sabato 7 giugno 2014

Tre diaboliche civette ad UmbriaLibri...


L'immagine qui sopra è un'incisione dei primi dell'800 raffigurante la medievale Porta Trasimena di Perugia.
Perché c'interessa tanto?

C'è qualcosa che si lega a questa porta e che va ben oltre la cartolina turistica.

A Porta Trasimena, ancora nei primi decenni del '900, si appiccavano di notte i roghi dei cuscini affatturati. Bruciare le piume dei cuscini infatti, per un'antica tradizione della stregoneria contadina, era come bruciare il malocchio che le piume portavano con sé.

La superstizione risaliva al medioevo e ancora più addietro, al mondo romano: si credeva che i crocicchi delle strade fossero dei luoghi infausti in cui evocare il demonio o Ecate dalle tre teste, la dèa a cui un tempo erano associate le streghe. Con la cristianizzazione, molti crocicchi posti sotto la protezione della dèa Ecate furono consacrati alla Vergine, con l'erezione di edicole votive di cui a Perugia è rimasto un ottimo esempio appena fuori Porta Eburnea [sotto].

Gli antichi credevano che le streghe confezionassero i loro malefici legandoli alle piume degli uccelli; in latino l'analogia fonetica tra le piume (pennae) e le pene (poenae) era ricorrente e tale rimase nelle tradizioni della vecchia stregoneria italiana.

Cosa c'entra tutto questo discorso fumoso con la filastrocca delle Tre civette sul comò?

Se volete saperlo, vi aspetto a Perugia venerdì 13 alle ore 18:00 presso la Sala della Giunta a Palazzo della Provincia in piazza Italia!

Che giorno poteva essere meglio di un venerdì 13 per parlare di stregoneria e malefici?!

martedì 20 maggio 2014

Il maleficio delle Tre Civette.


« Ambarabaciccìcoccò
Tre civette sul comò
Che facevano l'amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabaciccìcoccò
»

Il contenuto di questa filastrocca popolare è ben più truce della sua parvenza giocosa!

Capirne il senso non è semplice perché il pubblico a cui, un tempo, essa era rivolta non esiste più, così come non esiste più quell'intrico di superstizioni contadine che spingeva il popolo a credere nei malefici delle streghe, e ad insegnarli ai più piccoli attraverso delle canzoncine.


Fino all'avvento della rivoluzione industriale, che spinse milioni di persone ad abbandonare il contado, nelle campagne pullulavano i cacciatori di streghe: uomini convinti che le streghe possedessero animali come le civette o i gufi per causare malattie mortali o per far perdere la verginità alle ragazze più coscienziose del villaggio.

Matthew Hopkins, il più sanguinario cacciatore di streghe dell'Inghilterra puritana, in un libro descrisse le pratiche delle streghe e il modo per estorcere loro confessioni scabrose negli interrogatori.
Nell'illustrazione che campeggiava sul frontespizio del suo Trattato, 'The Discovery of witches', edito nel 1647, Hopkins è ritratto al centro della stanza nel momento in cui due donne, le presunte 'streghe', confessano i nomi diabolici degli animali posseduti!


La cantilena delle Tre civette insegnava ai bambini, per filo e per segno, non solo i delitti di cui un tempo si macchiavano le streghe, ma anche l'identità dei loro agenti segreti, e perfino la formula magica che attivava i loro incanti:
Ambarabaciccìcoccò.


Gli animali posseduti venivano trasformati dalle streghe in aitanti giovani, ed entravano a contatto con le pulzelle da corrompere, soprattutto nelle feste comandate:
quando era facile, anche per le ragazze più devote del villaggio, cadere nel peccato di fornicazione.

Nei verbali dei processi alle streghe, dal XIV al XVII secolo, si trovano molti di questi casi che ho raccolto, per dare un volto ai protagonisti della filastrocca...


Post sulla formula Ambarabaciccìcoccò e sul significato magico della conta ---

La magia della conta: come annullare le streghe.

Post sui poteri magici della filastrocca An-ghin- ---

« An-ghin-gò / Tre galline e tre capò ». I poteri del numero TRE in una filastrocca.

giovedì 1 maggio 2014

I dèmoni che vide san Francesco:
due mascheroni demoniaci
alla Pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi


Come s'immaginavano i dèmoni, nel MedioEvo?

