domenica 15 aprile 2018

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Sfogliare libri d'arte è il mio trastullo preferito:
capita spesso di trovarci spunti imprevisti!

È il caso di questo 'paramento sacro' del 1904 dal Taideteollisuusmuseo di Helsinki : autore l'architetto e disegnatore finlandese Armas Lindgren...


Il bello è che l'opera non sembra avere niente di 'sacro'!
Dov'è la croce? Dov'è il rosario?

Si vede solo una struttura fitomorfa guarnita di spine che termina in un cuore. In basso, tante roselline grondano sangue.

I nostri parametri estetici non sono più quelli di cento anni fa, così come il nostro senso del sacro.
Le spine e le rose erano molto presenti agli inizi del secolo scorso nell'immaginario decorativo europeo.

A Perugia, camminando per via Alessi, ho trovato sopra un portone di civile abitazione uno dei tanti lavori in ferro battuto che raccontano la suggestione della rosa e delle spine.
Anche qui niente di sacro, a prima vista!



Tanti aculei coronano una rosa.
È un'estetica che afferriamo a fatica, oggi che l'immaginario rurale è così distante dal nostro sentire.

Se diamo un'occhiata al frontespizio della rivista di devozione ritiana "Dalle api alle rose" edita nel 1950, troveremo la stessa immagine con un chiaro rimando religioso.

Rita contempla le api che svolazzano sopra la sua testa.
Secondo la leggenda narrata dal Cavallucci, proprio quelle api l'avrebbero trafitta da piccola nella culla [1], presagio del sommo supplizio della spina che Le si conficcò anni dopo sulla fronte mentre era in contemplazione di un Crocefisso!

Nel controfrontespizio del giornalino troviamo la famosa Rosa con le spine, emblema del culto ritiano...



Guai a credere che queste rose siano solo frutto di una suggestione estetica!

Tutti gli aculei, dalle spine ai chiodi, evocano le sofferenze umane e il loro uso nella stregoneria non era affatto simbolico.

Paolo Bartoli in un libricino di qualche anno fa parla della "magia delle punte", e tratteggia le origini arcane di questo rito...

« La "magia del ferro" e la "magia delle punte" sarebbero dunque confluite a creare la "magia del chiodo", coniugando la forza apotropaica del "toccare ferro", con quella degli strumenti appuntiti (spilli, coltelli, forbici aperte, forconi o tridenti, ecc.) che da tempo immemorabile sono stati usati come armi rivolte contro le streghe, gli spiriti maligni ed altri esseri malefici [2]. »

Inchiodare il male equivale a disinnescarlo.
All'inizio del secolo scorso, e in particolare nei paesi di lingua tedesca, l'inchiodatura era ancora un potente mezzo di scongiuro.

L'eco di quella febbre collettiva per i chiodi era giunto alle orecchie dell'eccentrico collezionista perugino di amuleti Giuseppe Bellucci, che un anno dopo la fine della Grande guerra inaugurava il suo libro sui chiodi raccontando di una statua inchiodata propiziatoria, eretta anni prima nella piazza del Municipio di Trieste per raccogliere fondi da destinare agli orfani dei soldati austriaci caduti.

Le autorità triestine invitavano ad infilzare più chiodi possibile nella statua!

Bellucci così scriveva...

« Ad iniziativa della famigerata Società Austria, nel giorno suindicato [20 luglio 1916, anniversario della gloriosa battaglia navale di Lissa, in cui gli austriaci avevano umiliato lo schieramento italiano nella Terza Guerra d'Indipendenza, n.d.a.], nella piazza Grande di Trieste, di fronte al Palazzo municipale, veniva pertanto inaugurato con grande sonennità un monumento in legno, alla presenza delle autorità civili e militari e con l'intervento dei Consoli dei Paesi alleati all'Austria.

[...] Ma perché codesto monumento fu costrutto in legno e non, come di solito, in marmo od in bronzo?

[...] Il proclama dell'inaugurazione invitava con parole ampollose la popolazione Triestina, non solo a battere molti chiodi sul marinaio austriaco, ma soggiungeva che rappresentando esso la potenza dell'Austria sul mare Adriatico, era dovere di ogni buon Triestino di manifestare, almeno con un chiodo battuto, tutto il fervore del patriottismo, inteso alla maniera dell'Austria dominatrice [3]. »

Di questa insolita 'raccolta fondi' -almeno per noi che non siamo più legati alle vecchie superstizioni- si è conservata una testimonianza preziosissima alla Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste!



Foglietti come questo venivano rilasciati a tutti coloro che versavano l'obolo per inchiodare la statua.
Si legge sulla matricola:

« Il proprietario di questo foglio, inscritto nella madre sotto il
Numero... 15414


battendo un chiodo di ferro nel Marinaio in ferro, ha contribuito ad un'opera eminentemente patriottica ed umanitaria perché il ricavo andrà ad incremento dell'I. r. Fondo di provvedimento per le vedove ed orfani di militari di questa città
. »


➔ Sul ferimento del dio e agiografia di santa Rita ---

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria


Note alle immagini in apertura e in chiusura ---

_Ho tratto la prima immagine qui pubblicata dal bel catalogo sull'Art Nouveau di Gabriele Fahr-Becker, edito per Konemann, Koln 1999, in Scandinavia: coscienza nazionale alla "luce del Nord", p. 298.

_La matricola di cui qui riporto uno scatto, si trova presso la Biblioteca Hortis con la seguente collocazione:
R.P.Misc. 0200 00800.


Note al testo ---

[1] Al monastero casciano è presente un dipinto anonimo in cui la boccuccia della piccola Rita è dipinta « come una ferritoia aperta all'esterno », dove le api entrano in processione.
Per il quadro che illustra l'episodio, vedi il post :
Il feticcio inchiodato ---indagine sul mito di Santa Rita
.

Cfr. anche Breve racconto della vita e dei miracoli della beata Rita: dipinti del 17° secolo del Monastero di Santa Rita da Cascia, testi di Pietro Amato, Mario Bergamo, Toti Carpentieri, Terni 1993.

