martedì 9 ottobre 2018

Liturgie popolari: le origini magiche del Girotondo.


Per indagare le antiche superstizioni, i mercati d'antiquariato sono il mio terreno di caccia preferito!

Qui si trovano spesso oggettini insoliti: è il caso di questa placca in ottone che ornava la testiera di un letto...


Cosa raffigura?

Alcuni amorini danzano in cerchio sotto le fronde di un albero di quercia su cui sono assisi dei suonatori che, armati di tromba e tamburello, dettano il ritmo ai danzatori.

Viene proprio da dire: che scena graziosa!
Eppure ci fu un tempo in cui scene di questo tipo destavano terrore nel mondo clericale, che faceva di tutto per demonizzarle.

Ce ne accorgiamo sfogliando il Compendium Maleficarum del frate Francesco Maria Guaccio, dove alle pagine 77-78 si nota una xilografia (vedi qui il testo da Google Libri) fin troppo esplicita...


Uomini e donne danzano in cerchio stringendo la mano a dei diavolacci!
Un suonatore detta loro il ritmo appollaiato su un albero, le cui foglie sono chiaramente quelle di una quercia.

Il mondo pagano dei pastori era intriso di giocosi riti ancestrali.
Al punto che la Chiesa nel MedioEvo concepì le sue feste sacre spesso in contrapposizione a questi sollazzi.

Nel Libro d'Ore di Charles d'Angoulême della Bibliothèque Nationale di Parigi al folio 20 verso, una miniatura ci mostra chiaramente i due mondi: l'angelo in alto, celeste come il cielo, srotola il cartiglio con la Lieta Novella ai pastori lascivi, intenti a danzare in cerchio intorno ad un albero con delle donne...


La stessa immagine ci viene proposta in un celebre manoscritto della Morgan Library di New York (qui trovi la riproduzione integrale del folio), con un piccolo dettaglio da notare:
al centro del cerchio non c'è più l'albero: è rimasto solo il suonatore di zampogna -la musica non deve mancare per scandire la danza!

L'angelo spunta sempre in alto a rovinare la festa, ma nessuno sembra lo voglia ascoltare.


Perché era così importante danzare in cerchio?

Nella magia il cerchio ha il potere di assicurare la protezione.
È un concetto che recupererà poi il magus rinascimentale, il quale per praticare aveva bisogno di schermarsi dalle forze ostili.

Sulla copertina del Doctor Faustus (datata 1620) del commediografo inglese Christopher Marlowe, campeggia una xilografia molto chiara: il mago Fausto pratica dentro un cerchio ed il demonio non può che rimanerne fuori, impotente...



Nella magia popolare danzare in cerchio non era soltanto un passatempo giocoso, ma un vero e proprio rito di consacrazione.

Tanto che la Chiesa cercò di tollerare il più possibile questa ritualità, includendola nelle feste paesane dei suoi Santi.

I pittori Peter Brueghel, sia il Vecchio sia il Giovane, dipinsero molte scene di girotondo.
Tra queste, è interessante dare uno sguardo alla Kermesse di San Giorgio del giovane Brueghel. Il mito della danza sacra intorno all'albero sopravvive intatto nella festa cristiana...


La danza in cerchio con al centro l'albero era spesso demonizzata nella cultura medievale religiosa, come prodotto di degradazione e stregoneria.

Nel Roman de Lancelot du Lac, Lancillotto si avventura in un bosco dove libera un gruppo di uomini e donne prigionieri di unadanza stregata.
Il manoscritto MS Fr. 122 della Bnf al folio 137 verso (visionabile su Gallica) ci mostra proprio i danzatori prigionieri del girotondo intorno all'albero, e Lancillotto (a destra) che interviene a slegarli.



Il vestirsi da animali, cervi o conigli, animando con le donne catene umane di pazzi danzanti, era una pratica sconveniente da tenere sotto controllo.

Ce lo mostra bene un famoso manoscritto della Bodleian Library di Oxford, il Bodl. 264, dove al folio 21 verso si nota nel margine della pagina una catena folle di uomini mascherati che si stringono a delle pulzelle, mentre il fraticello moralizzatore spunta nell'angolo destro brandendo un randello!


Pierre Saintyves nel suo libro sulle Rondes Enfantines (1919) narra la terribile maledizione che padre Ruperto scagliò contro un gruppo di pagani, che disturbavano con un gran baccano la messa da lui celebrata:

« Erano maledetti. Un tale volle staccare a forza da questo girotondo infernale la sorella che amava tanto. Inutilmente! Le strappò le braccia dal corpo e lei non ne sentì alcun male, non una goccia di sangue uscì dalle sue vene, non protestò, non emise un solo lamento. Continuava a danzare come gli altri.

La terra sprofondava sotto i loro piedi. In estate erano già nella fossa fino alle ginocchia; in inverno fino al collo. Ma la loro danza non cessava. Era orribile a vedersi! »

Cosa spaventava tanto le autorità religiose in questo rigurgito festaiolo di paganesimo?

Il timore che il mondo pagano potesse riemergere e scalzare i dignitari ecclesiastici dal loro scranno era sempre presente, tanto che in Francia si teneva dopo il Natale cristiano la Festa dei folli, un momento di delirio collettivo che andava dal 26 al 28 dicembre.

Tale festa era tollerata e incentivata dalle autorità come una valvola di sfogo: far sfogare il popolo con le sue gozzoviglie era il modo più efficace per tenerlo sotto controllo.

Durante la Festa si eleggeva il Vescovo dei Folli, la suprema autorità (non-)religiosa che avrebbe regnato nell'arco dei tre giorni, quando era del tutto normale vestirsi da animali e animare pazze danze in girotondo.
Ce lo mostra un'incisione di Pieter van der Heyden: dei folli incappucciati ballano intorno ad un palco (al posto dell'albero!), su cui sono assisi dei suonatori...


L'albero, centro del girotondo, si trasformerà nella ghigliottina durante il Terrore della Rivoluzione.
Le gerarchie avevano ottimi motivi per vedere nella danza in cerchio un'espressione pericolosa del godimento popolare.

Sulla sommità dell'albero non c'erano più i suonatori, ma il berretto frigio dei sanguinari rivoluzionari, come si vede in questa curiosa stampa settecentesca dal museo Carnavalet di Parigi......


Il regista futurista Anton Giulio Bragaglia lo spiegava nel suo saggio sulle Danze popolari italiane, nel 1950:

« La ronda si balla intorno alla zampogna o alla fisarmonica da noi [...].
Si balla attorno all'Albero della libertà o attorno alla ghigliottina come la Carmagnola della Rivoluzione francese, che trae il nome dal paesetto del Piemonte
. »

Il girotondo divenne sinonimo di sangue quanto prima lo era stato di vizzi e bagordi.
Bragaglia ci racconta come la danza avesse aspetti 'demoniaci':

« Ancora al tempo di Carlo Quinto nelle danze di San Giovanni [...] i ballerini si mettevano tutti nudi, con una corona di fiori nel capo e ballavano in ronda, all'infinito, sino a cadere in terra come i tarantati [1]. »


Il ricordo ancestrale della danza a catena sotto l'albero era ancora forte nei nazionalisti slavi ai primi del '900.

