venerdì 11 marzo 2016

Le acque uterine della Dèa:
all'Eremo di Santa Maria Giacobbe




Chi vuole esplorare il cuore medievale e superstizioso dell'Umbria, non può prescindere dalla visita di questo santuario. [1]

Si trova scavato nelle viscere di una rupe, sopra il piccolissimo borgo montano di Pale (vicino a Foligno).

Sul finire dell'800 Michele Faloci Pulignani, prete ed erudito folignate, descriveva con stupore la devozione che ancora suscitava malgrado fosse un posto inacessibile.

"[...] trovasi l'eremo edificato sul ciglio pericoloso di una rupe scoscesa che perpendicolarmente sotto di essa si abbassa per una grande altezza, ed è ripida e difficile tanto, che per salirla e giungere all'eremo fu d'uopo intagliare malamente sulla roccia una lunga serie di scaglioni, ed aprire a viva forza quà e là un malevole sentiero, che spesso conviene risalire quasi a carpone.

E tutto questo in un luogo dove non un albero, non un filo di acqua, non un pugno di terra, ma enormi macigni, che accennano sempre di precipitare nel fondo, e pochi sterpi che malamente germogliano fra quelle aride punte."


Poi monsignor Pulignani aggiunge alla sua descrizione una nota di terrore...

"Ho già detto che l'abside era formato in un modo molto singolare dalla stessa montagna, ma diciamolo pure, se ciò poteva essere una cosa originale, era pure una mostruosità;

mostruosità che la venerazione pel luogo rispettò lungamente, e tardò a fare scomparire fino ai primi anni del secolo XVI, quando nel punto ove la rupe comincia ad abbassarsi fu innalzato un piccolo muro di prospetto che tolse a quell'ambiente la figura di caverna, e se non gli dette eleganza, almeno gli procurò la forma di tempio
."


Nel muro fu aperta una specie di finestra affinché i devoti potessero ancora scorgere l'antichissimo affresco di Maria Giacobbe che reggeva il vasetto, dipinto secoli prima sul costone della caverna.

Un grande Eterno benedicente fu dipinto nel '300 a incombere sulla pittura rupestre, per ribadire che il Padre regnava su tutti, anche sulla titolare del santuario.

L'icona di Maria Giacobbe doveva avere qualcosa di potente, se i devoti per secoli incisero i propri nomi sulle pareti affrescate della caverna affinché la santa si ricordasse delle loro suppliche, come notava inorridito don Pulignani...

"Il lettore non potrà immaginare quanti sgorbi e quante sconcezze abbiano lasciate gli oziosi su quelle venerande pareti, e come non che contentarsi di piccoli spazi e questi non dipinti, abbiano invece voluto graffire le pitture da capo a fondo, non risparmiando alle figure il viso neppure, spesso scalcinando interi affreschi, pel gusto di segnarvi a grosse lettere il nome, e questo lasciare alla indignazione dei posteri." [2]

A don Pulignani non piaceva affatto l'affresco di Maria Giacobbe, in cui la donna era stata dipinta "brutta, lunga, fredda e stecchita".
Al contrario, la devozione popolare lo ha preservato fino a noi.
Cos'aveva di tanto prezioso?

La risposta si trova dietro il muro costruito nel Cinquecento, alla base del misterioso affresco della santa.


Nella strozzatura tra la parete rocciosa e il finto muro c'è un pozzetto da cui si attingeva l'acqua.

Questa era la ricchezza incommensurabile del santuario: la presenza di una vena d'acqua in un luogo inaccessibile dove, per citare don Pulignani, non c'era né un albero né un pugno di terra coltivabile, ma solo enormi macigni.

L'acqua sgorgava in una vasca scavata nella roccia, sul retro della chiesa-caverna...


Pare che le ragazze del paese, dietro compenso di un devoto, scalassero l'erta fino al sacello della Santa per invocarne le grazie.