Invito a fare due passi alla Pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi, accastellamento vicino alle carducciane Fonti del Clitunno.


La Pieve dista appena un chilometro dal borgo di Castel Ritaldi e sorse intorno all'anno Mille (la prima data certa è il 1066, quando la chiesa fu annessa al capitolo della cattedrale di Spoleto).

Come altre pievi, oggi ha perso ogni importanza ed è raro trovarla aperta, ma fino al 1828 questa era addirittura la chiesa parrocchiale di Castel Ritaldi.

Secondo Mario Sensi, San Gregorio nel MedioEvo era il vero centro economico e religioso di tutto il territorio. Ciò che campeggiava sulla facciata della chiesa era, diremmo noi oggi, 'sotto gli occhi di tutti'.

A cominciare dal portale, un delizioso romanico spoletino con un intrico di tralci d'uva che scaturisce dalla bocca del leone, entro cui Sansone doma la belva aprendone le fauci a mani nude (notare la scritta Leo et Sanson che corre sulla formella!).

Ma ciò che si trova sopra il portale è, di gran lunga, la vera chicca.


Due dèmoni incombono, con le relative iscrizioni che li nominano: PAMEA e GENOPHALUS INFERUS.
I due dèmoni sono fronteggiati dai profeti Geremia ed Ezechiele, che li controllano a vista. Il tutto era sormontato dalle raffigurazioni dei quattro Evangelisti di cui è rimasta solo l'Aquila di Giovanni.


L'interpretazione di questi due mascheroni ci pone (più di) un dubbio.
Da dove vengono?
Sono due teste di reimpiego?
Facevano parte già in origine della facciata?

Di una cosa (sola) possiamo essere certi: i dèmoni che tormentavano il popolo superstizioso che acclamò san Francesco, erano (molto) simili a questi!


Bibliografia ---

➔ Il primo ad aver citato la Pieve con tanto di Prospetto fu l'architetto Ugo Tarchi nella sua monumentale opera L'arte nell'Umbria e nella Sabina, volume II, Tav. CXXXV, Fratelli Treves, 1937.

Tre comuni rurali e i loro statuti, Nota Introduttiva a cura di Mario Sensi, XXXI, Perugia, Editrice Umbra Cooperativa, 1985.

Bernardino Sperandio, Chiese romaniche in Umbria, Quattroemme, Perugia 2001, pp. 54-55.

domenica 13 aprile 2014

Sant'Apollonia: una santa cavadenti al Tempietto di San Michele a Perugia...

Il campionario dei mostri cristiani non finisce mai di stupirci.

Al tempio di San Michele Arcangelo di Perugia, deliziosa chiesetta paleocristiana, si è conservata una delle poche raffigurazioni medievali superstiti di Apollonia da Alessandria, la santa cavadenti.


Questo ex-voto, realizzato da un Anonimo pittore locale, ci consente di spiegare una volta di più la natura tutta pagana del culto tributato ai santi nei primi secoli del Cristianesimo.

Chi commissionò la pittura nel Trecento doveva avere qualche problemino d'igiene orale se rivolse le sue suppliche a sant'Apollonia, che secondo gli Acta Sanctorum sarebbe stata martirizzata nel terzo secolo proprio cavandole uno ad uno i denti, ragion per cui la Chiesa la elesse santa patrona dei dentisti.

L'assurdità di questa storia ci permette di schiarirci meglio le idee sulla concretezza storica di molti santi leggendari dei primi secoli, spesso inventati di sana pianta per venire incontro ai bisogni materiali di una gran massa di fedeli.

In effetti, che bisogno c'era per un devoto di continuare a rivolgersi ai vecchi dèi pagani, quando la Chiesa aveva creato una sfilza di santi ausiliatori per ogni evenienza?
San Cristoforo contro la lebbra, sant'Acacio contro l'emicrania, santa Margherita di Antiochia contro i dolori del parto...

Per chiudere, una curiosità ancora la merita questa santa cavadenti patrona degli igienisti dentali.