Quando il pittore Alfons Mucha di ritorno da Parigi mise mano ad un colossale ciclo patriottico per il Comune di Praga, aveva bene in mente i poteri della ronda in cerchio contro il potere cattolico austro-ungarico.

Il Giuramento di Omladina si compie sotto il Sacro Tiglio: gli adepti del Movimento che lo contraggono, si stringono in cerchio sotto le fronde dell'albero...



Quella che colpì il Girotondo fu una censura inconscia?
Mica tanto!

Della danza magica intorno all'albero a fine Ottocento non rimarrà altro che un ameno gioco infantile per un processo di obliterazione della memoria, come ci mostra un quadro del pittore inglese Frederick Morgan (1856–1927) conservato alla Towneley Hall Art Gallery nel nord dell'Inghilterra...



Ho deciso di pubblicare una traduzione del libro di Saintyves sui girotondi magici per rendere disponibile una testimonianza su un antico rito popolare della magia.

Il saggio, scritto ormai un secolo fa e quasi dimenticato, è corredato -come mi piace fare!- da una piccola digressione d'immagini che introducono il lettore nei riti delle 'Liturgie popolari' descritti da Saintyves.

E come non dedicare la copertina alla placca in ottone trovata al mercatino, da cui tutta la nostra storia ha avuto inizio?



Pratiche magiche associate al cerchio ---

Anelli di protezione: "In questo cerchio v'è una strega..."

➔ Sulla divinazione in Cerchio nelle Fonti ---

L'Oracolo del cerchio: una divinazione ballata nei Fioretti di san Francesco.


Nota al testo ---

[1] Cfr. Anton Giulio Bragaglia, Danze popolari italiane, Enal, Roma 1950, pp. 52 e 63.

lunedì 23 luglio 2018

Al tempo in cui Mamma Oca era una strega, ovvero la Signora che possiede gli uccelli...


Tempo fa alle Scuderie del castello di Miramare, in una bella mostra sul Liberty, mi è capitato di fare un incontro imprevisto.

Tra sedie, pannelli e oggetti d'uso quotidiano, c'era anche un singolare manifesto praghese del 1910:
Vratislav Nechleba, XXXI Esposizione Artisti Visivi Mànes [1].
Il pittore ceco vi aveva raffigurato una donna a seno nudo, dagli occhi cerulei ed i capelli rossicci, sormontata da due pennuti.

Tre attributi inequivocabili: gli occhi, i capelli, gli uccelli.
Avevo davanti una strega!


Ai primi del '900, diversi artisti riempivano le loro opere con suggestioni stregonesche.

Queste suggestioni erano già tutte presenti nello scrittore classico Apuleio, che nelle Metamorfosi ci narra la trasformazione della strega Panfile in un gufo per soddisfare un desiderio amoroso.

Lucio, il protagonista del romanzo, osserva incredulo la strega nuda compiere il prodigio, sbirciando dalla serratura della porta:

« Ed ecco ciò che vidi.
Dapprima Panfile si spoglia di tutte le vesti, poi apre un bauletto e ne estrae alcuni vasetti, leva il coperchio a uno di essi, ne trae fuori una pomata, se ne sfrega a lungo le palme e si unge tutta, dalle unghie dei piedi alla cima dei capelli; quindi, dopo un lungo e segreto colloquio con la lucerna, è scossa per tutto il corpo da un tremito insistente.

Al tremito sottentra poi un lieve palpitare, mentre sul corpo spunta una molle peluria, crescono delle robuste penne, il naso si incurva e si indurisce, le unghie s'ispessiscono e si fanno adunche.
E così Panfile diviene un gufo.
Emette uno stridulo lamento, spicca piccoli salti sul pavimento per provar le sue capacità, poi s'innalza e vola via al di fuori con l'ali spiegate [2]
. »



Il timore per le streghe che si legavano agli uccelli è facilmente spiegabile.

In latino, c'è una stretta assonanza fonetica tra avis (uccello) e avus (nonno).
Come spesso succede per il potere magico della parola, da un'assonanza scaturisce una continuità.
La stessa affinità tra i nonni e gli uccelli è alla base della figura fiabesca di Mamma Oca [3].

Nell'immaginario antico, la strega possedeva gli uccelli per avere il controllo sugli uomini.

Dominare gli uccelli voleva dire controllare il ciclo riproduttivo, rendere cioè gli uomini sterili, incapaci di avere discendenza.


Il timore per le streghe ammaliatrici, capaci di causare impotenza, era molto diffuso.
I due inquisitori Sprenger ed Institor nel Malleus Maleficarum (1620, sopra il frontespizio) riportano il caso inquietante di una dolce pulzella tedesca, rea di aver operato un maleficio sessuale.
Il suo spasimante avrebbe minacciato di strangolarla, se la presunta 'strega' non gli avesse fatto una masturbazione liberatrice...

« Nella città di Ratisbona un giovane aveva un legame con una fanciulla. Quando volle lasciarla, perse il membro virile come per effetto di un sortilegio e quello che gli appariva e che lui toccava era solo un corpo piatto.
[...]
E allora il giovane, al crepuscolo, si appostò sulla strada da cui abitualmente passava la strega e quando la vide si mise a pregarla di rendergli l'integrità fisica.
Lei si dichiarò innocente e affermò di non saperne niente.

Allora, gettandosi su di lei, le passò un panno intorno al collo e premendo con forza la stringeva dicendo: "Se non mi rendi l'integrità, morirai per mano mia".
Lei non poteva più gridare e cominciò a diventare tumefatta e nera in volto: "Liberami", diceva, "e ti guarirò".
Il giovane sciolse il nodo e allentò la morsa e la strega lo toccò tra le cosce con la mano dicendo: "Adesso hai quello che desideri".

Come raccontò in seguito, il giovane, prima ancora di assicurarsene con la vista e con il tatto, aveva avvertito distintamente che il membro gli era stato restituito soltanto dopo essere stato toccato dalla strega
. »

(Cfr. Heinrich Institor, Jakob Sprenger, Il martello delle streghe: la sessualità femminile nel transfert degli inquisitori, traduzione dal latino a cura di Armando Verdiglione, Spirali, Milano 2003, pp. 213-214.

Su Google Libri si può visionare l'Opera originale).



