convento, le forche del boia...
I francescani sono sempre stati dei maestri nelle riconversioni immobiliari!
San Francesco era abituato a prendere possesso di vecchi santuari pagani caduti nell'abbandono, luogo di ricovero per ladri e pastori.
Il suo spirito 'imprenditoriale' consisteva spesso nel recupero di posti malfamati.
Un ottimo esempio di questa politica è la Basilica Inferiore di Assisi, il sacrario di Francesco inaugurato nel 1228, appena due anni dopo la Sua morte per accoglierne le spoglie.
Cos'era in origine il luogo?
Giuseppe Fratini, francescano sapiente, in una pubblicazione del lontano 1882 narrava la fama sinistra del posto, un sito malfamato prima dell'impresa francescana, teatro delle esecuzioni del boia...
« La leggenda applicatavi di poi fece universale la credenza che l'umile santo, sentendosi vicino alla morte, pregò perché il suo corpo fosse sepolto in un luogo infame, destinato all'ultimo supplizio degli scellerati: che questa suprema volontà fu da frate Elia rapportata al pontefice, e che questi ammirando tanta virtù, facendovi costruire una sontuosa basilica e cangiando il nome di colle dell'inferno che avea quel luogo in colle del paradiso.
Nel secolo XVI era questa novella sì fermamente creduta, che il nostro Doni nell'istoriare a fresco i due chiostri del sacro convento, avendo più volte da figurarvi il prospetto della città, nel luogo dove ora sorge la Basilica francescana, effiggiò le forche*. »
Immaginare dei cappi pendenti proprio dove sorgerà uno dei massimi templi della cristianità, può essere una suggestione da poveri miscredenti.
E peccato non potersi più godere la scena delle forche dipinte a metà del Cinquecento da Dono Doni: gli affreschi del chiostro di Sisto IV oggi sono pressocché illegibili!
Nota al testo ---
→ Cfr. Giuseppe Fratini, Storia della basilica e del convento di S. Francesco in Assisi, Prato, 1882, p. 11.
◉ Post sui luoghi francescani 'paganeggianti' ---
Dov'è finita la mano? Indizi per un culto degli alberi alla Basilica di San Francesco.
La Madonna come antidoto agli dèi pagani.
◉ Un fondaco trasformato in chiesa: san Francesco Piccolino ---
Il sogno di un cavaliere.
domenica 22 settembre 2019
Serpenti Sacri: la Nutrice. Dalla dea Minoica a santa Verdiana.
L’allattamento al seno e il nutrimento dei serpenti sono un binomio tipico dei culti arcaici.
Il pittore Tommaso del Mazza lo proponeva in una pala gotica (1390) con una impaginazione speculare:
sopra la Madonna che allatta il bambino e sotto una teoria di santi, tra cui spunta una donna con un cestino in mano e due serpenti al fianco: Santa Verdiana...
Verdiana da Castelfiorentino è una santa medievale coeva di san Francesco, poco conosciuta fuori dal circondario fiorentino.
A Lei le agiografie attribuivano il ruolo di Nutrice dei serpenti.
Nella pala trecentesca che la celebra, due lunghi serpenti sono al suo fianco. Gli stessi serpenti si ritrovano effiggiati sulle porte del Santuario a Lei dedicato a Castelfiorentino...
Secondo le agiografie, i due serpenti s'introducevano nella sua cella di penitenza per essere da Lei nutriti. E se qualche volta mancava di farlo, dispensavano frustate con le loro code...
« [...] et quando veniva caso che allora mancasse il cibo, irati contro a lei si levavono et con le code loro gravemente la battevono et alcuna volta sì crudelmente la batterono, che più dì ne stava a diacere et poco si poteva levare [1]. »
Un affresco di età rinascimentale di Paolo Schiavo presso la chiesa di san Barnaba a Castelnuovo d'Elsa, ci ricorda il flagello serpentino patito da Verdiana:
- VIRULENTOS ANGUES PAVIT.
Il popolo di Castelfiorentino, preoccupato per l'incolumità della Sua figlia prediletta, avrebbe dato mandato di uccidere una delle due serpi, gettando Verdiana nello sconforto. Dalla morte della bestia, Vediana intuì la sua prossima fine...