Nel Settecento Papa Pio VI provò a dare un minimo di attendibilità al culto di santa Apollonia, forse per combattere chi di questo culto cominciava a dubitare.
Dopo essersi fatto spedire tutti i denti attribuiti alla santa in giro per l'Europa, si rese conto che per contenerli ci voleva una cassetta da 3 chili.

Pare che i denti sacri siano stati gettati senza troppi complimenti nel Tevere.

P.s. qui sotto, gli attrezzi del 'mestiere' in mano alla santa così come si vedono nell'affresco...

venerdì 21 marzo 2014

Mostri cristiani: unaTrinità tricefala alla Biblioteca Augusta di Perugia...

Fa sempre comodo avere un bibliofilo per amico.

Riccardo Strappaghetti, il bibliofilo in questione, mi ha suggerito un'altra traccia preziosa per ricomporre il mosaico della superstizione popolare in Umbria...


In un libro sulle Memorie storiche di Corciano, stampato nel 1902, a pagina 100 si fa menzione di una tipica chiesetta del contado che insisteva sulla strada per Magione, con una pittura devozionale alquanto 'bizzarra' al suo interno.

"Altra chiesa di Santa Maria in Via, sulla strada provinciale per Magione, vocabolo Terraioli, che ora non esiste più. Era grande e vi si osservavano pitture molto antiche e, fra le altre, una in cui era la Trinità, bizzarramente espressa, in una sola testa con tre facc(i)e, simile a quella che può vedersi in un codice dantesco, del secolo XIV, esistente nella Biblioteca Comunale di Perugia."


La curiosità era tanta: sono andato subito a cercarmela, questa Trinità mostruosa a quattro occhi!

Il codice è certamente uno dei più preziosi rimasti alla Biblioteca Augusta di Perugia dopo le spoliazioni pontificie. La miniatura raffigura l'ingresso di Dante in Paradiso, accompagnato da Beatrice, la quale gli consente la visione dell'Eterno...


Su un fondo oro raffinatissimo, con un complesso intrico floreale, svetta questa testa a tre facce incorniciata in una sfera celeste.

Come avevo già spiegato nel mio libricino, Il culto proibito della Dèa, raffigurazioni di questo genere furono popolarissime per tutto il MedioEvo e incentivate dalla Chiesa, perché consentivano di mostrare Dio in una veste paganeggiante molto familiare al volgo che serbava memoria delle antiche divinità bifronti e trifronti.

Quando Lutero accusò i cattolici italiani di superstizione e idolatria, il Concilio Tridentino corse ai ripari cancellando la maggior parte di queste pitture. Ad oggi poche sono sopravvissute fino a noi. Così certo non è stato per l'immagine della Chiesa di Santa Maria in Via, demolita poco prima che il libro sulle Memorie Storiche di Corciano la menzionasse.

Che dire di più?

Grazie a Riccardo per avermi consentito di fare questa piccola -e inaspettata- scoperta...


Nota al documento ---

Per chi desiderasse vedere coi propri occhi il codice dantesco - nelle biblioteche pubbliche è concesso questo privilegio! -, la segnatura è ms. B 25 e la miniatura si trova alla carta 113r.

domenica 9 marzo 2014

Laverna, l'oscura dèa senza corpo.


Padre Salvatore Vitale, un erudito francescano del Seicento, ci racconta in un librone devozionale la vera storia antica della Verna, l'eremo in cui Francesco d'Assisi prese le stimmate.


A spulciare il suo tomo sul Monte Sacro tra i libri del fondo antico della Biblioteca Comunale di Arezzo, veniamo a conoscenza di un dettaglio insospettabile sull'origine del luogo...

« Della causa perché questo Sacro Monte fu chiamato Laverna.

Questo sacro Monte, per tradizione di memoria antichissima si sa, e per molti Autori, che fu nominato Laverna per un Tempio di Laverna, Dea gentilica di ladroni quivi edificato, e frequentato da molti crassatori e ladri che stavano dentro al folto bosco che lo veste; e spesse, profonde ed orrende caverne e burroni, dove sicuri dimoravano per spogliare e predare li viandanti... »


Se non fosse per questo paragrafo, che ci svela una tradizione nota ancora ai primi del '600, noi oggi dovremmo affidarci alle congetture.