[2] Cfr. Bartoli, Tocca ferro : le origini magico religiose delle superstizioni su fortuna e sfortuna, Protagon, Perugia 1994, pp. 127-128.

[3] Cfr. Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia, 1919, pp. 2-4.


Post correlato sugli idoli infilzati ---

Del potere di trafiggere gli idoli nella cultura tribale, e delle analogie di questa cultura con certe raffigurazioni medievali, ho parlato in San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria.

giovedì 25 gennaio 2018

Una guerra tra 'Poveri': quando si faceva a gara per vivere di elemosine.




Dario Fo aveva ribattezzato san Francesco "il giullare di Dio", e non aveva così torto!

Le sceneggiate sulla pubblica piazza a cui il figlio del più ricco mercante di Assisi ricorreva per farsi pubblicità, erano memorabili.

La Leggenda perugina [1] ci narra il dietro le quinte di un vero pezzo di teatro, quando Francesco impartì istruzioni nel chiuso della Cattedrale di Assisi ai suoi frati su come dovessero fingere di punirlo davanti al popolo, per aver sorseggiato del brodo di carne!

« Allora il beato Francesco si tolse la tonaca e ordinò a frate Pietro [Cattani, il primo compagno] di trascinarlo così nudo davanti al popolo, con la corda che aveva al collo. A un altro frate comandò di prendere una scodella piena di cenere, di salire sul podio dal quale aveva predicato e di là gettarla e spargerla sulla sua testa.

[...] Frate Pietro si mise a trascinarlo, conforme al comando ricevuto, piangendo ad alta voce assieme agli altri frati. Quando fu arrivato così nudo davanti al popolo nella piazza dove aveva predicato, disse: "Voi credete che io sia un sant'uomo [...] Ebbene, confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità mi sono cibato di carne e di brodo di carne".

Quasi tutti scoppiarono a piangere per pietà e compassione verso di lui, soprattutto perché faceva molto freddo ed era d'inverno, e lui non era ancora guarito dalla febbre quartana
. » (ff 1610)

Francesco aveva la stoffa del grande attore.
Ma quando qualcuno gli rubava la parte, andava su tutte le furie!

Tommaso da Celano nella Vita Seconda ci racconta la reazione scomposta del Poverello quando seppe che due frati si erano fatti crescere la barba, tutto per simulare una condotta più austera della sua...

« Gli fu riferito un giorno che erano stati ricevuti dal vescovo di Fondi due frati, i quali, sotto pretesto di un maggior disprezzo di sé, coltivavano una barba più lunga del conveniente.

[...] Il santo si alzò di scatto e levando le mani al cielo con il volto inondato di lacrime, proruppe in queste parole di preghiera o piuttosto di maledizione: " [...] Da te, o Signore santissimo, e da tutta la curia celeste e da me tuo piccolo siano maledetti quelli che con il loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo tu hai edificato " » (ff 740)

Francesco temeva sempre che qualcuno gli sfilasse lo scettro di Re dei Poveri!

Ma le vere insidie al Poverello venivano dal fronte esterno: il Duecento era pieno di finti cenciosi.

Tra loro c'era anche una curiosa compagnia di sbandati-organizzati, che avevano un vero nome da battaglia: i "Saccati".

Il frate parmigiano Salimbene de Adam [2] nella sua Cronaca li descrive con uno strisciante disprezzo, lamentandosi del pauperismo facile di questi copioni che scimmiottano i frati, minacciandone il primato...

« [...] e chi vuole si mette un cappuccio e si fa una nuova Regola da religiosi mendicanti [2].
Questi subito si moltiplicarono di numero, ed erano chiamati con ironia e malizia "boscaioli".

Passato del tempo si fecero degli abiti non più di lana grezza, ma di lino, e sotto avevano tuniche ottime, al collo invece un mantello di sacco e perciò furono chiamati "Saccati".

E si fecero dei sandali alla maniera dei frati minori.
Poiché tutti quelli che vogliono inventare un nuovo Ordine e una nuova regola, sempre mendicano qualcosa dall'Ordine del beato Francesco, o i sandali o la corda o anche l'abito
. » (ff 2656)

La 'guerra tra Poveri' che frate Salimbene descrive in questo passo, non dipendeva da esibizionismo fine a se stesso.

Essere riconosciuti dal Papa con un privilegio era un vero affare!
Significava avere diritto a ricevere donazioni dai laici, anche molto ingenti.

Non a caso Salimbene conclude la sua descrizione dei "Saccati" accennando al Privilegio di Povertà, concesso dal Papa ai frati per tutelare il 'copyright' di Francesco...

« Ma ora l'Ordine dei frati minori ha ottenuto un privilegio papale che fa divieto a chiunque di portare un abito per il quale possa essere ritenuto frate minore. » (ff 2656)

Fine della concorrenza!


Nota sull'immagine in apertura ---

L'affresco qui pubblicato proviene dalla chiesa di Santa Maria in campis presso Foligno, e raffigura San Tommaso Apostolo attorniato dai poveri, che fanno ressa intorno a lui chiedendo l'elemosina.


Nota sulle Fonti ---

[1] La Legenda Antiqua Perusina, più nota come Compilatio Assisiensis o per segnatura come MS 1046, fu scoperta solo ai primi del '900 dal padre francese Ferdinand Delorme in un deposito della Biblioteca Augusta di Perugia.


In Augusta il prezioso manoscritto era finito con la demaniazione del patrimonio ecclesiastico; il timbro di Provenienza « Bibliothecae Montis Perusiae » è ancora ben leggibile sul bordo inferiore...



Delorme presentò la sua scoperta nel 1926 in occasione del famoso Centenario francescano in un libro: La legenda antiqua sancti Francisci, texte du ms. 1046 de Perouse, edite par le p. Ferdinand Delorme, Paris : Editions de la France franciscaine.
Sotto, il frontespizio dell'Opera e il passo qui citato...