L'immagine della strega che domina l'uccello e cavalca la scopa era un transfert fin troppo chiaro(!).
Anche Freud ne parlava.
In una lettera al collega e seguace Wilhelm Fliess, datata
24 gennaio 1897, il padre della Psicoanalisi così scriveva:

« L'idea di chiamare in causa le streghe sta acquistando sempre maggiore vitalità, e secondo me, è anche pertinente.
Incominciano ad affollarsi i particolari: trova spiegazione il "volare": la scopa che esse cavalcano è probabilmente il grande Pene [4]
. »

La strega che assume le sembianze di un uccello era un'ossessione così ricorrente che molte immagini silenziose ce la raccontano.

A Perugia se ne trova scolpita una curiosissima (di età medievale?), su una formella murata in via Appia.



Basta alzare lo sguardo all'inizio dell'Acquedotto, oggi reso pedonale, per accorgersi della sua presenza proprio sopra la porticina di una casa al civico 15...



Coincidenza! Il cavaliere perugino Cesare Ripa aveva pubblicato a Padova nel 1625 per Pietro Paolo Tozzi il suo famoso Trattato d'Iconologia: alla voce Superstizione si vede chiaramente una donna attorniata da tre uccelli, come narra lui stesso nella descrizione dell'Allegoria:

« Una vecchia che tenga in testa una Civetta, alli piedi un Gufo da una banda, dall'altra una Cornacchia... »


Immagini come queste non erano solo reminiscenze classiche da polverosi eruditi.

Frantisek Kupka (un altro artista ceco!) disegnò nel 1901 una donna-uccello per illustrare un'inquietante poesia di Edgar Allan Poe: The Conqueror Worm.

Si alza il sipario.
La donna-uccello avanza con il ventre gravido...

« Mimi fatti ad immagine di Dio,
vocian fra loro o mormorano chiocci,
ed errano qua e là, meri fantocci,
in faticoso eterno tramestio
al vedere degli esseri spettrali
che muovon gli scenari ed i teloni,
e lasciano cader dalle grand’ali
le tenebrose maledizioni
. »


Non finisce qui.

Alberto Martini, artista veneto visionario con un debole per le streghe, realizzò nel 1915 un disegno molto esplicito:
gli occhi della civetta compongono un nudo femminile in cui il becco dell'uccello coincide con l'ano della donna...


I mostri delle vecchie superstizioni, in realtà, sono a noi più vicini di quanto sembri!

Nella Prefazione all'Opera grafica di Martini, edita nel 1975, Leonardo Sciascia motivava i suoi riferimenti demoniaci come reazione ad un ambiente cattolico opprimente...

« Che l'artista più misterioso, più decadente e più surreale dell'Italia post-unitaria; quello che più si svolge sotto i segni della carne, della morte e del diavolo

[...] che questo artista sia nato nella regione la più segnata dal cattolicesimo tridentino ed asburgico, a noi pare evento sufficientemente motivato se non addirittura ovvio.

La rivolta, come la bestemmia, non può che nascere da una condizione di divieti, paure e ossessioni di cui le religioni cristiane - anche quelle separatiste e protestatarie - son fitte » .


Note alle immagini ---

_La mostra, memorabile!, alle Scuderie del Castello di Miramare era "Il liberty e la rivoluzione europea delle arti", e di seguito ne riporto la locandina...



_L'insolito manifesto di Nechleba è riportato in Luca Quattrocchi, La secessione a Praga, L'editore, Trento 1990, p. 118.
La stessa immagine si trova pubblicata nel catalogo della mostra triestina a p. 236, nel capitolo conclusivo L'arte del manifesto, ma senza alcun commento.

_ La xilografia che illustra la trasformazione di Panfile nuda in gufo, è tratta dall'edizione veneziana delle Metamorfosi:
L. Apulegio tradotto in volgare dal Conte Matteo Maria Boiardo, in Vinegia, 1544.

_ Ho già citato la formella perugina con la strega-uccello in "Ambarabaciccìcoccò. Tre civette sul comò: storia di un maleficio" a p. 22.
La manipolazione degli uccelli da parte delle streghe è, a mio avviso, la chiave per capire le fornicazioni della figlia del dottore nella filastrocca italiana, ed i timori per la perdita di reputazione di una rispettabile figlia della borghesia.

_ L'edizione padovana di Iconografia del Ripa con le preziose xilografie è sempre consultabile su Google Libri.

_ Il disegno di Kupka con la donna-uccello si trova anche pubblicato in Lara-Vinca Masini, Liberty, Art nouveau, Giunti, Firenze 2009, p. 267.
Poche righe di commento su un personaggio, Kupka, descritto come « strano, meditativo, imbevuto di occultismo e di astrologia ».

_ Nel catalogo grafico di Martini, il disegno della 'donna-civetta' è menzionato con il titolo di FELINA e viene indicato come:
Litografia su pietra, mm. 123 x 85.

Cfr. Francesco Meloni, L'opera grafica di Alberto Martini, prefazione di Leonardo Sciascia, SugarCo Edizioni, Milano 1975,
p. 138.


◉ Sull'equivalenza donna-strega:

Atena era una strega? La tribù della civetta e le maschere rituali.

◉ Sul dominio della sessualità, e il controllo delle nascite, attribuito alle streghe:

Le streghe e gli aborti: il Noce che rende libere.

◉ Sulle streghe accusate di far sparire i bambini, vedi:

Lo darò al diavoletto / Che lo tiene un mesetto: cantilene stregate.


Note al testo ---

[1] Il nome « Manes » la dice lunga sugli intenti culturali del circolo praghese.
In latino, Manes sono le anime dei defunti.
Diversamente dalla Secessione viennese (i cui esponenti desideravano accantonare le tradizioni), gli esponenti di Manes volevano imporre la cultura modernista attraverso la riscoperta delle antiche radici boeme.
Il «romanticismo epico-slavo» di Manes è alla base della «propagazione del modernismo in Boemia» .

Cfr. Quattrocchi in La secessione a Praga, Op. cit., p. 23.


[2] Cfr. Apuleio, Le Metamorfosi o l'Asino d'oro, traduzione di Claudio Annaratone, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997, p. 205.


[3] Un fine linguista come Mario Alinei dedica a questa cruciale affinità una delle parti culminanti del suo famoso studio in due volumi sulla Teoria della continuità:

« Come è noto, il latino auca "uccello, oca", da avica (cfr. avicellus > uccello), si collega all'italiano oca e al francese oie "oca".
Ora, il personaggio fiabesco che da il nome alla famosa raccolta di Perrault, ma mère l'oie "mamma l'oca", sembrerebbe indicare che avica poteva significare non soltanto "piccolo uccello", ma anche "piccola antenata". »

Cfr. Alinei, Origini delle lingue d'Europa, Il mulino, Bologna 2000, p. 636.


[4] Cfr. Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904. Editore Boringhieri, Torino 1986, p. 257.

domenica 15 aprile 2018

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Sfogliare libri d'arte è il mio trastullo preferito:
capita spesso di trovarci spunti imprevisti!

È il caso di questo 'paramento sacro' del 1904 dal Taideteollisuusmuseo di Helsinki : autore l'architetto e disegnatore finlandese Armas Lindgren...