Laverna era l'antichissima dèa italica dell'ombra e della morte; così oscura che i Suoi templi erano proprio le grotte, dove spesso trovavano rifugio pastori e malfattori.
Nel mondo romano, Laverna fu presto associata ai ladri di cui divenne la protettrice, perdendo i suoi attributi di dèa ctonia dell'Oltretomba.

Ancora oggi al Santuario francescano della Verna è possibile scorgere quello che doveva essere il tempio primitivo della dèa Laverna, il Sasso Spicco, trasformato nella Grotta dell'Angelo dalla 'bonifica' francescana
[vedi a lato].
Ben prima dello stregone di Assisi, questo sito era visitato da altri pellegrini, i devoti a Laverna che scendevano nei recessi della gola in cerca di protezione.

In un'ottica revisionista, nemmeno troppo ardita, potremmo dire che san Francesco si appropriò dei Suoi devoti scendendo una seconda volta agli Inferi.


--- P.s. A questo link troverai il saggio che dedicai tempo fa all'argomento...


Post sull'episodio delle Stimmate ---

Falco o gufo? La Dea dell'ombra e le piume diaboliche.

Era tutto un sogno? Il monaco Matthew e il 'mistero' delle Stimmate.

I funghi e le stimmate: una visione serafica o allucinogena?

lunedì 27 gennaio 2014

La Madonna che rimpiazzò Diana
- alla chiesa di Santa Maria Infraportas di Foligno...



Non sempre gli indizi più preziosi per decriptare un culto si nascondono negli affreschi.

Anzi, a volte sono così a portata di mano che quasi non li si nota!

Foligno, chiesa di Santa Maria Infraportas.

Quella che vediamo oggi è il risultato di secoli di trasformazioni, dal MedioEvo fino all'Ottocento, ma all'interno della chiesa si conserva ancora la cappellina primitiva consacrata all'Assunta nell'VIII secolo, quando il tempio non era nemmeno dentro le mura cittadine ma nel contado e si chiamava Santa Maria Forisportam:
tanto è vero che ancora nel 1138 è documentata come pieve in un diploma di Innocenzo II.

La cappellina, subito a sinistra, ospita degli affreschi molto suggestivi, tra cui [sopra] una deliziosa fantasia di leoni bizantini dipinta a mo' di tendaggio.

Ma è all'ingresso quello che c'interessa di più.

La porta di accesso è sormontata da una lapide seicentesca che ci racconta le origini primitive della chiesa...


"Antiqua Dianae Superstitione Sublata"

La cappella dell'Assunta fu innalzata per sostituire il culto pagano di Diana, dèa romana della caccia.
Il tempio di Diana non a caso era posto ai margini della città antica di Fulginia (Foligno), fuori delle mura urbiche, probabilmente al limitare di un boschetto.
La chiesetta originale era molto angusta; la cappella, inglobata nel XII secolo quando il Comune cominciò ad allargarsi, misura appena 5,50 x 4,20 metri.

Logico supporre che ai primi cristiani interessasse solo rimpiazzare un culto pagano femminile con un'icona mariana.

Intorno alle origini gloriose della chiesetta si favoleggiò per secoli tanto che la lapide ci racconta che essa fu eretta addirittura nel I secolo dai primi cristiani per ospitare san Pietro in viaggio di evangelizzazione a Foligno (!).

A ricordo dell'impresa, il luogo di culto sarebbe stato intitolato ai santi Pietro e Paolo, cosa davvero strana se si pensa che in origine qui si cultuava una dèa come Diana, e che ancora oggi la chiesa è consacrata alla Madonna.

Noi che ormai abbiamo imparato a studiare le agiografie -ma a diffidarne sempre!- non ci facciamo troppo caso, e badiamo ad altro.

Come al simpatico cagnolino portalegna che sant'Amico di Rambona, in un affresco ancora integro, si tiene stretto stretto al guinzaglio...


P.s. Ringrazio Michela Pazzaglia per le foto: ogni tanto gusta nei propri 'pellegrinaggi' non doversi portare dietro la macchina fotografica!


------ Bibliografia

Bernardino Sperandio, Chiese romaniche in Umbria, 2001, Quattroemme, p. 65