« [...] erono grossi et grandi et assai orribili et spaventevoli, et con armi et altri fusti puosono in agguato et, in conclusione, aspectando quando uscissono fuori i decti serpenti, uccisono l'uno, l'altro scampò et mai più non fu veduto, la qual cosa fu a sancta Verdiana in grande dispiacere
[...] Et per questo, inspirante lo Spirito Sancto, intese il termine della sua vita non esser troppi dì lungi [1] »
Lo strano mito di Verdiana non è altro che la traduzione agiografica di un mito classico romano: la dea Igea Nutrice dei serpenti.
I musei archeologici in giro per il mondo conservano diverse statue con Igea che nutre i serpenti: perfino al Museo Archeologico di Trieste mi è capitato di trovare un bronzetto, con la dèa che allunga un piattino al rettile...
Che fine farà il serpente della dea Igea?
Terribile. La stessa che secoli dopo toccherà a quello di Verdiana: ucciso a bastonate dal padre di Igea, il dio Asclepio.
Asclepio si approprierà dell'egida del serpente, che in origine apparteneva alla dea Igea, ostentandolo nelle sue statue sul proprio bastone, come si vede per esempio ai Musei Vaticani...
L'uccisione del serpente (e la conseguente morte di Verdiana) seguono precisamente la mitologia greca, in cui la rimozione del culto della Grande Madre è attuata attraverso l'eliminazione fisica dei suoi paredri serpentini.
Studiando l'evoluzione di questo mito antico si può arrivare addirittura alla sua sorgente egizia!
Tutto nasce da un culto della fertilità:
i rettili che succhiano le poppe della Nutrice.
È una delle più antiche immagini del divino che conosciano.
Una statuetta in terracotta dal Museo di Antichità Egizie di Monaco ci mostra la dea Neit che fa succhiare le sue mammelle a due coccodrilli...
Il linguista Mario Alinei dimostrava nella sua Teoria della continuità che i poteri divini primitivi erano associati al tettare, cioè al ricevere nutrimento attraverso le 'tette'.
La divinità quindi non poteva essere di sesso maschile...
« L’origine del nome di Dio può sorprenderci: il latino deus, infatti, imparentato con il greco theós (da cui Zeus), è collegato alla radice indeuropea *dhei- che significa ‘nutrire, allattare’ (si pensi al greco tithéne ‘nutrice’, titthe ‘mammella’, thelys ‘che nutre, femminile’) e sembra pertanto riferirsi alla Grande Madre delle società pre-neolitiche [2]. »
Questo concetto diventa limpido nella famosa statuetta della Dea Minoica dei serpenti, che fa succhiare ai rettili i suoi due capezzoli a seno nudo.
Quando si affermò la società micenea patriarcale, cambiò anche il lessico mitico con una vera strage di serpenti:
- _ Apollo che abbatte il serpente Pitone, per impadronirsi dell'Oracolo della Pizia a Delfi;
- _ Argo che uccide il mostro serpentino Echidna;
- _ Ercole che abbatte il serpente Ladone;
- _ Perseo che recide la testa serpentina della Medusa.
Il culto matriarcale era stato rovesciato, e con la Grande Madre scomparvero anche i serpenti, suoi attributi di potere.
Il mitologo inglese Robert Graves lo spiega bene ne I Miti Greci.
Il serpente Pitone aveva la funzione di allontanare quanti volessero infastidire la profetessa.
Ucciderlo significava appropriarsi dell'Oracolo della Pizia...
« Apollo che uccide il Pitone a Delfi pare ricordi gli Achei che conquistarono il santuario della Madre Terra cretese [3]. »
« A Delfi uccisero il serpente sacro (un serpente analogo veniva custodito nell'Eretteo ad Atene) e si assunsero la tutela dell'oracolo in nome del loro dio Apollo Sminteo [3]. »
Il culto di Atena, in origine, era chiaramente Matriarcale.
Atena era una dea dei serpenti che scorazzava a bordo del suo carro, tutta bardata di serpenti, come ci mostra una pittura vascolare a figure nere dal Museo Archeologico di Trieste...
L'invasamento serpentino che colpiva le devote della Grande Dea greca, era lo stesso che caratterizzava le seguaci della dea marsicana Angizia, e che la Chiesa incluse nel culto di san Domenico da Foligno, il santo dei serpari.