Recentemente padre Marino Bigaroni ha riordinato il testo del Delorme, cambiando anche il nome del documento da Legenda Antiqua Perusina a Compilatio Assisiensis, perché a suo dire era:

« l'unico testo che noi abbiamo sicuramente assisano di queste tanto ricercate fonti primitive, scritto e riposto in quell' "armario", che allora dovette essere anche l'archivio più autorevole dell'Ordine. »

L'episodio della punizione di Francesco [Delorme, 39] si trova in Bigaroni al paragrafo [80].
Cfr. Bigaroni, San Francesco d'Assisi dagli scritti dei suoi Compagni: compilazione d'Assisi dal ms. 1046 di Perugia,
Edizioni Porziuncola, 1987.


[2] Frate Salimbene racconta la concorrenza spietata tra 'poverelli' per diritto divino e finti poveri, anche in un altro passo della sua Cronaca:

« [...] quanti vogliono indossano un cappuccio e si mettono a mendicare, gloriandosi di aver fondato un nuovo Ordine.
Ne viene una grande confusione nel mondo, perché i secolari ne restano gravati, e per quelli che si affaticano con la parola e con lo studio
[cioè i frati, n.d.a.], per i quali il Signore ha stabilito che vivano del Vangelo, non ci sono elemosine bastanti. » (ff 2630)


Post correlato sulla Povertà ---

Mi ero già soffermato sull'ostentazione del pauperismo tra i frati.
Vedi il post:
Poveri beati & Poveri sfigati: san Francesco e i suoi 'colleghi' straccioni .

Nota sulla traduzione ---

Per i testi delle agiografie seguo sempre le Fonti Francescane, Editrici Francescane, Padova 2004.

martedì 5 dicembre 2017

In nome di Ecate: i roghi alle porte e le penne degli uccelli.


C'è un legame strettissimo tra le penne degli uccelli e le pene degli uomini: vi sembra assurdo?

A Perugia una vecchia superstizione prescriveva di bruciare a notte fonda i cuscini, se avevate il sospetto che una megera vi avesse scagliato contro una fattura!

Le zone in cui si consumavano questi riti per togliere il malocchio erano due famosi crocicchi: i Tre Archi al quadrivio di Santa Croce e soprattutto, nella zona opposta della città, l’oscura Porta Trasimena detta anticamente della Luna.

« Il "Quadrivio” di porta Trasimena [era] tradizionalmente considerato un luogo infausto perché qui venivano bruciate le “piume affatturate” dei cuscini, sprigionando i malefici che vi erano rappresi [1]. »



Questo luogo della città pare avesse una fama più che sinistra.

Posta nella direzione del lago Trasimeno, a questa porta nelle matricole medievali si trova associato il colore blu [2], forse per indicare le acque lacustri o forse perché qui il sole tramontava, e al giorno seguiva la notte:
come ci suggerisce il bassorilievo di una mezza Luna crescente, scolpito a destra della chiave di volta...



Anche la via che conduce a questa zona dal corso principale si chiama via della Luna, ed indica nella toponomastica una contrapposizione semantica tra le due parti della città.




La porta Trasimena si trova infatti nell'urbanistica perugina opposta a porta Sole, il punto più ad est della città antica da cui proveniva la luce del sole mattutino.

« La porta che guardava ad Ovest prendeva nome dalla Luna. E non poteva essere altrimenti: se la porta del Sole guardava ad Est, in direzione del Sole, la porta della Luna non poteva che essere situata dal lato opposto; di conseguenza la porta della Luna era in stretta relazione con la lunare pars hostilis, e qualcuno, in tempi passati, sembra che abbia voluto sottolineare questa sua caratteristica, infatti sopra l’arco medievale della porta è rappresentata la luna crescente [2]. »

Come è noto, ad Ecate piacevano le scene oscure!

In particolare i crocicchi delle strade, dove le sue statue trifronti proteggevano i viandanti dalle insidie notturne.
Era una superstizione radicata fin dal MedioEvo, tanto che queste zone si consideravano i luoghi migliori per evocarne i poteri...

« Gli antichi credevano che Ecate facesse le sue apparizioni nei quadrivi, e da quest’idea nacque la credenza, conservatasi nell’Età Moderna, che ai quadrivi si corresse soprattutto il rischio di incontrare il diavolo.
Da qui la credenza che agli incroci delle vie si potesse evocare il diavolo; ovviamente, era altrettanto facile incontrarvi coloro che erano in rapporti con il diavolo.
Martino di Arles ricorda l’usanza di accendere di notte fuochi nei quadrivi
, “ne inde sortilegae et maleficae transitu faciant[3]. »

Di più.
In latino, l'analogia fonetica tra le pene degli uomini [poena-ae] e le penne degli uccelli [penna-ae] aveva alimentato la superstizione secondo cui le streghe legassero il malocchio proprio alle piume!

Ecco perché la comparsa di un uccello del malaugurio era così temuta, e tra gli uccelli quelle che si credevano essere le più assidue collaboratrici delle streghe: le civette.

L'immagine fosca della civetta come apportatrice di sventura non era solo un retaggio remoto del MedioEvo, ma è sopravvissuta indenne fino a ieri.
Ancora ai primi del '900 erano frequenti i roghi dei cuscini alla nostra porta della Luna; questo immaginario stregonesco, radicato in tante parti d'Italia, alimentava un universo di suggestioni che un gruppo di pittori toscani, animatori del Caffè livornese Bardi, impresse nelle proprie tele...



Tra loro, qui mi piace citare Benvenuto Benvenuti con le sue Tre civette in due versioni diverse (sopra), e soprattutto Gabriele Gabrielli, pittore di soggetti macabri e allucinati (sotto, un gufo attorniato da teste demoniache), morto suicida giovanissimo nel 1919.
Sulla sua figura eccentrica ancora si scriveva nel 1947:

« Gli scheletri sono i suoi migliori amici, così pure i gufi, le civette e tanti altri uccelli notturni dal becco adunco e gli occhi scintillanti che sembrano narrarci i più riposti segreti della natura [4]. »



◉ Come vedere le streghe ai Trivi ---

Falce di Luna: la magia del forcone.


