domenica 22 gennaio 2017
Il sacro serpaio: i sacerdoti di Cerere e gli stregoni ciarlatani dell'Umbria
Umbria: terra di santi o di imbroglioni?
Nel MedioEvo, la differenza pare non fosse così netta.
I ciarlatani erano stregoni che scendevano proprio dall'Umbria - e da un paese in particolare, Cerreto di Spoleto- praticando sortilegi, come ci racconta Piero Camporesi...
« C'era un borgo nell'antico ducato di Spoleto che ebbe per lungo tempo fama singolare; un tranquillo villaggio, difeso da « monti ardui » dominante la valle del Nera, che derivava il suo nome da un antico bosco di cerri: Cerreto.
Secondo una iniqua tradizione, universalmente diffusa, da questo bosco sarebbero sciamati, lesti di lingua, d'ingegno e di mano i cerretani, ossia i ciarlatani [...]
Ad un certo momento, non bene identificato dalla tradizione, la comunità dei cerretani, o sacerdoti di Cerere, essendo enormemente cresciuta, fu dal sommo sacerdote divisa e specializzata in una miriade di sette, tenuto conto delle tendenze ossia vocazioni del popolo cerretanesco, le quali poi sciamarono per il mondo ad ingannare le genti con le loro fallacie. » [1]
Una di queste sette di cerretani-ciarlatani-ciaralli era specializzata nell'addomesticazione delle serpi.
Il santo umbro Domenico da Foligno e i suoi seguaci ripresero questa tradizione, ricorrendo a pratiche che si perdono nella notte dei tempi...
« [Galeno] denunziava i sotterfugi cui ricorrevano, di solito, i raccoglitori di serpi per esibire il loro potere: catturavano gli ofidi al termine dell'epoca di letargo, quando essi non avevano più forza reattiva ed erano completamente esauriti; li alimentavano con cibi insoliti, costringendoli a mordere, più volte, pezzi di carne fino a che mettessero fuori tutto il veleno; li nutrivano con impasti di farina che ottundevano i forami veleniferi, ottenendo, infine, di presentare come prodigioso il solo effetto di una frode. » [2]
Il professor Giuseppe Bellucci ne Il feticismo primitivo in Italia, presentava uno degli amuleti più potenti contro il morso delle vipere: la medaglia di san Domenico da Cocullo, esibita dai ministri del suo culto - i "sandomenicari"-, su cui è effiggiato il santo con ai piedi i serpenti...
A Roma, la tradizione prescriveva di toccare questo amuleto per sprigionare i suoi effetti antiofidici...
« Pe' li mozzichi de le vipere, che ffanno morì' in sur subbito, fa bbene a ttoccà' o ssegnà' la parte mozzicata, co' la relliquia de San Domenico de Cucullo. Fa ppuro bbene a ddasse subbito foco a la parte mozzicata cor un fèro infocato; oppuramente a sciacqualla bbene bbene co' l'immoniica [ammoniaca]. » [3]
Nella sua stupefacente collezione di amuleti contro le streghe e il malocchio, conservata oggi al Museo Archeologico di Perugia, Bellucci vantava anche una serie di santini con il re dei serpenti.
Ai lati del santo, figurano gli animali contro i cui morsi si estendevano i suoi poteri: i cani idrofobi e le serpi.
Sopra di essi, vediamo due talismani prodigiosi :
il dente del santo per guarire i Cristiani, e il ferro della sua mula per curare gli animali...
I ciarlatani ebbero particolare fortuna a Cocullo, paesino in Abruzzo dove si celebra ancora la Festa dei serpari.
Le serpi liberate si aggrovigliano intorno alla statua del santo portata in processione, in una messinscena tutta pagana.
La "finzione ritualizzata" -come la chiamava Di Nola- regna sovrana!
« [...] proprio a Cocullo si svolge ogni anno, ogni primo giovedì di maggio, la più importante festa in suo onore, famosa perché nell'occasione numerosi gruppi di giovani esibiscono e portano in mano o al collo viluppi di serpenti che vengono toccati dai fedeli e la statua del santo portata in processione viene letteralmente ricoperta da un ammasso di serpenti.
La tradizione vuole che solo nel giorno dedicato alla festa del santo i serpenti siano innocui e possano essere toccati liberamente senza ricevere danno. » [4]
Che quei serpenti siano scelti tra i non velenosi, ovviamente, è un "segreto professionale" dei sacerdoti di Cerere...
Note alle immagini---
_ La pittura in apertura del post è una ceramica derutese che raffigura un prodigio poco noto attribuito a san Francesco: il denaro mutato in serpente
[cfr. Vita seconda di Tommaso da Celano - ff 654].
Cfr. Carola Fiocco, Gabriella Gherardi, Ceramiche umbre dal Medioevo allo storicismo, Litografie artistiche faentine, Faenza 1989, p. 168.
_ L'immagine in chiusura del post è un'illustrazione tratta da un numero della Tribuna Illustrata del 1905 e documenta la processione a Cocullo.
Una riproduzione del disegno correda la sezione della collezione Bellucci dedicata al culto di san Domenico.
Note bibliografiche ---
[1] Il passo è tratto dalla bella Introduzione di Piero Camporesi a
"Il libro dei vagabondi : lo Speculum cerretanorum...", Einaudi, Torino 1973, pp. L-LI.
A proposito delle relazioni strette tra l'Umbria e i ciarlatani, Camporesi scrive ancora che:
"Nessuna altra terra come l'Umbria (o la Marca) avrebbero potuto partorirle e alimentarle. Una terra dove, accanto ai mistici, spesso sull'orlo dell'eterodossia e dell'eresia, pullulavano ambigui fondatori di sette, nate sul terreno fermentante e spesso farneticante del francescanesimo più audace [...]".
Cfr. Camporesi, p. LIV.
[2] Cfr. Alfonso Di Nola, Il ciarallo come operatore rituale in "Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana", Bollati-Boringhieri, Torino 2001, p. 124.
Di Nola sottolinea nel suo studio come il ciarallo-ciarlatano abbia spesso a che fare con i serpenti:
"[...] i ciaralli si identificano spesso con i ciurmatori.
La classificazione linguistica più significativa è di Giammarco, che specifica: « ciarlatano, incantatore di serpenti, de' quali porta seco in una scatola un certo numero, e mostrandoli ai gonzi narra loro fatti strani per ingannare e trarre l'utile ».
Cfr. Di Nola, p. 124.
[3] Vedi il contributo di Angelo Caranfa, "Contro li mozzichi de le vipere": San Domenico tra i guitti.
L'articolo è consultabile al seguente indirizzo.
[4] Cfr. Giancarlo Baronti, Tra bambini e acque sporche: immersioni nella collezione di amuleti di Giuseppe Bellucci, Morlacchi, Perugia 2008, pp. 247-248.
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