San Domenico da Foligno –un po' come avevano già fatto Apollo con il serpente Pitone della Pizia, ed Esculapio con il serpente di Igea– aveva assorbito le pratiche dei Cerretani (i sacerdoti di Cerere), appropriandosi dei serpenti di Angizia!
Una cartolina illustrata da Basilio Cascella dal titolo « Il rito delle serpi » nel 1905, descrive la processione del Santo nel paesino abruzzese di Cocullo; e il trasporto a cui soprattutto le donne si abbandonavano, legandosi i serpenti al corpo...
Nel mondo antico, allevare i serpenti e prendersi cura di loro era una pratica cultuale diffusa.
Nutrire i serpenti era così importante in certi templi, da essere un vero e proprio rito da osservare.
Friedrich Nietzsche scriveva in proposito:
« Nella cella del tempio di Asclepio a Pitane i serpenti strisciavano in giro così liberamente che non si osava varcare la soglia della stanza prima di avere depositato per loro, di fronte alla porta, un'offerta di cibo [4]. »
Il mitologo scozzese John Arnott MacCulloch nel suo articolo sull'Adorazione del Serpente (« Serpent Worship ») riprendeva un'informazione da Luciano di Samosata, secondo cui le donne macedoni allattavano i serpenti con il proprio seno...
« In quel luogo [Pella, Macedonia, n.d.a.] vedono serpenti enormi, ma del tutto docili e mansueti, al punto che sono allevati dalle donne e dormono con i bambini, si lasciano calpestare, non si ribellano se li si stringe, e succhiano il latte dalla mammella come i neonati [5]. »
I predicatori cristiani edulcorarono questa immagine.
Santa Verdiana non nutriva più i serpenti con il proprio seno, ma traendo grappoli d'aglio dal cestino, come ci mostra una pittura dal Palazzo comunale di Castelfiorentino...
Proprio l'aglio!
Un antistregonico formidabile, utile a scacciare non solo le streghe ma gli stessi serpenti secondo Francesco Sansovino, dalla Materia Medicinale del 1547...
« Lo aglio ha gran forza & ha grand'utilità contra le mutationi dell'acque, & di qualunque altro luogo.
Col suo odore caccia i serpenti e gli scorpioni. »
Il fatto che i serpenti fossero attratti dall'aglio di Verdiana, era la prova schiacciante dei suoi poteri numinosi.
Ho riportato solo qualche indizio per riassumere la controversa storia dei Serpenti, e la fama della loro mitica Nutrice.
Se v'interessa approfondire questa storia, ecco il libricino che dedico al tema...
◉ Sul culto del Serpente in una chiesa mariana ---
Il serpente paredro della Dea Madre: i capitelli della chiesa di San Filippo Neri a Perugia.
Il drago a difesa della Madre: la falsificazione di un mito pagano.
◉ Sulle belve della Potnia, vedi:
La Bella e la Bestia. Tracce medievali di un mito Matriarcale.
◉ Sull'animale Madre nutrice, e sugli uccelli Antenati:
Nutrice Totemica: la Madre progenitrice.
Note al testo ---
[1] I brani dalla Vita II di Lorenzo Giacomini si trovano riportati per esteso in Verdiana da Castelfiorentino: contesto storico, tradizione agiografica e iconografia,
a cura di Silvia Nocentini, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, Tavernuzze di Impruneta, 2011, pp. 126-128.
[2] Cfr. Mario Alinei e Francesco Benozzo, DESLI - Dizionario etimologico-semantico della lingua italiana. Come nascono le parole, Pendagron, Bologna 2015, p. 63.
[3] Sul retroscena storico dell'uccisione del serpente Pitone a Delfi, vedi due passi distinti de I Miti greci:
Introduzione a p. 9 e Carattere e imprese di Apollo, p. 70.
Cfr. Robert Graves, I Miti greci, Longanesi & C., Milano 1999.
[4] Cfr. Friedrich Nietzsche, Il servizio divino dei greci, Adelphi, Milano 2012, pp. 106-107.
[5] Cfr. Luciano di Samosata, Alessandro o il falso profeta, traduzione e note di Loretta Campolunghi, Adelphi, Milano 1992,
pp. 55-56.
_Nota: Luciano si riferisce ad Alessandro di Abonutico, il "falso profeta" che aveva messo in piedi il culto del serpente Glycon.
Note alle immagini ---
_L'icona con Santa Verdiana e i serpenti, proviene dal Museo del Santuario di Castelfiorentino.
