domenica 14 dicembre 2008

QUESTO PRESEPE E' UN FALSO - La vera storia del presepe di Greccio tra vacche guarite, oscure caverne e boschi sacri.

«È il primo presepe della tradizione cristiana», si è detto. «San Francesco, nella notte di Natale del 1223, fece apparire il bambin Gesù su una mangiatoia», si è detto anche. E giù sproloqui, «Francesco a Greccio realizzò il primo presepe della storia cristiana con il bambin Gesù tra il bue e l’asinello.»


Per carità, non andate più a raccontare queste storie in giro. Fonti alla mano, infatti, sono tutte false. E non si tratta di forzature ideologiche dettate dal sospetto ateismo del sottoscritto; per sconfessare questi racconti, divulgati per secoli dalla pubblicistica cristiana, infatti, non ci vogliono schiere agguerrite di medievalisti; basta una semplice lettura dei documenti.

Ma allora perché il presepe che realizzò San Francesco in uno sperduto borgo arroccato sull’Appennino umbro-laziale ebbe all’epoca tanto successo?
Come al solito, per trovare le risposte dobbiamo svestire i panni abituali del curioso e metterci a pedinare Francesco come dei veri detective, lungo uno dei sentieri che ne ha sancito più di tutti il successo. Il sentiero francescano di Greccio.
E la prima domanda con cui dobbiamo subito fare i conti è: ma perché proprio a Greccio il santo decise di allestire il presepe? Perché Francesco scelse questo castello minore, relitto dell’Alto MedioEvo, per compiere un gesto destinato all’intera comunità cristiana?
Tommaso da Celano, primo biografo di Francesco, ci fornisce degli indizi molto preziosi con un racconto che, se all’inizio appare gradevole, quasi idilliaco, nel finale invece assume risvolti a dir poco inquietanti…

Il santo si fermava volentieri nell’eremo di Greccio, sia perché lo vedeva ricco di povertà, sia perché da una celletta appartata, costruita sulla roccia prominente, poteva dedicarsi più liberamente alla contemplazione delle cose celesti. […]
Ora gli abitanti del luogo erano colpiti da diversi mali: torme di lupi rapaci attaccavano bestiame e uomini, e inoltre la grandine stroncava ogni anno messi e viti. Un giorno Francesco, mentre predicava, disse: “A gloria e lode di Dio onnipotente, ascoltate la verità che vi annunzio. Se ciascuno di voi confesserà i suoi peccati e farà degni frutti di penitenza, vi do la mia parola che questo flagello si allontanerà definitivamente e il Signore, guardando a voi con amore, vi arricchirà di beni temporali.[…]
Da quel momento, per i meriti e le preghiere del padre santo, cessarono le calamità, svanirono i pericoli e i lupi e la tempesta non recarono più molestia. Anzi, ciò che più meraviglia, quando la grandine batteva i campi dei vicini e si appressava al loro confine, o cessava lì o si dirigeva altrove.
Ma nella tranquillità crebbero di numero e si arricchirono troppo di beni materiali. E il benessere portò le conseguenze solite: affondarono il volto nel grasso e furono accecati dalla pinguetudine o meglio dallo sterco della ricchezza. E così, ricaduti in colpe maggiori, si dimenticarono di Dio che li aveva salvati. […] Si risvegliò contro di essi il furore di Dio e ai flagelli di prima si aggiunse la guerra e venne dal cielo un’epidemia che fece innumerevoli vittime. Da ultimo, un incendio vendicatore distrusse tutto il borgo.
È ben giusto che chi volge la schiena ai benefici vada in perdizione.
(cfr. ff. 621)

In due parole, Tommaso sostiene che il santo lodava l’amenità di Greccio e apprezzava anche la perfetta condotta cristiana dei suoi abitanti, salvo poi scatenare l’inferno contro i paesani rei di essersi arricchiti e di aver commesso qualche veniale peccatuccio di gola. Inutile dire che la storia è a dir poco surreale, e ci costringe a sfatare il mito dell’universalità del presepe.
Quello che Francesco fece a Greccio nella notte di Natale del 1223 per convertire questo popolo di miserabili peccatori fu un fatto circoscritto agli abitanti della valle, che erano guarda caso tutti pastori e contadini; tanto circoscritto che la sacra messa di Greccio non si svolse nemmeno a Greccio, ma in una caverna posta lungo un tratturo delle transumanze che saliva su dalle pendici del monte Lacerone (sopra, una foto del santuario oggi, con gli edifici aggrappati alle rupi scoscese). Ce lo racconta Tommaso con una freschezza narrativa che trasuda di pathos e poesia, ma che conferma i nostri sospetti sulla vera natura della strana cerimonia natalizia di Greccio.

Questa notte è chiara come pieno giorno e deliziosa per gli uomini e per gli animali! […] La selva risuona di voci e le rupi echeggiano di cori festosi. (dalla Vita Prima di Tommaso da Celano, cfr. ff. 469)

Anche Bonaventura, il biografo che nel 1263 fece piazza pulita di tutte le Vite di San Francesco rimaste in circolazione, nel narrare il fatto non fu da meno.

[…] il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose. (dalla Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, cfr. ff. 1186)

Leggendo si rimane increduli: la messa di Natale celebrata in una caverna con tanto di processione nel bosco? Ma i vertici della Chiesa erano stati informati del fatto?