Nota alle immagini ---

Sopra, Susanna davanti alla Porta.
Miniatura tratta da una Matricola trecentesca dell'Arte dei Notai, Biblioteca Augusta di Perugia.

_La penultima opera qui citata, un olio su tela di Benvenuti, è interessante perché allude ai poteri numinosi attribuiti alla civetta in età classica, molto diversi dall'immagine funesta che la civetta assumerà poi dal MedioEvo.
L'artista, non a caso, intitola il suo quadro in cui la luce emerge da una grata: "Le civette (La fucina della sapienza)".


Note al testo ---

[1] Cfr. Perugia, Guide Electa Umbria, a cura di Massimo Montella, Editori Umbri Associati 1993, p. 98.

[2] Cfr. Mauro Menichelli, Templum Perusiae. Il simbolismo delle porte e dei rioni di Perugia, Futura, Perugia 2006, pp. 245-246.
_ Sempre Menichelli nel suo studio insiste sul legame tra le forze oscure e il colore associato alla Porta :

« Il colore azzurro del rione di porta S. Susanna era quindi legato al simbolismo delle acque della morte e queste, sia per la loro grande profondità, sia per essere in stretto rapporto con il mondo infero, richiamavano le tenebre e quindi il colore nero. »

[3] Cfr. Giuseppe Bonomo, La caccia alle streghe, Palumbo, Palermo, 1959, pp. 27-28.

[4] Cfr. Mario Citti, L’arte tormentata del pittore Gabrielli in Gabriele Gabrielli. Un allievo spirituale di Vittore Grubicy al Caffè Bardi, a cura di Francesca Cagianelli, Pontedera 2008, p. 118.


Post sugli Uccelli e il Dominio delle streghe ---

La strega che domina gli Uccelli (evidente allegoria sessuale), al punto da trasformarsi in essi, è un tema molto sfruttato nell'Arte, dal MedioEvo all'ultimo secolo.
Nel seguente post, alcuni spunti:

Al tempo in cui Mamma Oca era una strega, ovvero la Signora che possiede gli uccelli...


Post sulla Porta del Sole ---

A Perugia, opposta alla porta della Luna e speculare ad essa, era la zona solare dedicata alle divinità del fuoco e al forgiatore Vulcano, soppiantato poi da san Lorenzo nel sincretismo cristiano.

A questo argomento ho dedicato il post: Dal Tempio di Vulcano alla Cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Costruire un culto in 3 semplici passi.


Approfondimenti ulteriori...

_I contenuti di questo post sono un'elaborazione del primo capitolo del mio libricino "Tre civette sul comò. Storia di un maleficio":
« I roghi nei crocicchi. Le penne da bruciare al trivio di Ecate ».

_ Riguardo alle raffigurazioni di Ecate tricefala, un curiosissimo caso di sincretismo religioso è certo quello della Madonna tricefala all'abbazia di San Pietro, che mai mi stancherò di sottolineare e a cui ho dedicato due post:
*Madonna a Tre Teste: incredibile affresco all'abbazia di San Pietro a Perugia!
*La Madonna a Tre Teste e quei due angeli sospetti...

_ L'associazione della Porta della Luna a santa Susanna (Susanna è l'unica figura femminile ad essere accostata alle porte perugine nelle matricole medievali) ci suggerisce come le acque adombrate in questa porta non indicassero in origine il Lago Trasimeno, bensì fossero quelle del ciclo menstruale, a cui le lunazioni anticamente venivano associate.


lunedì 25 settembre 2017

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria


Oggi voglio condurvi nella chiesetta perugina di Santa Croce [1] al quadrivio dei Tre Archi.

Una chiesetta medievale tra tante, tutto sommato dimessa, raro trovarla aperta.
Se non fosse per un affresco staccato a forma di lunotto che, malgrado le sue condizioni deteriorate, merita da solo la visita e ci rammenta l'antica pratica dell'inchiodatura dei Santi:
Mater Misericordiae tra san Sebastiano e un angelo...





Il dipinto, forse del pittore quattrocentesco Benedetto Bonfigli [2], narra un rito apotropaico tipico della stregoneria cristiana in tempo di pestilenze.

--- Attenti ai dettagli!

Il popolo è assiepato sotto il manto della Vergine, refugium peccatorum, e ne invoca la clemenza mentre il Padreterno sta scagliando le frecce pestilenziali sopra la sua testa...


Nell'affresco Sebastiano funziona proprio come un parafulmine: intercetta le frecce scagliate dall'Altissimo e implora la Vergine con uno scambio di cartigli gustosissimo, che anticipa i fumetti!

Lo storico dell'arte Federico Mancini nella sua monografia sul Bonfigli [2], riporta una ad una le battute...

« Per queste piaghe che er ci rude alquanto /
Per lo tuo amore et lo figliolo tuo /
Te priego Madre che lo priege tanto /
Che essaudisca questo popul suo
».

Alla destra del dipinto è l'angelo sterminatore che, per intercessione di san Sebastiano, ripone magicamente lo spadone...



« La risposta a san Sebastiano è contenuta in un cartiglio che si trova alla destra della Vergine, sopra la figura dell’angelo che ripone la spada nel fodero:

“Martir beao con humilie chore /
Se essaudito e pero Agnolo cruo /
Remette l’arme e la crua spada”
.

L’angelo ubbidisce. Per questo sopra la spada è scritto: “Fiat”. »

Confesso di non amare granché le lezioni di storia dell'Arte:
sono tremendamente noiose!


Guardiamo bene però il nostro Sebastiano.
La sua iconografia ci racconta una succulenta superstizione popolare: l'inchiodatura dei feticci a scopo terapeutico.


Trasmettere il dolore sul corpo del santo o dell'idolo, per far assorbire il male e renderlo innocuo, ha origini molto antiche.