Per questa e le altre immagini sul culto di Verdiana presenti nel post, vedi Verdiana da Castelfiorentino: contesto storico, tradizione agiografica e iconografica, a cura di Silvia Nocentini, Edizioni del Galluzzo, Tavarnuzze di Impruneta, 2011.
_Ho tratto la cartolina con "Il rito delle serpi" da La cartolina art nouveau di Giovanni Fanelli ed Ezio Godoli, Giunti-Martello, Firenze 1985, p. 279. del serpente Glycon.
domenica 30 giugno 2019
Lo sciamano insanguinato. Convegno a Perugia: pillole introduttive.
Il grande Uccello che appare allo sciamano e gli trasmette i suoi poteri curativi, è un'immagine molto radicata nei popoli primitivi.
Interessante in proposito un libro [1] con i racconti sulla vita polare dell'antropologo Knud Rasmussen, deliziosamente illustrato negli anni sessanta dagli artisti Inuit Kiakshuk e Pudlo...
Lo sciamano invoca l'Uccello, ed alla fine questo gli appare.
Ecco il testo della preghiera rivolta dallo sciamano, affinché
l'Uccello si manifesti:
- You GULL up there dive down
come here
take me with you in the air!
- Oh GABBIANO lassù, scendi giù
vieni qui
portami con te nell'aria!
L'Uccello allora arpiona lo sciamano con i suoi artigli e lo conduce nei reami celesti, come ci mostra l'illustrazione di Pudlo...
È curioso che la più nota visione di san Francesco, culminata sul monte della Verna con l'Impressione delle stimmate, segua nella sostanza il mito sciamanico del grande Uccello.
Atterrito dalla visione del Serafino, Francesco trova nel suo corpo le ferite taumaturgiche –prodotte dalla suggestione o da una vera violenza fatta sulle sue carni dal Serafino-Uccello?
Tommaso da Celano, il primo biografo di Francesco, nella Vita Prima narrava la vicenda in modo sibillino, lasciando aperta la strada alle interpretazioni sul rapporto tra Francesco e l'Angelo-Uccello...
« Mentre non riusciva a capire nulla di preciso e la novità di quella visione si era impressa nell'animo, ecco che nelle sue mani e piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quell'uomo crocefisso.
Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande [2]. » (ff 485)
Per evitare che l'episodio fosse mal interpretato, nelle Considerazioni sulle Sacre Sante Istimmate l'autore metteva le cose in chiaro: la visione era frutto dell'immaginazione di Francesco, e nessuno aveva mai fatto violenza sulle carni del santo!
« [...] non per martirio corporale, ma per incendio mentale egli doveva essere tutto trasformato in nella ispressa similitudine di Cristo crocifisso [2]. » (ff 1920)
La figura alata era quindi frutto di follia?
Nel Trattato De Adventu fratrum Minorum in Angliam si trova invece una versione (ben) diversa!
Una nota presente nel testo c'informa che « quell'apparizione era stata molto più evidente di quello che si era scritto nella vita di lui ». In breve:
il Serafino avrebbe fatto violenza fisica sul Santo!
« San Francesco però aveva rivelato a frate Rufino, suo compagno, che, quando aveva visto l'angelo ancora da lontano, ne era rimasto molto spaventato e che l'angelo l'aveva colpito duramente, e gli aveva detto che il suo Ordine sarebbe durato fino alla fine del mondo [2]. » (ff 2519)
Proprio la violenza fisica fatta dal Serafino a san Francesco fu edulcorata dagli agiografi, con la storia dell'Impressione delle stimmate sulle carni del Santo.
Nelle pratiche sciamaniche, lo spirito che si manifesta terrorizza lo Sciamano, e infonde i poteri taumaturgici attraverso una vera colluttazione che culmina con il suo smembramento.
Al risveglio dalla trance, lo sciamano può operare le guarigioni con le ferite sanguinanti, che lo consacrano davanti alla comunità come detentore del sacro.
Knud Rasmussen in Aua enumerava diversi spiriti guaritori eschimesi, alcuni dei quali si erano manifestati in modo così spaventoso allo Sciamano che egli non aveva avuto il coraggio di assumerli come Spiriti Guida:
« Lo spirito fece ad Anarqaoq un effetto così violento nel suo silenzioso orrore che egli fuggì senza averne fatto uno spirito ausiliario [3]. »
Sempre Rasmussen in Aua parlava della colluttazione tra gli Spiriti e lo sciamano, da cui quest'ultimo rimaneva ferito, addirittura sanguinante...