Il bello è che l'opera non sembra avere niente di 'sacro'!
Dov'è la croce? Dov'è il rosario?

Si vede solo una struttura fitomorfa guarnita di spine che termina in un cuore. In basso, tante roselline grondano sangue.

I nostri parametri estetici non sono più quelli di cento anni fa, così come il nostro senso del sacro.
Le spine e le rose erano molto presenti agli inizi del secolo scorso nell'immaginario decorativo europeo.

A Perugia, camminando per via Alessi, ho trovato sopra un portone di civile abitazione uno dei tanti lavori in ferro battuto che raccontano la suggestione della rosa e delle spine.
Anche qui niente di sacro, a prima vista!



Tanti aculei coronano una rosa.
È un'estetica che afferriamo a fatica, oggi che l'immaginario rurale è così distante dal nostro sentire.

Se diamo un'occhiata al frontespizio della rivista di devozione ritiana "Dalle api alle rose" edita nel 1950, troveremo la stessa immagine con un chiaro rimando religioso.

Rita contempla le api che svolazzano sopra la sua testa.
Secondo la leggenda narrata dal Cavallucci, proprio quelle api l'avrebbero trafitta da piccola nella culla [1], presagio del sommo supplizio della spina che Le si conficcò anni dopo sulla fronte mentre era in contemplazione di un Crocefisso!

Nel controfrontespizio del giornalino troviamo la famosa Rosa con le spine, emblema del culto ritiano...



Guai a credere che queste rose siano solo frutto di una suggestione estetica!

Tutti gli aculei, dalle spine ai chiodi, evocano le sofferenze umane e il loro uso nella stregoneria non era affatto simbolico.

Paolo Bartoli in un libricino di qualche anno fa parla della "magia delle punte", e tratteggia le origini arcane di questo rito...

« La "magia del ferro" e la "magia delle punte" sarebbero dunque confluite a creare la "magia del chiodo", coniugando la forza apotropaica del "toccare ferro", con quella degli strumenti appuntiti (spilli, coltelli, forbici aperte, forconi o tridenti, ecc.) che da tempo immemorabile sono stati usati come armi rivolte contro le streghe, gli spiriti maligni ed altri esseri malefici [2]. »

Inchiodare il male equivale a disinnescarlo.
All'inizio del secolo scorso, e in particolare nei paesi di lingua tedesca, l'inchiodatura era ancora un potente mezzo di scongiuro.

L'eco di quella febbre collettiva per i chiodi era giunto alle orecchie dell'eccentrico collezionista perugino di amuleti Giuseppe Bellucci, che un anno dopo la fine della Grande guerra inaugurava il suo libro sui chiodi raccontando di una statua inchiodata propiziatoria, eretta anni prima nella piazza del Municipio di Trieste per raccogliere fondi da destinare agli orfani dei soldati austriaci caduti.

Le autorità triestine invitavano ad infilzare più chiodi possibile nella statua!

Bellucci così scriveva...

« Ad iniziativa della famigerata Società Austria, nel giorno suindicato [20 luglio 1916, anniversario della gloriosa battaglia navale di Lissa, in cui gli austriaci avevano umiliato lo schieramento italiano nella Terza Guerra d'Indipendenza, n.d.a.], nella piazza Grande di Trieste, di fronte al Palazzo municipale, veniva pertanto inaugurato con grande sonennità un monumento in legno, alla presenza delle autorità civili e militari e con l'intervento dei Consoli dei Paesi alleati all'Austria.

[...] Ma perché codesto monumento fu costrutto in legno e non, come di solito, in marmo od in bronzo?

[...] Il proclama dell'inaugurazione invitava con parole ampollose la popolazione Triestina, non solo a battere molti chiodi sul marinaio austriaco, ma soggiungeva che rappresentando esso la potenza dell'Austria sul mare Adriatico, era dovere di ogni buon Triestino di manifestare, almeno con un chiodo battuto, tutto il fervore del patriottismo, inteso alla maniera dell'Austria dominatrice [3]. »

Di questa insolita 'raccolta fondi' -almeno per noi che non siamo più legati alle vecchie superstizioni- si è conservata una testimonianza preziosissima alla Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste!



Foglietti come questo venivano rilasciati a tutti coloro che versavano l'obolo per inchiodare la statua.
Si legge sulla matricola:

« Il proprietario di questo foglio, inscritto nella madre sotto il
Numero... 15414


battendo un chiodo di ferro nel Marinaio in ferro, ha contribuito ad un'opera eminentemente patriottica ed umanitaria perché il ricavo andrà ad incremento dell'I. r. Fondo di provvedimento per le vedove ed orfani di militari di questa città
. »


➔ Sul ferimento del dio e agiografia di santa Rita ---

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria


Note alle immagini in apertura e in chiusura ---

_Ho tratto la prima immagine qui pubblicata dal bel catalogo sull'Art Nouveau di Gabriele Fahr-Becker, edito per Konemann, Koln 1999, in Scandinavia: coscienza nazionale alla "luce del Nord", p. 298.

_La matricola di cui qui riporto uno scatto, si trova presso la Biblioteca Hortis con la seguente collocazione:
R.P.Misc. 0200 00800.


Note al testo ---

[1] Al monastero casciano è presente un dipinto anonimo in cui la boccuccia della piccola Rita è dipinta « come una ferritoia aperta all'esterno », dove le api entrano in processione.
Per il quadro che illustra l'episodio, vedi il post :
Il feticcio inchiodato ---indagine sul mito di Santa Rita
.

Cfr. anche Breve racconto della vita e dei miracoli della beata Rita: dipinti del 17° secolo del Monastero di Santa Rita da Cascia, testi di Pietro Amato, Mario Bergamo, Toti Carpentieri, Terni 1993.

[2] Cfr. Bartoli, Tocca ferro : le origini magico religiose delle superstizioni su fortuna e sfortuna, Protagon, Perugia 1994, pp. 127-128.

[3] Cfr. Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia, 1919, pp. 2-4.


Post correlato sugli idoli infilzati ---

Del potere di trafiggere gli idoli nella cultura tribale, e delle analogie di questa cultura con certe raffigurazioni medievali, ho parlato in San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria.

giovedì 25 gennaio 2018

Una guerra tra 'Poveri': quando si faceva a gara per vivere di elemosine.




Dario Fo aveva ribattezzato san Francesco "il giullare di Dio", e non aveva così torto!

Le sceneggiate sulla pubblica piazza a cui il figlio del più ricco mercante di Assisi ricorreva per farsi pubblicità, erano memorabili.

La Leggenda perugina [1] ci narra il dietro le quinte di un vero pezzo di teatro, quando Francesco impartì istruzioni nel chiuso della Cattedrale di Assisi ai suoi frati su come dovessero fingere di punirlo davanti al popolo, per aver sorseggiato del brodo di carne!