Nella stregoneria africana ancora agli inizi del secolo scorso era una pratica apotropaica molto frequente, e può capitare d'imbattersi in una statua inchiodata proveniente dall'Africa profonda nella collezione di qualche antiquario etnico.

Ve ne propongo una molto famosa dal Musée de l'homme al Quai Branly di Parigi, che ebbi il piacere di visitare alcuni anni fa:
non trovate una certa somiglianza con il nostro caro Sebastiano?


Le agiografie spesso si affermavano per cristianizzare miti e credenze superstiziose precedenti, retaggio della Stregoneria: il caso di san Sebastiano è emblematico!

Morto secondo la leggenda sotto l'imperatore romano Diocleziano, la sua fortuna iconografica è attestata guarda caso solo dalla fine del Trecento con l'avvento delle grandi epidemie, quando il popolo era disperatamente in cerca d' interventi portentosi.

Nell'immaginario religioso tardo-medievale si affermò l'idea che invocare il Sebastiano crivellato di frecce potesse far cessare il male, scagliato dal Padreterno per punire il popolo!

In realtà questa credenza era in perfetta continuità con la vecchia Stregoneria, che prescriveva d'inchiodare i feticci per estinguere il male degli uomini.

L'antropologo Giuseppe Bellucci ci racconta il fine di questa pratica oscura osservata ancora ai suoi tempi nelle 'case-feticce' dell'Africa, ove gli stregoni conservavano i loro idoli pronti per l'inchiodatura...

« E là entro che gli ogangas, osservando certe pratiche rituali, fanno loro quelle offerte che hanno ricevuto dai fedeli, permettendo poi ai richiedenti, come a coronamento della pratica, ch'essi configgano un chiodo nella statua-feticcio.

Adempiendo questo rito verso una forma antropomorfa o zoomorfa, che agli occhi ed alla mente dei negri di Loango deve apparire come cosa sacra, l'indigeno accompagna il martellamento del chiodo con la fiduciosa espressione che il suo desiderio venga esaudito; che il feticcio provi una sensazione pungente, la quale valga a fargli ricordare la persona e la preghiera da essa avanzata [3]. »


Da notare in entrambe le statue che vi ho mostrato la struttura in basso a forma circolare, dove pare gli stregoni collocassero uno specchio per stornare gli spiriti maligni!

San Sebastiano crivellato di frecce è un parente stretto di tutte queste statue inchiodate: prima di trasformarsi in un'icona gay, il mito superstizioso di Sebastiano servì a rimpiazzare i vecchi feticci.

In barba a quanti pensano che il '400 fosse il secolo splendente degli umanisti!


Post sull'inchiodatura delle Sacre Icone ---

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Nota all'immagine ---

L'immagine sopra è un San Sebastiano attribuito al pittore bolognese Cristoforo di Jacopo (1480) dal Museo Diocesano di Norcia.

Ho tratto l'immagine dal catalogo di una mostra memorabile di qualche anno fa: "Matteo da Gualdo. Rinascimento eccentrico tra Umbria e Marche", a cura di Eleonora Bairati, Patrizia Dragoni. Electa - Editori Umbri associati, Perugia 2004.


Note al testo ---

[1] Sulla chiesa è stato pubblicato recentemente uno studio
di Fabio Palombaro in cui si associa l'affresco - riprendendo lo storico ottocentesco perugino Serafino Siepi - alla peste del 1348:
"La chiesa di san Giuseppe già chiesa di Santa Croce in Perugia", Tozzuolo 2015.

[2] È proprio Mancini a proporre l'attribuzione al Bonfigli, sostenendo che l'affresco si collochi a metà del '400:

« Posto erroneamente in collegamento con la peste del 1348, il dipinto è in realtà inscrivibile in un ambito di cultura molto vicino agli esordi del Bonfigli. Ne consegue una datazione molto più avanzata, non distante dagli anni cinquanta del Quattrocento ».
Cfr. Francesco Federico Mancini, Benedetto Bonfigli, Electa Editori Umbri, Perugia 1992, pp. 50-51.

[3] Cfr. Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia 1919, pp. 233-234.

giovedì 3 agosto 2017

Un adoratore del Sole braccato dall'Inquisizione - Lo strano caso del beato Pietro...



Fraticelli, Spirituali, mistici deviati.

L'Inquisizione era costretta a fare gli straordinari per tenere sotto controllo tutti questi matti, che specie in Umbria [1] andavano in giro vestiti di stracci e millantavano poteri sovrumani!

Quando non si trovava il modo di metterli a tacere, l'extrema ratio era farli santi. Quantomeno beati.

Uno di questi eretici mancati è sopravvissuto con la sua iconografia ambigua alla chiesa dei santi Severo e Agata, un gioiellino medievale a Perugia incastonato in via dei Priori...


L'uomo che qui siamo venuti a cercare è Pietro Crisci da Foligno.

Il suo ex-voto si trova sulla parete sinistra, a fianco dell'altare.
Pietro gode dello spazio in condominio con i due santi titolari della chiesa: Agata e Severo.

A cosa si deve tanto onore?
Il beato Pietro non era morto da troppo tempo († 1323) quando il suo ritratto fu collocato -intorno alla metà del Trecento- a fianco dei due leggendari martiri romani: osserviamolo da vicino.

Cos'è quell'omiciattolo nell'angolo in alto a destra che Pietro sembra invocare?



Pare che il beato Pietro fosse un adoratore del Sole: rimaneva lungamente a pregarlo senza rimanerne abbagliato!
Questo almeno è ciò che narra la sua agiografia...

« [...] postosi a rimirare i vivi raggi del Sole, fuori d'ogn'ordine fissava in quello immobilmente e senza offesa, né abbagliamento alcuno lo sguardo »

« [...] tanto prolungava avanti al Sole esposto la sua oratione, che mille volte, il che non si dice per iperbole, effettivamente si inginocchiava lodando il buon Giesù, che quivi Pietro vedeva e adorava [2]. »

Subito dopo la sua morte, fu elevato alla gloria degli altari a furor di popolo, malgrado le sue pratiche ascetiche solitarie insospettissero non poco l'Inquisizione che lo aveva già sottoposto a ben due interrogatori, prima a Foligno poi a Spoleto.