Andrea Antinori, in una guida agli eremi rupestri dell'appennino umbro-marchigiano, riporta questa usanza leggendaria appresa da fonti orali dopo un passaparola di generazione in generazione:

"A Pale è ancora vivo il ricordo di un tradizionale pellegrinaggio «sostitutivo», dove un committente, a pagamento, per ottenere il beneficio, inviava in sua vece al santuario sette ragazze guidate da una donna sposata." [3]


Note al testo ---

[1] L'eremo e i suoi affreschi sono così importanti che ho dedicato loro un intero capitolo ne Il culto proibito della Dèa. Viaggio nei santuari dell'eresia mariana, Eleusi, Perugia 2011, pp. 33-55.

[2] Cfr. Faloci Pulignani, Dell'eremo di Santa Maria Giacobbe presso Foligno, Foligno, 1880.

[3] Cfr. Antinori, I sentieri del silenzio. Guida agli eremi rupestri ed alle abbazie dell'Appennino umbro-marchigiano, Società Editrice Ricerche, Foligno 2009, p. 101.

Post associato sulle acque mariane ----

La fonte magica nelle viscere del Santuario. Alla Madonna delle Fontanelle di Magione.

venerdì 12 febbraio 2016

Erylo, il mostro invincibile,
e i sette martiri della Scarzuola


Ne La Scarzuola, un santuario dimenticato avevo fatto un'ipotesi, partendo da ex-voto antichi ritrovati nella chiesa, sulla dèa che potrebbe celarsi dietro il culto della Santissima Maria della Scarzuola.

L'idea era nata dalla lettura di un classico, La religione romana arcaica di Georges Dumezil, in cui si parlava della ninfa Feronia, la dèa che regnava su boschi e paludi tra l'Umbria meridionale e la Sabina.


Che la Scarzuola fosse un pantano quando Francesco giunse qui lo prova l'origine del suo nome, la scarza, una pianta lacustre con cui i frati si costruirono le prime capanne.

La chiesa sorse dietro la 'fonte miracolosa' come in altri santuari mariani; per esempio, alla Madonna delle Fontanelle a Magione la grotta con la fonte si trova sotto il livello della chiesa.

I luoghi di culto sono spesso il risultato di secoli e secoli di devozione e stratificazioni.

Sotto il coro Marco Solari, l'attuale proprietario del complesso, ha ritrovato numerosi ex-voto antichi che ci indicano la presenza di un culto legato alle portentose acque terapeutiche della Scarzuola, già prima di Francesco...


Chi era questa ninfa Feronia?

Feronia era la dèa violenta della crescita miracolosa: risanava i devoti che accorrevano alle sue fonti e scagliava fulmini contro chi osava profanare i Suoi santuari.

Tracce di un culto dei fulmini si ritrovano anche qui alla Scarzuola, e soprattutto nel soprastante borgo di Montegiove, dove furono rinvenute ai primi del '900 dall'archeologo Cesare Simoni delle statuette del Giove folgoratore (Iuppiter Elicius), come narra lui stesso ne Il castello di MonteGiove, opuscolo stampato in soli 50 esemplari numerati di cui edito la dedica della copia n. 3 conservata alla Scarzuola...


Secondo il mito, Feronia diede alla luce un mostro -Erylo- con tre teste e tre corpi: difficile era ucciderlo.
Tanto che Evandro dovette trafiggerlo tre volte per avere la meglio su di lui:
come narra Virgilio nell'Eneide...

nascenti cui tris animas Feronia Mater
(horrendum dictu) dederat: terna arma movenda,
ter leto sternendus erat
** [...]

Il mito di Feronia era un'allegoria della forza selvatica dei boschi su cui regnava la ninfa.

Forse è una semplice coincidenza, ma anche sulle pareti della chiesa alla Scarzuola c'è una storia di sangue.
Anzi, delle storie di sangue multiple.

Sono gli affreschi dei sette martiri francescani:
Donnolo, Angelo, Ugolino, Leone, Nicolao, Samuele e Daniele.
Malgrado essi siano feriti mortalmente in più punti, la fede nella Madonna li rende immortali.

Tutti orrendamente trafitti, eppure ancora vivi.

Scorgere in queste pitture splatter l'eco del mito di Erylo, forse, è troppo.

Ma come ho detto all'inizio, agiografia e mitologia hanno un comune retroterra fantastico.

L'immaginazione serve (proprio) a studiarne i 'misteri'.