« Allora il beato Francesco si tolse la tonaca e ordinò a frate Pietro [Cattani, il primo compagno] di trascinarlo così nudo davanti al popolo, con la corda che aveva al collo. A un altro frate comandò di prendere una scodella piena di cenere, di salire sul podio dal quale aveva predicato e di là gettarla e spargerla sulla sua testa.

[...] Frate Pietro si mise a trascinarlo, conforme al comando ricevuto, piangendo ad alta voce assieme agli altri frati. Quando fu arrivato così nudo davanti al popolo nella piazza dove aveva predicato, disse: "Voi credete che io sia un sant'uomo [...] Ebbene, confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità mi sono cibato di carne e di brodo di carne".

Quasi tutti scoppiarono a piangere per pietà e compassione verso di lui, soprattutto perché faceva molto freddo ed era d'inverno, e lui non era ancora guarito dalla febbre quartana
. » (ff 1610)

Francesco aveva la stoffa del grande attore.
Ma quando qualcuno gli rubava la parte, andava su tutte le furie!

Tommaso da Celano nella Vita Seconda ci racconta la reazione scomposta del Poverello quando seppe che due frati si erano fatti crescere la barba, tutto per simulare una condotta più austera della sua...

« Gli fu riferito un giorno che erano stati ricevuti dal vescovo di Fondi due frati, i quali, sotto pretesto di un maggior disprezzo di sé, coltivavano una barba più lunga del conveniente.

[...] Il santo si alzò di scatto e levando le mani al cielo con il volto inondato di lacrime, proruppe in queste parole di preghiera o piuttosto di maledizione: " [...] Da te, o Signore santissimo, e da tutta la curia celeste e da me tuo piccolo siano maledetti quelli che con il loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo tu hai edificato " » (ff 740)

Francesco temeva sempre che qualcuno gli sfilasse lo scettro di Re dei Poveri!

Ma le vere insidie al Poverello venivano dal fronte esterno: il Duecento era pieno di finti cenciosi.

Tra loro c'era anche una curiosa compagnia di sbandati-organizzati, che avevano un vero nome da battaglia: i "Saccati".

Il frate parmigiano Salimbene de Adam [2] nella sua Cronaca li descrive con uno strisciante disprezzo, lamentandosi del pauperismo facile di questi copioni che scimmiottano i frati, minacciandone il primato...

« [...] e chi vuole si mette un cappuccio e si fa una nuova Regola da religiosi mendicanti [2].
Questi subito si moltiplicarono di numero, ed erano chiamati con ironia e malizia "boscaioli".

Passato del tempo si fecero degli abiti non più di lana grezza, ma di lino, e sotto avevano tuniche ottime, al collo invece un mantello di sacco e perciò furono chiamati "Saccati".

E si fecero dei sandali alla maniera dei frati minori.
Poiché tutti quelli che vogliono inventare un nuovo Ordine e una nuova regola, sempre mendicano qualcosa dall'Ordine del beato Francesco, o i sandali o la corda o anche l'abito
. » (ff 2656)

La 'guerra tra Poveri' che frate Salimbene descrive in questo passo, non dipendeva da esibizionismo fine a se stesso.

Essere riconosciuti dal Papa con un privilegio era un vero affare!
Significava avere diritto a ricevere donazioni dai laici, anche molto ingenti.

Non a caso Salimbene conclude la sua descrizione dei "Saccati" accennando al Privilegio di Povertà, concesso dal Papa ai frati per tutelare il 'copyright' di Francesco...

« Ma ora l'Ordine dei frati minori ha ottenuto un privilegio papale che fa divieto a chiunque di portare un abito per il quale possa essere ritenuto frate minore. » (ff 2656)

Fine della concorrenza!


Nota sull'immagine in apertura ---

L'affresco qui pubblicato proviene dalla chiesa di Santa Maria in campis presso Foligno, e raffigura San Tommaso Apostolo attorniato dai poveri, che fanno ressa intorno a lui chiedendo l'elemosina.


Nota sulle Fonti ---

[1] La Legenda Antiqua Perusina, più nota come Compilatio Assisiensis o per segnatura come MS 1046, fu scoperta solo ai primi del '900 dal padre francese Ferdinand Delorme in un deposito della Biblioteca Augusta di Perugia.


In Augusta il prezioso manoscritto era finito con la demaniazione del patrimonio ecclesiastico; il timbro di Provenienza « Bibliothecae Montis Perusiae » è ancora ben leggibile sul bordo inferiore...



Delorme presentò la sua scoperta nel 1926 in occasione del famoso Centenario francescano in un libro: La legenda antiqua sancti Francisci, texte du ms. 1046 de Perouse, edite par le p. Ferdinand Delorme, Paris : Editions de la France franciscaine.
Sotto, il frontespizio dell'Opera e il passo qui citato...




Recentemente padre Marino Bigaroni ha riordinato il testo del Delorme, cambiando anche il nome del documento da Legenda Antiqua Perusina a Compilatio Assisiensis, perché a suo dire era:

« l'unico testo che noi abbiamo sicuramente assisano di queste tanto ricercate fonti primitive, scritto e riposto in quell' "armario", che allora dovette essere anche l'archivio più autorevole dell'Ordine. »

L'episodio della punizione di Francesco [Delorme, 39] si trova in Bigaroni al paragrafo [80].
Cfr. Bigaroni, San Francesco d'Assisi dagli scritti dei suoi Compagni: compilazione d'Assisi dal ms. 1046 di Perugia,
Edizioni Porziuncola, 1987.


[2] Frate Salimbene racconta la concorrenza spietata tra 'poverelli' per diritto divino e finti poveri, anche in un altro passo della sua Cronaca:

« [...] quanti vogliono indossano un cappuccio e si mettono a mendicare, gloriandosi di aver fondato un nuovo Ordine.
Ne viene una grande confusione nel mondo, perché i secolari ne restano gravati, e per quelli che si affaticano con la parola e con lo studio
[cioè i frati, n.d.a.], per i quali il Signore ha stabilito che vivano del Vangelo, non ci sono elemosine bastanti. » (ff 2630)


Post correlato sulla Povertà ---

Mi ero già soffermato sull'ostentazione del pauperismo tra i frati.
Vedi il post:
Poveri beati & Poveri sfigati: san Francesco e i suoi 'colleghi' straccioni .

Nota sulla traduzione ---

Per i testi delle agiografie seguo sempre le Fonti Francescane, Editrici Francescane, Padova 2004.

martedì 5 dicembre 2017

In nome di Ecate: i roghi alle porte e le penne degli uccelli.


C'è un legame strettissimo tra le penne degli uccelli e le pene degli uomini: vi sembra assurdo?

A Perugia una vecchia superstizione prescriveva di bruciare a notte fonda i cuscini, se avevate il sospetto che una megera vi avesse scagliato contro una fattura!