« I figli del diavolo cominciarono a sobillare l'inquisitore, con subdole e maligne parole [...]
Quando l'inquisitore li sentì, dispose di inviarlo a Spoleto, affinché fosse nuovamente esaminato e, se lo avesse trovato in errore, avrebbe proceduto contro di lui come contro un eretico [2]
. »

Perché mai un "nobile e ricco de' beni di fortuna" come Pietro, all'improvviso si era infilato in un sacco bianco praticandovi dei buchi, e si era messo a pregare il Sole?

Un altro indizio sulla grande popolarità di cui godeva il beato Pietro, si trova in una delle chiese più interessanti del contado folignate: Santa Maria in campis.
La chiesa sorge su un'antica area di sepoltura; la tradizione funeraria si è conservata nei secoli perché oggi questa è la chiesa del cimitero di Foligno...



Rimaneggiata più volte, la chiesa -di fondazione benedettina- è un piccolo museo di pittura tardo-medievale.

Superata la porticina di sinistra, troviamo subito schiacciato nell'angolo un ex-voto deteriorato ma molto eloquente, a ridosso della Madonna in maestà con san Pietro.

Il nostro ricercato sembra disinteressarsi a ciò che gli sta intorno, ed è ritratto sempre nella medesima posa che tanto piaceva ai suoi devoti coloni: in adorazione del Sole.


Com'è possibile che la Chiesa abbia incentivato un culto solare che non si fondava sulle Scritture, ma su reminiscenze vagamente pagane?

Semplice: l'idea che abbiamo oggi dell'Inquisizione è troppo integralista.

Il tribunale non si abbatteva indiscriminatamente contro tutti: una cosa erano gli stregoni di campagna che praticavano incantamenti in modo clandestino, e i pretastri del sottobosco clericale.

Discorso diverso per quei (pochi) eretici -che spesso erano anche ricchi possidenti- i quali riuscivano ad ottenere un vasto consenso popolare.

Con loro la Chiesa trattava. E se erano collaborativi, potevano perfino aspirare alla gloria degli altari!

Il consenso accumulato a Foligno e dintorni dal beato Pietro era tale che il Comune proclamò festa grande per il giorno della sua morte (dies natalis).
La sua fama in Umbria bastava a chiudere un occhio su astrusi dettagli teologici:

« [...] entro la prima metà del Trecento il suo dies natalis veniva inserito nel novero delle festività che il Comune considerava Custodiendae, ovvero di eminente carattere pubblico tanto da prevedervi la sospensione di ogni attività giurisdizionale del podestà, del Capitano del popolo e di tutti gli officiali comunali. »

« Non basta, perché fu stabilito per legge straordinaria che, nello stesso giorno e anniversario, ciascuno nel contado di Foligno dovesse astenersi dalle opere servili, stando al vecchio statuto municipale della città di Foligno redatto nel secolo XIV, dove sotto la rubrica "Le festività da rispettare", si registra la festa di san Pietro da Foligno [3]. »


Note al testo ---

[1] Il professor Gioacchino Volpe alla metà del secolo scorso scriveva che « l'Umbria era terra fertile per simili erbacce » e li definiva come « la varia figliolanza più o meno degenere del Santo d'Assisi ».
Cfr. Volpe, Ultimi bagliori nell'Umbria al principio del XIV secolo in Movimenti religiosi e sette ereticali, Sansoni, Firenze 1971, pp. 200-204.

[2] Cfr. Nicolò Barnabò, Vita del Beato Pietro Cresci da Foligno, in Foligno, 1626
in Pietro Crisci: beato, confessore, compatrono di Foligno, Diocesi di Foligno, 2010.

[3] Cfr. Mario Sensi in Pietro Crisci: beato, confessore..., Op. cit., pp. 33 e 106.


Un approfondimento sull'Umbria ereticale ---

Isabella Gagliardi anni fa in un saggio sull'argomento, spiegava bene questa tolleranza della Chiesa in Umbria verso alcuni 'eretici':

« La Chiesa tollerò sia Pietro Crisci sia Tommasuccio [un profeta apocalittico francescano che visse nello stesso periodo, n.d.a.], altro rigido credente originario di Foligno, suo malgrado.
Li tollerò perché il popolo li venerava e ravvisava in loro due santi cittadini, due grandi e potenti intercessori presso Dio. Li tollerò perché l'Umbria era percorsa da tensioni spirituali fortissime e l'ansia di purificazione e di rinnovamento era sempre sul punto di esplodere e di conformarsi in maniera "illegittima"
. »

Cfr. Gagliardi, Pazzi per Cristo: santa follia e mistica della Croce in Italia centrale, Protagon editori toscani, 1997, p. 169.

domenica 9 luglio 2017

Benedetta clausura: un terribile fatto di sangue secondo frate Tommaso.



Chi ha detto che le fonti francescane sono solo zeppe di aneddoti retorici e zuccherosi?

Il frate inglese Tommaso da Eccleston nella sua cronaca De adventu fratrum minorum in Angliam [1] ci racconta un orribile delitto passionale consumatosi nella cattedrale di Chichester: vittima la sorella [2] di un frate che aveva fatto voto di castità, e non voleva cedere alle brame di un corteggiatore...

« Venne poi in Inghilterra, con frate Aimone, frate Guglielmo da Colville, il vecchio, uomo semplice e di straordinaria carità: la sorella di lui fu più tardi crudelmente strangolata nella cattedrale di Chichelster per la difesa della sua verginità.

Infatti un giovane, colpito dalla sua bellezza, aveva per lungo tempo bramato di incontrarla da sola e di sedurla; non riuscendo in nessun modo a piegarla al suo desiderio, dimostrò quanto l’amore carnale è malvagio, sgozzandola in chiesa. » (ff 2455)

Questo delitto passionale pare non fosse un caso isolato.