« Lo sciamano rimase fuori una mezz'ora e al ritorno la sua pelliccia aveva le maniche e la vita strappate e l'uomo aveva braccia e mani piene di sangue.
Ansimava pesantemente, come se fosse in preda a un enorme sfinimento, e crollò a terra [3]. »
La visione del grande Uccello era meravigliosa e insieme terribile.
La violenza inferta dagli Spiriti era ciò che conferiva allo sciamano i suoi poteri, come Rasmussen ribadiva appena qualche pagina dopo...
« Così secondo Aua c'erano due modi per diventare sciamano:
si andavano a cercare gli spiriti nella solitudine oppure essi venivano spontaneamente dall'uomo in un modo misterioso e violento [3]. »
Mircea Eliade spiegava tutti questi passaggi nel suo famoso libro:
Lo Sciamanismo e le tecniche dell'estasi...
« [...] ogni sciamano ha un Uccello Rapace-Madre che rassomiglia ad un grosso volatile, con un becco di ferro, artigli adunchi e una lunga coda [3]. »
« [...] Quando l'anima ha conseguito la maturità, l'uccello ritorna sulla terra, taglia il corpo del candidato a pezzi, che egli distribuisce tra gli spiriti malvagi delle malattie e della morte. Ciascuno di questi spiriti divora il pezzo del corpo che gli spetta, il che ha per effetto l'acquisizione, da parte del futuro sciamano, della facoltà di guarire le corrispondenti malattie [4]. »
Dopo che Francesco ha avuto alla Verna la visione (violenta!) del Serafino, nel viaggio di ritorno verso Assisi ad ogni paese una folla lo acclama come « Santo », supplicandolo di operare guarigioni.
Le Considerazioni sulle Sacre Sante Istimmate lasciano intuire la stretta continuità tra il prodigio francescano e le pratiche curative primitive dei medicine man...
« Il dì medesimo passò santo Francesco per lo borgo a Santo Sepolcro; e innanzi che s'appressassi al castello, le turbe del castello e delle ville gli si feciono incontro, e molti di loro gli andavano innanzi co' rami d'ulivi in mano, gridando forte:
"Ecco il santo, ecco il santo!";
e per divozione e voglia che le genti aveano di toccarlo faceano grande calca e pressa sopra lui [2]. » (ff 1927)
La visione francescana era del tutto spontanea, oppure fu una stregoneria calcolata nei dettagli?
Sfiorerò il tema domenica 14 luglio in un intervento all'Agriturismo "Il Poggiolo" vicino Perugia, intorno alle ore 17 e 30:
l'ingresso al Convegno è libero...
Note al testo ---
[1] Cfr. Knud Rasmussen, Eskimo Songs and Stories. Collected by Knud Rasmussen on the Fifth Thule Expedition. Selected and Translated by Edward Field, Delacorte Press, S. Lawrence, 1973.
Consultabile interamente, previa registrazione, sulla biblioteca digitale statunitense Archive.org.
[2] Per le Fonti Francescane, vedi la traduzione edita dalle Editrici Francescane a Padova nel 2004.
[3] Cfr. Knud Rasmussen, Aua, a cura di Bruno Berni, Adelphi, Milano 2018, p. 114, p. 135 e pp. 188-189.
_Si tratta di una traduzione del resoconto della Quinta Spedizione Thule (1921), pubblicato da Adelphi con il titolo di Aua (nome di uno degli sciamani consultati dall'antropologo danese).
[4] Cfr. Mircea Eliade, Lo Sciamanismo e le tecniche dell'estasi, Edizioni Mediterranee, Roma 1974, p. 56.
Post correlati ---
_Sull'uso del sangue e sul ferimento rituale nelle iniziazioni sciamaniche, vedi il post: Il potere del Sangue nelle società primitive da San Francesco a Jodorowsky.
_Sulle origini pagane del Santuario francescano de La Verna, teatro del prodigio, vedi il post: Laverna, l'oscura dèa senza corpo.
_Sull'uso di funghi allucinogeni associato all'episodio, vedi il post:
I funghi e le stimmate: una visione serafica o allucinogena?
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