Le zone in cui si consumavano questi riti per togliere il malocchio erano due famosi crocicchi: i Tre Archi al quadrivio di Santa Croce e soprattutto, nella zona opposta della città, l’oscura Porta Trasimena detta anticamente della Luna.

« Il "Quadrivio” di porta Trasimena [era] tradizionalmente considerato un luogo infausto perché qui venivano bruciate le “piume affatturate” dei cuscini, sprigionando i malefici che vi erano rappresi [1]. »



Questo luogo della città pare avesse una fama più che sinistra.

Posta nella direzione del lago Trasimeno, a questa porta nelle matricole medievali si trova associato il colore blu [2], forse per indicare le acque lacustri o forse perché qui il sole tramontava, e al giorno seguiva la notte:
come ci suggerisce il bassorilievo di una mezza Luna crescente, scolpito a destra della chiave di volta...



Anche la via che conduce a questa zona dal corso principale si chiama via della Luna, ed indica nella toponomastica una contrapposizione semantica tra le due parti della città.




La porta Trasimena si trova infatti nell'urbanistica perugina opposta a porta Sole, il punto più ad est della città antica da cui proveniva la luce del sole mattutino.

« La porta che guardava ad Ovest prendeva nome dalla Luna. E non poteva essere altrimenti: se la porta del Sole guardava ad Est, in direzione del Sole, la porta della Luna non poteva che essere situata dal lato opposto; di conseguenza la porta della Luna era in stretta relazione con la lunare pars hostilis, e qualcuno, in tempi passati, sembra che abbia voluto sottolineare questa sua caratteristica, infatti sopra l’arco medievale della porta è rappresentata la luna crescente [2]. »

Come è noto, ad Ecate piacevano le scene oscure!

In particolare i crocicchi delle strade, dove le sue statue trifronti proteggevano i viandanti dalle insidie notturne.
Era una superstizione radicata fin dal MedioEvo, tanto che queste zone si consideravano i luoghi migliori per evocarne i poteri...

« Gli antichi credevano che Ecate facesse le sue apparizioni nei quadrivi, e da quest’idea nacque la credenza, conservatasi nell’Età Moderna, che ai quadrivi si corresse soprattutto il rischio di incontrare il diavolo.
Da qui la credenza che agli incroci delle vie si potesse evocare il diavolo; ovviamente, era altrettanto facile incontrarvi coloro che erano in rapporti con il diavolo.
Martino di Arles ricorda l’usanza di accendere di notte fuochi nei quadrivi
, “ne inde sortilegae et maleficae transitu faciant[3]. »

Di più.
In latino, l'analogia fonetica tra le pene degli uomini [poena-ae] e le penne degli uccelli [penna-ae] aveva alimentato la superstizione secondo cui le streghe legassero il malocchio proprio alle piume!

Ecco perché la comparsa di un uccello del malaugurio era così temuta, e tra gli uccelli quelle che si credevano essere le più assidue collaboratrici delle streghe: le civette.

L'immagine fosca della civetta come apportatrice di sventura non era solo un retaggio remoto del MedioEvo, ma è sopravvissuta indenne fino a ieri.
Ancora ai primi del '900 erano frequenti i roghi dei cuscini alla nostra porta della Luna; questo immaginario stregonesco, radicato in tante parti d'Italia, alimentava un universo di suggestioni che un gruppo di pittori toscani, animatori del Caffè livornese Bardi, impresse nelle proprie tele...



Tra loro, qui mi piace citare Benvenuto Benvenuti con le sue Tre civette in due versioni diverse (sopra), e soprattutto Gabriele Gabrielli, pittore di soggetti macabri e allucinati (sotto, un gufo attorniato da teste demoniache), morto suicida giovanissimo nel 1919.
Sulla sua figura eccentrica ancora si scriveva nel 1947:

« Gli scheletri sono i suoi migliori amici, così pure i gufi, le civette e tanti altri uccelli notturni dal becco adunco e gli occhi scintillanti che sembrano narrarci i più riposti segreti della natura [4]. »



◉ Come vedere le streghe ai Trivi ---

Falce di Luna: la magia del forcone.


Nota alle immagini ---

Sopra, Susanna davanti alla Porta.
Miniatura tratta da una Matricola trecentesca dell'Arte dei Notai, Biblioteca Augusta di Perugia.

_La penultima opera qui citata, un olio su tela di Benvenuti, è interessante perché allude ai poteri numinosi attribuiti alla civetta in età classica, molto diversi dall'immagine funesta che la civetta assumerà poi dal MedioEvo.
L'artista, non a caso, intitola il suo quadro in cui la luce emerge da una grata: "Le civette (La fucina della sapienza)".


Note al testo ---

[1] Cfr. Perugia, Guide Electa Umbria, a cura di Massimo Montella, Editori Umbri Associati 1993, p. 98.

[2] Cfr. Mauro Menichelli, Templum Perusiae. Il simbolismo delle porte e dei rioni di Perugia, Futura, Perugia 2006, pp. 245-246.
_ Sempre Menichelli nel suo studio insiste sul legame tra le forze oscure e il colore associato alla Porta :

« Il colore azzurro del rione di porta S. Susanna era quindi legato al simbolismo delle acque della morte e queste, sia per la loro grande profondità, sia per essere in stretto rapporto con il mondo infero, richiamavano le tenebre e quindi il colore nero. »

[3] Cfr. Giuseppe Bonomo, La caccia alle streghe, Palumbo, Palermo, 1959, pp. 27-28.

[4] Cfr. Mario Citti, L’arte tormentata del pittore Gabrielli in Gabriele Gabrielli. Un allievo spirituale di Vittore Grubicy al Caffè Bardi, a cura di Francesca Cagianelli, Pontedera 2008, p. 118.


Post sugli Uccelli e il Dominio delle streghe ---

La strega che domina gli Uccelli (evidente allegoria sessuale), al punto da trasformarsi in essi, è un tema molto sfruttato nell'Arte, dal MedioEvo all'ultimo secolo.
Nel seguente post, alcuni spunti:

Al tempo in cui Mamma Oca era una strega, ovvero la Signora che possiede gli uccelli...


Post sulla Porta del Sole ---

A Perugia, opposta alla porta della Luna e speculare ad essa, era la zona solare dedicata alle divinità del fuoco e al forgiatore Vulcano, soppiantato poi da san Lorenzo nel sincretismo cristiano.

A questo argomento ho dedicato il post: Dal Tempio di Vulcano alla Cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Costruire un culto in 3 semplici passi.


Approfondimenti ulteriori...

_I contenuti di questo post sono un'elaborazione del primo capitolo del mio libricino "Tre civette sul comò. Storia di un maleficio":
« I roghi nei crocicchi. Le penne da bruciare al trivio di Ecate ».