Frate Filippo Longo aveva richiesto alla Santa Sede di scomunicare quanti osavano importunare le Povere Donne, per creare un cuscinetto protettivo contro i molestatori.

Ma secondo la testimonianza di Giordano da Giano quel provvedimento fu revocato su ordine di Francesco, il quale non voleva creare corsie preferenziali per il movimento di Chiara...

« [...] frate Filippo, che aveva la cura delle povere signore, contro la volontà del beato Francesco, il quale preferiva vincere le avversità con l'umiltà che con l'autorità della legge, aveva richiesto e ottenuto dalla Sede apostolica una lettera nella quale era autorizzato a difendere le signore e a scomunicare quanti le infastidivano. » (ff 2335)

Chiara si rese presto conto di come l'unico modo per evitare scandali fosse la clausura preventiva, dotando le suore di un buon numero di lucchetti.
La santa nella sua Regola [3] ci teneva a sottolinearlo...

« La porta sia ben chiusa da due differenti serrature in ferro, da battenti e spranghe, affinché specialmente di notte, venga chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l'altra l'abbadessa. E di giorno non si lasci mai senza custodia e sia saldamente chiusa con una chiave.

Badino, poi, con ogni diligenza e procurino che la porta non stia mai aperta [...]
Né si apra affatto a chi voglia entrare, ma solo a chi sia stato concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale
. »
(ff 2813)

Che vitaccia per le povere Donne di Chiara!


Nota sull'immagine in apertura ---

Un religioso tenta di sedurre una donna che si schernisce da lui,
e poi l'accoltella!
Miniatura tratta da un codice del Decretum Gratiani, Bibliothéque nationale di Parigi, Ms. lat. 3893, f. 204v.

Cfr. Anthony Melnikas, The corpus of the miniatures in the manuscripts of Decretum Gratiani, Studia Gratiana, Rome, 1975.


Note al testo ---

[1] La Cronaca di Tommaso da Eccleston narra le traversie occorse ai frati per insediarsi in Inghilterra.
Talvolta nel testo sono presenti Aggiunte interessanti ben al di là della storia locale del movimento, come la testimonianza indiretta di frate Rufino sulla mostruosa apparizione del Serafino
(vedi il post I funghi e le stimmate).

[2] L'autore del testo non chiarisce se la vittima fosse una terziaria francescana, cioè una seguace laica, o una di quelle vergini seguaci di Chiara di cui si parla anche nella Legenda Trium Sociorum:

« Non erano soltanto gli uomini a convertirsi, ma anche molte vergini e vedove, toccate dalla predicazione dei frati e seguendo il loro consiglio, si rinchiudevano a fare penitenza nei monasteri organizzati nelle loro città e paesi. » (ff 1472).

[3] Nella Regola, Chiara teneva particolarmente a sottolineare che la portinaia dovesse essere « di età conveniente », per evitare maldicenze sulla reputazione delle Sorelle!

Cfr. Regola di santa Chiara, Capitolo XI. Della custodia della clausura (ff 2812).


Nota sulla traduzione ---

Per i brani qui citati, seguo sempre le Fonti Francescane, Editrici Francescane, Padova 2004.

--- Vai al post correlato: San Francesco e quella lettera contro gli stupri poco gradita...

giovedì 25 maggio 2017

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.


Per raccontare la mia ultima "fatica" editoriale, vi propongo un gioco di antropologia visuale.

In sequenza troverete due immagini.
La prima è il celebre ritratto di Santa Rita, realizzato nel 1457 sulla cassa funebre da un anonimo pittore tardo-gotico:
Rita si erge brandendo la famosa spina del crocefisso, che ha appena estratto dalla sua fronte.

Nel dipinto Rita non figura cinta dalla classica aureola, ma è incoronata da una curiosa raggiera a forma di spine...


La seconda immagine che voglio mostrarvi, è una foto che ho scattato in un mercato antiquario tenutosi qui a Perugia qualche mese fa, dove c'era un espositore con una statuetta africana molto particolare: un feticcio inchiodato!

Idoli di questo tipo erano ancora usati nei primi decenni del '900 con funzione apotropaica e terapeutica: lo stregone inchiodava la statuetta tante volte quante erano le persone che necessitavano di guarigioni.

Tutti i chiodi -eccetto uno- sono avvolti con una corda che il feticcio stringe con la mano destra.
Nell'immaginario magico primitivo, i devoti sanno che il feticcio non si dimenticherà di estrarre nemmeno uno dei loro chiodi.

Nota. Lo stregone ha conficcato il chiodo più importante -quello che non è legato alla corda- nella testa del feticcio...



Questo accostamento tra Rita e il feticcio vi lascia perplessi?

Andiamo per gradi. Le agiografie traducono spesso in forma di narrazione mitologica delle usanze di origine stregonesca.

Secondo gli agiografi, una spina del Crocefisso si sarebbe infissa sulla fronte di Rita mentre la beata era raccolta in preghiera...

« Ritiratasi per tanto nella sua Cella, e gettatasi a' piedi d'un Crocifisso [...] con amare lagrime cominciò a supplicarlo che le comunicasse almeno una particella delle sue pene.
Incontinente con miracolo singolare una Spina della Corona di Christo le ferì di tal forte la fronte, che fino alla morte vi rimase impressa insanabilmente
»



Questo prodigio era documentato anche nel frontespizio della Vita scritta dal frate Agostino Cavallucci nel 1610: Rita osserva attonita il Crocefisso che si anima e la trafigge.



Secondo Cavallucci, il corpicino di Rita è segnato fin dalla nascita, quando nella culla la piccola santa riceve la visita pungente di alcune api...

« La leggenda già allora si era impossessata del dato storico e vi aggiungeva che le api entravano e uscivano dalla boccuccia della bambina come se fosse diventata un bugno [1]. »



In un altro dipinto del Seicento di mano anonima conservato nel Santuario casciano, la boccuccia della neonata si trasforma in una ferritoia da cui le api entrano ed escono.