Note ---

*Del culto dei fulmini parlavo anche in un vecchio post, Il culto dei fulmini nei santuari francescani.

**Eneide, Liber Octavus, vv. 564-566.

giovedì 14 gennaio 2016

Il Duce francescano:
l'esperimento umbro prima del Concordato...

Le sacre radici dell'Umbria hanno fatto sempre gola a tutti.

Recentemente i nostri amati politicanti a caccia di facile consenso stanno discutendo se inserire, come memoria identitaria,
Francesco d'Assisi e Benedetto da Norcia nello Statuto della Regione Umbria
.

Niente di strano!
È un'operazione di propaganda che viene da lontano...


Benito Mussolini fu il primo a pensarci quando l'Umbria stimolava solo la fantasia pruriginosa di qualche nostalgico del gotico*.

In occasione dei 700 anni dalla morte del Poverello, il Duce colse la palla al balzo per promuovere con la Chiesa una nuova politica distensiva. Politica che culminerà tre anni dopo coi Patti Lateranensi.

L'annuncio del Duce riemerge ne L'Italia francescana, libro stampato sulla scia dell'omonima rivista per commemorare il lieto evento...


Parlando di Francesco d'Assisi, Mussolini diede fiato alle trombe**.

"Il più alto genio alla poesia, con Dante; il più audace navigatore agli oceani, con Colombo; la mente più profonda alle arti e alle scienze, con Leonardo.
[...]
Nel 1926 si compiono settecento anni dalla morte di S. Francesco, e l'Italia con anima nuova, più pronta a sentirlo, si rivolge al ricordo del sublime suscitatore."


Ai tempi di Mussolini, l'Umbria era una periferia contadina retta dal patto di ferro tra clero e agrari.

Il Duce la conosceva bene.

Non è un caso se proprio da queste parti, per l'esattezza dall'hotel Brufani di Perugia, siano partite quattro anni prima le camicie nere per la Marcia su Roma, come narrava un'epigrafe trionfale, oggi scomparsa, apposta il 30 ottobre del 1923 sulla facciata dell'hotel e di cui ho trovato due foto preziose nelle cartoline della collezione privata di Adriano Piazzoli.



Le radici dell'Umbria saranno pure sacre.
Ma è un sacro che spesso si è tinto di sangue.


Note ---

* Viollet Le Duc, il celebre architetto neogotico francese, si chiuse nelle Basiliche di Assisi un giorno intero per schizzare disegni.
John Ruskin, giudicando Firenze "falsa", se ne fuggì in Umbria alla ricerca di architetture più primitive.
-- Cfr. Francesco Quinterio, Percorsi d’Architettura in Umbria, a cura di Raffaele Avellino, Folino: Edicit 2010, p. 518.

** Chi ha letto il mio primo libro, Lo stregone di Assisi, il volto negato di San Francesco, ricorderà che ne parlavo a p. 91.

giovedì 24 dicembre 2015

Boschi sacri:
l'ascia di san Felice
all'abbazia di Sant'Anatolia di Narco

In un vecchio post, Francesco, lo stregone che piantava gli alberi, raccontavo che i monaci nell'Alto Medioevo furono prima di tutto dei feroci disboscatori.

Una traccia preziosa è sopravvissuta sulla facciata della chiesa abbaziale di San Felice a sant'Anatolia di Narco, un piccolo capolavoro del romanico spoletino.


Sotto il rosone, un fregio riporta due bassorilievi con i miracoli compiuti da san Felice: la resurrezione del figlio di una vedova e l'abbattimento a colpi d'ascia di un temibile drago, colto proprio mentre esce dalla sua tana...


L'arma usata dal santo è molto eloquente: ci racconta come i monaci attuarono la famigerata 'bonifica benedettina' per estirpare il paganesimo nelle campagne.

L'ascia è un indizio prezioso.
Qui intorno doveva esserci un bosco sacro, prima che san Felice facesse il 'miracolo'.

L'interno della chiesa è abbastanza tetro, con una scalinata scenografica che proietta l'altare in un'altra dimensione [1].


Passeggiando nella navata emerge qualche tardo affresco superstite.
Ecco di nuovo il nostro povero drago in un ex-voto, trafitto stavolta da san Michele.