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Trovate l'articolo pubblicato anche nel sito dell'Associazione Bibrax.

lunedì 24 novembre 2008

Francesco, lo stregone che piantava gli alberi


Disboscatori.

Se qualcuno chiedesse qual era la missione dei santi nel Medioevo, la risposta più pertinente sarebbe proprio questa.

Alberi sradicati e tronchi abbattuti.

Arbores demonibus consacratae:
alberi consacrati agli spiriti del Male.

Sradicarli produce, spesso, una resistenza violenta...

« Non potendo impedire a San Martino di abbattere il pino sacro, i pagani che egli affronta hanno l'idea di far cadere l'albero sul vescovo in modo da schiacciarlo nella sua caduta

[...] La Vita di San Valerio (scritta all'inizio del VII secolo) racconta come gli abitanti della valle della Bresle, presso Eu in Normandia, benché probabilmente già battezzati, venerassero un enorme tronco d'albero che il santo fece abbattere con pericolo della propria vita.

Anche nella vita di san Lucio si parla del "bosco di Marte", dove i bovari andavano per adorare dei vitelli come fossero dèi
. » [1]

Eppure il cristianesimo medievale non ha gioco contro queste credenze, talmente radicate nel mondo contadino da mettere a repentaglio la sopravvivenza di molte abbazie nel contado all’alba del tredicesimo secolo.

Francesco d'Assisi, per affermare la Sua predicazione, sostenne il culto degli alberi negli eremi da lui fondati.
Ne vediamo un esempio, tra i tanti, proprio alla Romita di Cesi...

« [...] posto sulla destra della via qui particolarmente scoscesa, s'innalza timido l'"Elce santo", chiamato dai locali: la "licina santa"; un leccio fortemente ripiegato "dove spesso il padre sancto Francesco se soleva posare". » [2]


L'articolo prosegue qui, corredato da immagini dal Sentiero della Romita.

◉ Un indizio sul culto degli alberi nell'iconografia francescana ---

Dov'è finita la mano? Indizi per un culto degli alberi alla Basilica di San Francesco.


Nota all'immagine ---

_La foto in apertura è stata scattata nel sentiero francescano che da Cesi conduce alla Romita degli Arnolfi.

La Romita -a lungo abbandonata- è l'unico eremo ad aver mantenuto l'austerità francescana primitiva.
Qui si venera l'Elce santo che, piegandosi, avrebbe fornito un riparo al poverello.


Note al testo ---

[1] Cfr. Jean-Claude Schmitt, Medioevo "superstizioso", Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 31.

[2] Cfr. Paolo Rossi, L'Eremita degli Arnolfi, storia di uno dei più autorevoli romitori della storia francescana, Catanzaro, 1996, p. 15.

venerdì 20 giugno 2008

Uccellacci & uccellini ...e uccellatori!
Il povero di Dio e un gustoso pollastro.



Come per le stimmate, anche quella che è stata costruita intorno agli uccelli è una faccenda che rasenta il raggiro.

E come per le finte ferite del santo-sciamano, anche sull’amore di Francesco per gli uccelli la propaganda religiosa ha costruito un sofisticato castello di carte per nascondere, dietro a un commovente aneddoto agiografico, un vero e proprio reato di stregoneria.
Ma procediamo con ordine.

Il primo assioma su Francesco d’Assisi che faremo crollare è il suo presunto amore per i pennuti.

Per occultare quello che la Predica agli uccelli effettivamente fu – un rito di magia pagana – la Chiesa s'inventò di sana pianta un animalismo ante litteram.

Di fatto per secoli, dietro la facciata rassicurante della Predica agli Uccelli, la Chiesa ha depistato i fedeli sui veri intenti politici del santo.
Al punto che gli agiografi, raccontando la vita di Francesco, andarono spesso in confusione per far coesistere i ‘misfatti’ dello stregone che tutti conoscevano, e che non si potevano proprio negare, con un santo dal pollice verde.

Tomaso da Celano fu il primo a cascarci, e in modo davvero clamoroso.

Nella Vita Seconda si mise a raccontare di come per onorare il santo Natale Francesco volesse intercedere presso l’imperatore per sfamare tutti gli uccelli del Regno.

Salvo poi narrare appena poche pagine dopo che il Poverello, colpito da un improvviso languore di stomaco, non si fece alcuno scrupolo di mangiarsi un uccellino per colazione!

« Se potrò parlare all’imperatore – diceva – lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno la possibilità debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza. » (Cfr. Tomaso da Celano, op. cit., ff. 788)

« Recuperate comunque in qualche modo le forze, camminando per la strada disse a Frate Bernardo che avrebbe mangiato un uccello, se mai ne avesse avuto uno. Ed ecco accorrere attraverso un campo un cavaliere con uno squisito uccello. »
(Cfr. sempre Tomaso da Celano, op. cit., ff. 857)

Possibile che san Francesco fosse un tipo così cinico da tenere all’ingrasso tutti i pennuti del Regno per farsi degli appetitosi spuntini?

Forse noi moderni abbiamo un'idea troppo edulcorata di un poverello che, messo davanti ad un bel piatto di pesce squalo, non si fece pregare a sbaffarlo!