Questa investitura magica trasforma Rita nella santa delle spine.

In punto di morte, la Santa compie il prodigio di far fiorire una rosa nel proprio orticello in pieno inverno e chiede ad una parente di andare a coglierla...

« [...] voleva una rosa del suo orto, però vicino a casa sua in Rocca Porena haveva Rita un'horticello, da se stessa accomodato, dove erano alcune piante di Rose.
A si fatta dimanda quasi fra se stessa sorrise la sua parente, essendo in quel tempo il mese di Gennaro, e più presto giudicò che Rita vaneggiasse per il gran male


[...] arrivata che fu alla Rocca Porena, e riguardando a caso nell'Orticello di Rita, vidde nel mezzo del Rosaio miracolosamente una fresca e colorita Rosa, alla cui vista subbito si ricordò della domanda che Rita il giorno avanti le haveva fatta, e tutt'ammirata colse l'odorata e colorita rosa [2] »

I devoti ritiani ancora oggi associano ai poteri della santa le rose, abbandonate sullo Scoglio di Roccaporena per invocare la protezione e le guarigioni della Santa degli impossibili!


Come ho detto sopra, le agiografie spesso traducono delle antiche usanze in narrazioni fantastiche.

Secondo il Breve Racconto, Rita si era addirittura cucita le spine nella veste per esserne trafitta ogni volta che si muoveva...

« [...] dentro alla tonaca haveva cucite alcune acutissime spine, che nel muoversi la trafiggevano »



Da dove vengono tutte queste spine?
Perché per i devoti era così importante associare le spine alla santa, addirittura vedere il suo corpo trafitto?

L'antropologo Henri Gaidoz in uno studio di fine Ottocento sulle analogie tra devozione cristiana e stregoneria africana, ci fornisce un indizio prezioso, raccontando dell'usanza in molti paesi francesi di configgere le statue dei Santi con degli spilli.

I fedeli trasferivano così il proprio dolore, in modo che il santo lo assorbisse e si ricordasse di estrarre gli spilli.

Tra i tanti aneddoti, Gaidoz narra anche la disavventura occorsa ad un ragazzo bretone non troppo furbo: Jean le Diot [3]...

« Jean le Diot [l'Idiota] aveva rotto la statua di san Mirli molto venerato in paese e la cui festa avrebbe avuto luogo l'indomani. Per tener segreta la cosa, sua madre convince Jean a prendere il posto del santo. Ella si recò di prima mattina alla cappella, mise addosso al ragazzo una lunga tunica bianca e lo fece mettere in ginocchio nella nicchia del santo, raccomandandogli di non muoversi. L'uso era, durante i pellegrinaggi a San Mirli, d'infilzare degli spilli nel ginocchio della statua nel pronunciare il proprio voto.

Le donne andarono a inginocchiarsi davanti alla statua dicendo: "benedetto san Mirli, fate che la mia casa venga preservata da ogni male!" I primi spilli non fecero che sfiorare la pelle di Jean le Diot ed egli non si mosse: altri invece lo punsero a sangue ma si limitò a mormorare "Ah! Vecchia strega!" .
Alla fine una donna gli conficcò uno spillo così a fondo che egli emise un grido, fece un balzo fin sopra la testa della vecchia atterrita e fuggì via, mentre nella cappella tutti gridavano:
"Oh! Il nostro san Mirli se ne scappa!" [3]
»

In realtà, inchiodare le sacre raffigurazioni era una pratica estesa ben al di là dei villaggi francesi!

L'antropologo perugino Giuseppe Bellucci nel suo saggio
I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, ci racconta qualcosa in più sull'inchiodatura delle statue nei luoghi sacri.


Bellucci narra in particolare di un crocefisso e di due cuscini guarniti di spilli ai suoi piedi...

« A Lovanio, nella chiesa di S. Pietro, si venera un Cristo di grandezza naturale, scolpito in legno nero, vestito con un lungo abito di velluto rosso listato in oro.
[...] Ai piedi del Cristo vengono collocati due guanciali, copiosamente guarniti di spilli, uno coperto di seta gialla, l'altro di seta rossa, sui quali stanno impresse le parole: Ave Iesus.

- Una singolare iscrizione in fiammingo ed in francese dice:
si prega di non configgere spilli nella veste!
»

Se volete indagare i feticci inchiodati e il culto primitivo di santa Rita, non mi resta che augurarvi una buona lettura...



Post sull'inchiodatura delle Sacre Icone ---

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria.

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Note al testo ---

[1] Il brano è tratto da un opuscolo devozionale, l'Album santa Rita a cura del Monastero di S. Rita, Roma 1969, p. 34.

[2] L'episodio della rosa fiorita è narrato dal primo e più importante agiografo di santa Rita, il frate agostiniano Agostino Cavallucci in Vita della B. Rita da Cassia, in Siena, 1610, p. 97.

[3] Si tratta di un racconto che Gaidoz riprende dal contemporaneo Paul Sebillot, Contes populaires de la Haute-Bretagne, Paris 1880.

Altre Opere citate ---

Breue racconto della vita e miracoli della b. Rita da Cascia,
in Roma, 1628.

Giuseppe Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia, 1919, p. 161.

Henri Gaidoz, Deux parallèles: Rome et Congo in Revue de l'Histoire des Religions, Paris, 1883.

Nota alle immagini ---

I dipinti citati che narrano le Storie della beata Rita si trovano riportati assieme ad altri in
_ Pietro Amato, Mario Bergamo, Toti Carpentieri, Breve racconto della vita e dei miracoli della beata Rita: dipinti del 17. secolo del Monastero di Santa Rita da Cascia, Cascia, Chiesa di S. Francesco d'Assisi, 21 maggio-18 luglio 1993.

Un approfondimento consigliato ---

Sul Bellucci, vedi anche il post Il sacro serpaio: i sacerdoti di Cerere e gli stregoni ciarlatani dell'Umbria dove accenno ad un'altra sua pregevole pubblicazione sugli amuleti e il feticismo.