San Felice è praticamente sconosciuto alle fonti, eppure anche molto popolare in zona (a due passi si trova il borgo di Castel San Felice!).

Secondo l'agiografo Ludovico Iacobilli, san Felice -da non confondersi con quello dell'abbazia di Giano dell'Umbria!- era un monaco siriano figlio di un certo san Mauro [2].

Morì il 16 giugno 535. Nella Cripta della chiesa è conservato il suo sarcofago protetto da una impenetrabile gabbia di ferro.

A vederla da vicino, questo san Felice ci fa ancora un po' paura!


◉ Sull'abbattimento del drago pagano, vedi:

La Dèa nel drago: rovesciamento del Femminino.

➔ Il Vescovo abbatte il dragoscolpito in due chiese umbre:

Il vescovo e il drago: una battaglia per immagini alla chiesa di San Giovanni Profiamma.

San Crescenziano abbatte il drago:

Il drago a difesa della Madre: la falsificazione di un mito pagano.


Note al testo ---

[1] La scalinata dell'altare di San Felice non è né l'unica esistente in Umbria né la più scenografica!
Ne ho esaminate altre nel post Le scale di Dio: la scena del potere al tempo di san Francesco.

[2] La testimonianza di Iacobilli è riportata per intero in Abbazie benedettine in Umbria, di Francesco Guarino e Alberto Melelli, Quattroemme 2008, p. 139.

martedì 8 dicembre 2015

Tre malefiche Civette alla Libreria Cavour...

Domenica 19 dicembre alle ore 17 e 30 avrò l'occasione di presentare il libricino Ambarabaciccìcoccò / Tre Civette sul comò : storia di un maleficio presso la Libreria Esoterica Cavour di Perugia.


Credo non ci sia location migliore!
La libreria infatti è a due passi dal Museo Archeologico dell'Umbria, dove si trova un ingrediente preziosissimo per cucire la nostra storia: la collezione degli Amuleti di Giuseppe Bellucci.

Il Bellucci era un medico perugino con la passione per il magico che raccolse ai primi del '900 la più grande collezione di amuleti moderni italiani.

Non fu affatto facile farlo. Molti venditori, sentendolo parlare, erano assaliti dal terrore: un diavolo poteva aver assunto le sue fattezze per ottenere gli amuleti e usarli poi contro di loro!


Nell'introduzione al suo libro sugli amuleti, Bellucci racconta questa storia che oggi sembra assurda:

" Molto spesso ebbi a lottare con quella diffidenza straordinaria, che, volendo raccogliere oggetti di tal genere comunemente s'incontra, avendo a fare con genti sospettose, credule, gelose fino allo scrupolo dei loro sentimenti e dei loro pensieri; con genti paurose, che nella semplice dimanda relativa a determinate credenze, a particolari sentimenti, intravedono il pericolo di esser colpite dai funesti effetti del malocchio, dai malefizi o dalle fatture delle streghe e degli stregoni, dalle astuzie o dalle blandizie del diavolo.

È credenza generale difatti, che le streghe, gli stregoni e i diavoli possano presentarsi agl'incauti sotto le parvenze più belle, più simpatiche, più seducenti; possano presentarsi talora anche sotto la veste di un galantuomo e valersi perfino dell'intermediario di persone generalmente riconosciute, quali esempi di rettitudine e di specchiata onestà!* "

Le civette che si trasformano in aitanti giovani e seducono la figlia del dottore, vi ricordano qualcosa?

---Nota

*Cfr. Un capitolo di psicologia popolare : gli amuleti, Perugia : Unione Tipografica Cooperativa, 1908, pp. 5-6 (Ristampa anastatica - Il Formichiere, Foligno 2012).

lunedì 9 novembre 2015

Gemellaggi pagani, presentazione ad UmbriaLibri!


Domenica prossima 15 novembre ad UmbriaLibri presso l'abbazia di San Pietro si terrà alle 17:00 la presentazione ufficiale de "L'Origine del culto dei Santi" di Pierre Saintyves, nell'AULA C del suggestivo Chiostro delle Stelle (il terzo chiostro dall'ingresso!).