_ Riguardo alle raffigurazioni di Ecate tricefala, un curiosissimo caso di sincretismo religioso è certo quello della Madonna tricefala all'abbazia di San Pietro, che mai mi stancherò di sottolineare e a cui ho dedicato due post:
*Madonna a Tre Teste: incredibile affresco all'abbazia di San Pietro a Perugia!
*La Madonna a Tre Teste e quei due angeli sospetti...

_ L'associazione della Porta della Luna a santa Susanna (Susanna è l'unica figura femminile ad essere accostata alle porte perugine nelle matricole medievali) ci suggerisce come le acque adombrate in questa porta non indicassero in origine il Lago Trasimeno, bensì fossero quelle del ciclo menstruale, a cui le lunazioni anticamente venivano associate.


lunedì 25 settembre 2017

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria


Oggi voglio condurvi nella chiesetta perugina di Santa Croce [1] al quadrivio dei Tre Archi.

Una chiesetta medievale tra tante, tutto sommato dimessa, raro trovarla aperta.
Se non fosse per un affresco staccato a forma di lunotto che, malgrado le sue condizioni deteriorate, merita da solo la visita e ci rammenta l'antica pratica dell'inchiodatura dei Santi:
Mater Misericordiae tra san Sebastiano e un angelo...





Il dipinto, forse del pittore quattrocentesco Benedetto Bonfigli [2], narra un rito apotropaico tipico della stregoneria cristiana in tempo di pestilenze.

--- Attenti ai dettagli!

Il popolo è assiepato sotto il manto della Vergine, refugium peccatorum, e ne invoca la clemenza mentre il Padreterno sta scagliando le frecce pestilenziali sopra la sua testa...


Nell'affresco Sebastiano funziona proprio come un parafulmine: intercetta le frecce scagliate dall'Altissimo e implora la Vergine con uno scambio di cartigli gustosissimo, che anticipa i fumetti!

Lo storico dell'arte Federico Mancini nella sua monografia sul Bonfigli [2], riporta una ad una le battute...

« Per queste piaghe che er ci rude alquanto /
Per lo tuo amore et lo figliolo tuo /
Te priego Madre che lo priege tanto /
Che essaudisca questo popul suo
».

Alla destra del dipinto è l'angelo sterminatore che, per intercessione di san Sebastiano, ripone magicamente lo spadone...



« La risposta a san Sebastiano è contenuta in un cartiglio che si trova alla destra della Vergine, sopra la figura dell’angelo che ripone la spada nel fodero:

“Martir beao con humilie chore /
Se essaudito e pero Agnolo cruo /
Remette l’arme e la crua spada”
.

L’angelo ubbidisce. Per questo sopra la spada è scritto: “Fiat”. »

Confesso di non amare granché le lezioni di storia dell'Arte:
sono tremendamente noiose!


Guardiamo bene però il nostro Sebastiano.
La sua iconografia ci racconta una succulenta superstizione popolare: l'inchiodatura dei feticci a scopo terapeutico.


Trasmettere il dolore sul corpo del santo o dell'idolo, per far assorbire il male e renderlo innocuo, ha origini molto antiche.

Nella stregoneria africana ancora agli inizi del secolo scorso era una pratica apotropaica molto frequente, e può capitare d'imbattersi in una statua inchiodata proveniente dall'Africa profonda nella collezione di qualche antiquario etnico.

Ve ne propongo una molto famosa dal Musée de l'homme al Quai Branly di Parigi, che ebbi il piacere di visitare alcuni anni fa:
non trovate una certa somiglianza con il nostro caro Sebastiano?


Le agiografie spesso si affermavano per cristianizzare miti e credenze superstiziose precedenti, retaggio della Stregoneria: il caso di san Sebastiano è emblematico!

Morto secondo la leggenda sotto l'imperatore romano Diocleziano, la sua fortuna iconografica è attestata guarda caso solo dalla fine del Trecento con l'avvento delle grandi epidemie, quando il popolo era disperatamente in cerca d' interventi portentosi.

Nell'immaginario religioso tardo-medievale si affermò l'idea che invocare il Sebastiano crivellato di frecce potesse far cessare il male, scagliato dal Padreterno per punire il popolo!

In realtà questa credenza era in perfetta continuità con la vecchia Stregoneria, che prescriveva d'inchiodare i feticci per estinguere il male degli uomini.

L'antropologo Giuseppe Bellucci ci racconta il fine di questa pratica oscura osservata ancora ai suoi tempi nelle 'case-feticce' dell'Africa, ove gli stregoni conservavano i loro idoli pronti per l'inchiodatura...

« E là entro che gli ogangas, osservando certe pratiche rituali, fanno loro quelle offerte che hanno ricevuto dai fedeli, permettendo poi ai richiedenti, come a coronamento della pratica, ch'essi configgano un chiodo nella statua-feticcio.

Adempiendo questo rito verso una forma antropomorfa o zoomorfa, che agli occhi ed alla mente dei negri di Loango deve apparire come cosa sacra, l'indigeno accompagna il martellamento del chiodo con la fiduciosa espressione che il suo desiderio venga esaudito; che il feticcio provi una sensazione pungente, la quale valga a fargli ricordare la persona e la preghiera da essa avanzata [3]. »


Da notare in entrambe le statue che vi ho mostrato la struttura in basso a forma circolare, dove pare gli stregoni collocassero uno specchio per stornare gli spiriti maligni!

San Sebastiano crivellato di frecce è un parente stretto di tutte queste statue inchiodate: prima di trasformarsi in un'icona gay, il mito superstizioso di Sebastiano servì a rimpiazzare i vecchi feticci.

In barba a quanti pensano che il '400 fosse il secolo splendente degli umanisti!


Post sull'inchiodatura delle Sacre Icone ---

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Nota all'immagine ---

L'immagine sopra è un San Sebastiano attribuito al pittore bolognese Cristoforo di Jacopo (1480) dal Museo Diocesano di Norcia.

Ho tratto l'immagine dal catalogo di una mostra memorabile di qualche anno fa: "Matteo da Gualdo. Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche", a cura di Eleonora Bairati, Patrizia Dragoni. Electa - Editori Umbri associati, Perugia 2004.


Note al testo ---

[1] Sulla chiesa è stato pubblicato recentemente uno studio
di Fabio Palombaro in cui si associa l'affresco - riprendendo lo storico ottocentesco perugino Serafino Siepi - alla peste del 1348:
"La chiesa di san Giuseppe già chiesa di Santa Croce in Perugia", Tozzuolo 2015.

[2] È proprio Mancini a proporre l'attribuzione al Bonfigli, sostenendo che l'affresco si collochi a metà del '400:

« Posto erroneamente in collegamento con la peste del 1348, il dipinto è in realtà inscrivibile in un ambito di cultura molto vicino agli esordi del Bonfigli. Ne consegue una datazione molto più avanzata, non distante dagli anni cinquanta del Quattrocento ».
Cfr. Francesco Federico Mancini, Benedetto Bonfigli, Electa Editori Umbri, Perugia 1992, pp. 50-51.

