martedì 18 luglio 2023

Madonna delle frecce: una traccia del culto di Artemide.


Il culto della Madonna riprese l'antica devozione per la dèa della caccia Artemide:
tanto che fu proclamato nella città in cui più forte era la devozione ad ArtemideEfeso.

L'antropologo Carlo Tullio-Altan scriveva...

« Il potere fieramente virgineo di Artemide, la dea femminile della caccia, è ben noto, ma non altrettanto noto è il fatto che il dogma della verginità di Maria venne proclamato proprio ad Efeso, città sacra di Artemide. » [1]

La Luna compie una rotazione intorno alla Terra in 27 giorni, il multiplo perfetto di 3:
3 x 3 x 3 cioè 3 elevato alla terza.

Per questo numero magico ad Artemide fu associata la Luna:
la Luna corrispondeva, in termini simbolici, al suo arco di frecce.

« "Artemide" era un appellativo della triplie dea-Luna.
[...] Al suo terzo aspetto, quello di Vegliarda, va attribuita la prerogativa di assistere ai parti e di scagliare frecce;
e l'età delle sue sacerdotesse, nove anni, ricorda che il numero dell'estinguersi della luna è tre volte tre
. » [2]

A differenza del Medio Evo, nel mondo pagano antico i dèmoni non si associavano alla Luna bensì al meriggio:
la Luna aveva, pertanto, un potere propiziatorio.

« Nel I idillio d Teocrito si allude al mezzogiorno come al momento in cui i demoni riposano ed è pericoloso disturbarli.
Per gli antichi il mezzogiorno era l'ora in cui gli dèi o gli spiriti scendevano a visitare la terra
. » [3]

La Madonna riprese dal culto di Artemide i Suoi principali attributi:
la Luna e le frecce.

Nel filtro iconografico, le frecce rimasero:
non più simbolo della caccia, ma oggetti pestilenziali.

La fede nella Madonna avrebbe scongiurato la pestilenza mandata da Dio in forma di frecce:
solo la Madonna, infatti, aveva la facoltà di neutralizzarle.

Nei gonfaloni dell'Italia centrale si vede spesso la Madonna intercettare le frecce pestilenzali scagliate dal Padre:
eccone uno (1472) -l'Eterno è dipinto sopra la testa della Vergine- del pittore Benedetto Bonfigli dalla chiesa di Santa Maria, presso il borgo di Corciano...

Post sul culto della nera Artemide Efesia:

Madre Nera e dèmoni protettivi: la dèa apotropaica e la Madonna Bruna.


Note alle immagini ---

_In apertura, xilografia con Madonna su falce di luna del pittore tedesco Albrecht Dürer, conservata presso il Museo Civico di Pescia.

_Il secondo dipinto è una tavola opera di un pittore romagnolo quattrocentesco, la "Madonna delle frecce": è indicata in una Scheda nel sito della Pinacoteca di Faenza.


Note al testo ---

[1] Cfr. Carlo Tullio Altan, Lo spirito religioso del mondo primitivo, Il Saggiatore, Milano, 1960, p. 320.

[2] Cfr. Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano, 1983,
nota 1 a p. 74.

[3] Cfr. Gian Luigi Beccaria, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Einaudi, Torino, 2000, p. 169.

lunedì 10 luglio 2023

Dio è colpevole: punire la divinità.

Platone, nella Repubblica, invitava a non incolpare il Dio per gli errori umani.
La responsabilità delle scelte era in capo agli uomini, e a loro soltanto.

« Non un demone sceglierà voi, ma voi sceglierete il vostro demone!

[...] La responsabilità è di chi fa la scelta;
la divinità è innocente
. »

Tutto il contrario di ciò che insegnava la Magia.
Gli dèi, e più tardi i Santi, erano colpevoli –eccome!– delle cattive scelte umane:
per metterli in guardia, si recitavano dei veri scongiuri che valevano come diffida...

« L'idea di infiggere un chiodo sul corpo del dio nasce dalla credenza che questo 'pungente promemoria' possa rammentare di continuo alla divinità la preghiera e la richiesta dell'uomo.

[...] È lo stesso concetto che sta alla base delle 'minacce' rivolte ai santi per incentivarli a concedere la grazia.

Esempio ne è un'antica filastrocca di Furore, nella costiera amalfitana, che recita:

Santo Jaco, miezo pazzo,
'o vottarono abbasco 'a chiazza.
Sant'Elia, puveriello,
'o vottarono d'a Purtella.
Sant'Agnelo, malandrino
'o vottarono dinte pino
.

Questa nenia rievoca la vendetta degli abitanti del luogo che, non ascoltati dai propri santi, li gettano in mezzo alla piazza o nelle profondità di un fiordo. » [2]

Nella stregoneria, inchiodare le sacre icone serviva a rammentare al feticcio - e più tardi, ai Santi - l'insistenza della richiesta.

La statuetta africana che trovai, anni fa, in un mercato d'antiquariato è solo una (piccola!) testimonianza di questa pratica.
In Umbria le invettive contro i Santi non erano violente come a Furore, ma avevano una perentorietà che non lascia adito a dubbi.

Quando il Santo suonava l'ora della Morte, non tutti i devoti erano pronti a riceverla:
così lo si allontanava con apposite maledizioni...

« Il valore di augurio infausto attribuito all'orologio di San Pasquale deriva da una credenza diffusa tra le classi rurali d'un tempo.
Secondo tale leggenda, il santo avrebbe avvertito i propri devoti con alcuni colpetti sul muro tre giorni prima della loro morte perché avessero il tempo di ravvedersi
.

[...] A Casali di Belforte (Preci) dicono: "benedetta quella casa che ce batte l'orologio". Nel Leonessano, quando si udivano i ticchettii de 'lu relloggiu de san Pasquale', si diceva:

"Orologio de san Pasquale, /
sóname bene o sóname male: /
se sóni bene statte, /
se sóni male vattene."
» [3]

Post sulle Icone inchiodate ---

Il feticcio inchiodato: indagine sul mito di Santa Rita.

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria.


Note alle immagini ---

_Sopra, miniatura con un armigero che brandisce la mazza dal manoscritto Ms 17 della British Library: folio 123v.

_In apertura, mascherone a grottesca morso da due mostri alati.

Miniatura tratta dal manoscritto Add ms 62925, visibile nel sito della British Library: folio 12 recto.


Note al testo ---

[1] Cfr. Platone, La Repubblica, Libro X [617 e], a cura di Giuseppe Lozza, Mondadori, Milano, 1990, p. 835.

[2] Cfr. Andrea Romanazzi, La Stregoneria in Italia: scongiuri, amuleti e riti della tradizione, Venexia, Roma, 2007, p. 159.

[3] Cfr. Mario Polia, Tematiche del pensiero religioso e magico in Tra cielo e terra: religione e magia nel mondo rurale della Valnerina, vol. II, Edicit, Foligno, 2009, pp. 440-441.