Coadiuvato dal professor Franco Mezzanotte, mostrerò per l'occasione una serie di 'doppioni' sacri, santi che sembrano dèi ma non lo sono...

Come questa deliziosa Santa Caterina d'Alessandria miniata da Taddeo Crivelli a metà '400, che ha con sè la ruota del martirio.


Il libraio parigino Henri Estienne nel '500 fu il primo a pensare che sotto l'iconografia bizzarra di Caterina d'Alessandria, una santa del tutto leggendaria, si nascondesse la dèa Fortuna e la sua ruota.

In effetti, se prendiamo Evrart de Conty ed il suo Libro degli eccessi amorosi dove è miniata una dèa Fortuna nell'atto di far girare la Ruota, le somiglianze balzano subito all'occhio!


I denti della ruota e l'aureola cucita sulla testa di Caterina sembrano essere gli unici elementi a distinguerla da Fortuna.

Eppure esistono delle raffigurazioni in cui perfino i denti della ruota spariscono e Caterina si ritrova in testa una più regale corona, come in questa miniatura tratta dal Salterio Burnet conservato ad Aberdeen.

Quella di Caterina che trionfa sul nemico pagano sembra più una Ruota simbolica che uno strumento di tortura!



Se il tema vi stuzzica, non mi resta che darvi appuntamento a domenica...

lunedì 28 settembre 2015

Poveri beati & Poveri sfigati:
san Francesco e i suoi 'colleghi' straccioni

Essere poveri è sempre stata una disgrazia?

Diamo un'occhiata a questa bella miniatura tratta dal Libro del Biadaiolo in cui è raffigurato un triste effetto delle carestie:
la Cacciata dei poveri da Siena.



« A Siena nel 1329, dopo la decisione dei Nove di non mantenere più con elargizioni di cibo i poveri della città, scoppiarono violenti tumulti.
[...]
Soffocata la rivolta seguirono una dura repressione con arresti, bandi, torture, impiccagioni, e infine la decisione di cacciare tutti i poveri fuori dalle mura della città [1]. »

In basso a destra, un gruppo di straccioni viene sospinto fuori da soldati armati fino ai denti:
un'operazione di Ordine pubblico in piena regola.

Eppure nel MedioEvo fare il povero dava anche accesso a dei veri privilegi.

Un nome a caso:
Francesco di Bernardone, il Re dei poveri benedetto da Dio,
aveva diritto ad un trattamento speciale, sia quando era ospite del potente cardinale Ugolino sia quando soggiornava nei palazzi vescovili
.

Le fonti francescane ce lo ricordano spesso, ma l'aneddoto del piatto al pesce squalo mi ha sempre fatto sbellicare:

" Quando era gravemente infermo nel palazzo vescovile di Assisi, i frati lo pregavano di mangiare.
Francesco rispose: « Non ho voglia di mangiare; se però avessi di quel pesce che si chiama squalo, forse lo mangerei ».

Ebbe appena espresso questo desiderio quando si fece avanti un tale con un canestro dove erano, ben cucinati, tre grandi squali e pasticci di gamberi, che il padre santo mangiava volentieri.
Glieli inviava frate Gerardo, ministro a Rieti.

I frati, ammirando la divina provvidenza, lodarono il Signore che aveva provveduto al suo servo un alimento che, essendo inverno, non era possibile trovare in Assisi [2]
."

Mi sovviene un dubbio:
il poverello sarà mica morto per indigestione?


Note alle immagini ---

_La miniatura sopra, con una balena che vomita pesci, proviene dal manoscritto Ashmole 1511, visibile nel sito della Bodleian Library: folio 86v.

_La miniatura in apertura mostra la Cacciata dei poveri da Siena: folii 57-58r.
Wikipedia dedica al Libro una pagina.


Note al testo ---

[1] Il passo è citato da un bel libro di Arsenio e Chiara Frugoni: Storia di un giorno in una città medievale, Editori Laterza, maggio 2004, p. 80.

[2] Specchio di perfezione, Capitolo 111 (ff 1811).
Lo stesso aneddoto è riportato nella Leggenda perugina o Compilazione di Assisi (ff 1599).


Post correlato ---

Una guerra tra 'Poveri': quando si faceva a gara per vivere di elemosine.