[3] Cfr. Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia 1919, pp. 233-234.

giovedì 3 agosto 2017

Un adoratore del Sole braccato dall'Inquisizione - Lo strano caso del beato Pietro...



Fraticelli, Spirituali, mistici deviati.

L'Inquisizione era costretta a fare gli straordinari per tenere sotto controllo tutti questi matti, che specie in Umbria [1] andavano in giro vestiti di stracci e millantavano poteri sovrumani!

Quando non si trovava il modo di metterli a tacere, l'extrema ratio era farli santi. Quantomeno beati.

Uno di questi eretici mancati è sopravvissuto con la sua iconografia ambigua alla chiesa dei santi Severo e Agata, un gioiellino medievale a Perugia incastonato in via dei Priori...


L'uomo che qui siamo venuti a cercare è Pietro Crisci da Foligno.

Il suo ex-voto si trova sulla parete sinistra, a fianco dell'altare.
Pietro gode dello spazio in condominio con i due santi titolari della chiesa: Agata e Severo.

A cosa si deve tanto onore?
Il beato Pietro non era morto da troppo tempo († 1323) quando il suo ritratto fu collocato -intorno alla metà del Trecento- a fianco dei due leggendari martiri romani: osserviamolo da vicino.

Cos'è quell'omiciattolo nell'angolo in alto a destra che Pietro sembra invocare?



Pare che il beato Pietro fosse un adoratore del Sole: rimaneva lungamente a pregarlo senza rimanerne abbagliato!
Questo almeno è ciò che narra la sua agiografia...

« [...] postosi a rimirare i vivi raggi del Sole, fuori d'ogn'ordine fissava in quello immobilmente e senza offesa, né abbagliamento alcuno lo sguardo »

« [...] tanto prolungava avanti al Sole esposto la sua oratione, che mille volte, il che non si dice per iperbole, effettivamente si inginocchiava lodando il buon Giesù, che quivi Pietro vedeva e adorava [2]. »

Subito dopo la sua morte, fu elevato alla gloria degli altari a furor di popolo, malgrado le sue pratiche ascetiche solitarie insospettissero non poco l'Inquisizione che lo aveva già sottoposto a ben due interrogatori, prima a Foligno poi a Spoleto.

« I figli del diavolo cominciarono a sobillare l'inquisitore, con subdole e maligne parole [...]
Quando l'inquisitore li sentì, dispose di inviarlo a Spoleto, affinché fosse nuovamente esaminato e, se lo avesse trovato in errore, avrebbe proceduto contro di lui come contro un eretico [2]
. »

Perché mai un "nobile e ricco de' beni di fortuna" come Pietro, all'improvviso si era infilato in un sacco bianco praticandovi dei buchi, e si era messo a pregare il Sole?

Un altro indizio sulla grande popolarità di cui godeva il beato Pietro, si trova in una delle chiese più interessanti del contado folignate: Santa Maria in campis.
La chiesa sorge su un'antica area di sepoltura; la tradizione funeraria si è conservata nei secoli perché oggi questa è la chiesa del cimitero di Foligno...



Rimaneggiata più volte, la chiesa -di fondazione benedettina- è un piccolo museo di pittura tardo-medievale.

Superata la porticina di sinistra, troviamo subito schiacciato nell'angolo un ex-voto deteriorato ma molto eloquente, a ridosso della Madonna in maestà con san Pietro.

Il nostro ricercato sembra disinteressarsi a ciò che gli sta intorno, ed è ritratto sempre nella medesima posa che tanto piaceva ai suoi devoti coloni: in adorazione del Sole.


Com'è possibile che la Chiesa abbia incentivato un culto solare che non si fondava sulle Scritture, ma su reminiscenze vagamente pagane?

Semplice: l'idea che abbiamo oggi dell'Inquisizione è troppo integralista.

Il tribunale non si abbatteva indiscriminatamente contro tutti: una cosa erano gli stregoni di campagna che praticavano incantamenti in modo clandestino, e i pretastri del sottobosco clericale.

Discorso diverso per quei (pochi) eretici -che spesso erano anche ricchi possidenti- i quali riuscivano ad ottenere un vasto consenso popolare.

Con loro la Chiesa trattava. E se erano collaborativi, potevano perfino aspirare alla gloria degli altari!

Il consenso accumulato a Foligno e dintorni dal beato Pietro era tale che il Comune proclamò festa grande per il giorno della sua morte (dies natalis).
La sua fama in Umbria bastava a chiudere un occhio su astrusi dettagli teologici:

« [...] entro la prima metà del Trecento il suo dies natalis veniva inserito nel novero delle festività che il Comune considerava Custodiendae, ovvero di eminente carattere pubblico tanto da prevedervi la sospensione di ogni attività giurisdizionale del podestà, del Capitano del popolo e di tutti gli officiali comunali. »

« Non basta, perché fu stabilito per legge straordinaria che, nello stesso giorno e anniversario, ciascuno nel contado di Foligno dovesse astenersi dalle opere servili, stando al vecchio statuto municipale della città di Foligno redatto nel secolo XIV, dove sotto la rubrica "Le festività da rispettare", si registra la festa di san Pietro da Foligno [3]. »


Note al testo ---

[1] Il professor Gioacchino Volpe alla metà del secolo scorso scriveva che « l'Umbria era terra fertile per simili erbacce » e li definiva come « la varia figliolanza più o meno degenere del Santo d'Assisi ».
Cfr. Volpe, Ultimi bagliori nell'Umbria al principio del XIV secolo in Movimenti religiosi e sette ereticali, Sansoni, Firenze 1971, pp. 200-204.

[2] Cfr. Nicolò Barnabò, Vita del Beato Pietro Cresci da Foligno, in Foligno, 1626
in Pietro Crisci: beato, confessore, compatrono di Foligno, Diocesi di Foligno, 2010.

[3] Cfr. Mario Sensi in Pietro Crisci: beato, confessore..., Op. cit., pp. 33 e 106.


Un approfondimento sull'Umbria ereticale ---

Isabella Gagliardi anni fa in un saggio sull'argomento, spiegava bene questa tolleranza della Chiesa in Umbria verso alcuni 'eretici':

« La Chiesa tollerò sia Pietro Crisci sia Tommasuccio [un profeta apocalittico francescano che visse nello stesso periodo, n.d.a.], altro rigido credente originario di Foligno, suo malgrado.
Li tollerò perché il popolo li venerava e ravvisava in loro due santi cittadini, due grandi e potenti intercessori presso Dio. Li tollerò perché l'Umbria era percorsa da tensioni spirituali fortissime e l'ansia di purificazione e di rinnovamento era sempre sul punto di esplodere e di conformarsi in maniera "illegittima"
. »

Cfr. Gagliardi, Pazzi per Cristo: santa follia e mistica della Croce in Italia centrale, Protagon editori toscani, 1997, p. 169.