domenica 10 novembre 2013

Quando si adoravano le Fate:
all'origine dei culti mariani...



Il tardo Ottocento prima, con le sue fate melense alla Arthur Rackham, e la Disney poi, coi suoi cartoon edulcorati, ci hanno fatto il lavaggio del cervello.

Come spiego nel nuovo libro, le Fate che presidiavano gli anfratti delle foreste fin dal mondo antico erano oggetto di culto.

I loro poteri erano analoghi a quelli delle dèe levatrici del mondo classico come Ilizia; assistevano alla nascita degli eroi e infondevano loro ricchi doni.
Ma bisognava fare molta attenzione a non scatenare la loro ira: potevano infatti vendicarsi di uno sgarbo ricevuto, anche il più piccolo.
Nelle fiabe popolari, che non sono limitate come alcuni credono oggi a Perrault o ai fratelli Grimm, questo antico monito superstizioso è molto chiaro. Prendiamo le Fiabe Umbre:

« C'era una volta un re e una regina che erano molto infelici perché non avevano figli.

Perciò decisero di chiamare a palazzo tutte le fate del regno per avere un aiuto e finalmente ebbero una bella bambina. Si organizzò a corte una grande festa e la tavola fu apparecchiata con posate d'oro. Furono tanti però gli invitati e le posate d'oro non bastarono per tutti tanto che a una vecchietta toccarono le posate d'argento. Dopo il pranzo gli invitati si avvicinarono alla culla della bambina per augurarle ogni felicità e ogni bene
(...) »

La vecchietta, al momento di fare il suo augurio alla bambina, non dimenticò lo sgarbo delle posate d'argento.

Sarà un caso? Nell'Italia centrale, il bosco più famoso abitato dalle Fate è il Santuario francescano della Verna.
Proprio quello in cui Francesco d'Assisi ricevette le stimmate.

Lo attribuisce alle Fate una tradizione popolare molto sentita che campeggia pure in alcune guide turistiche (La Verna: guida al Sacro Monte, Edimond 2000, pp. 46-48).

Ma chi si reca oggi alla Verna scoprirà che la devozione cristiana si è sovrapposta in tutto all'antico culto delle Fate, fino a penetrare nelle cortecce degli alberi (!).
Ce lo mostra efficacemente un'incisione di Jacopo Ligozzi risalente al 1612...


L'albero su cui la Vergine Maria apparve appollaiata come su un trespolo al Beato Giovanni della Verna fu consacrato al culto cristiano, ricavando una curiosa nicchia devozionale all'interno della sua corteccia. La storica cappellina del Beato Giovanni nell'incisione di Ligozzi compare sullo sfondo, come se fosse un dettaglio secondario.

E se quella Madonna apparsa al Beato Giovanni all'inizio del Seicento fosse stata in origine proprio una Fata?


Nota al testo ---

*Il testo delle Fiabe Umbre consultato è quello edito da Mondadori nel 1988 a cura di Valerio Volpini, p. 49.


Post correlato sul culto arboreo mariano ---

Il santuario del Bagno a Deruta e la Madonna 'quercificata'...

domenica 3 novembre 2013

UmbriaLibri 2013: la morte rituale di una Bella


Avete impegni per sabato prossimo?
Bene, annullateli!

Sabato 9 alle ore 17:00 presentiamo a Palazzo della Penna di Perugia il nuovo libro sul culto delle Fate e i malefici della stregoneria nel racconto della Bella Addormentata.

Lo spazio che ci è stato assegnato nell'ambito di UmbriaLibri 2013 è la Sala delle Visioni.

Ci porterà fortuna? Chissà... Il nome delle Visioni certo non promette male.

martedì 29 ottobre 2013

Il maleficio degli arcolai:
le antiche superstizioni sul filare nel racconto della Bella Addormentata.



Spesso le immagini legate ad una forma di conoscenza primitiva traducono i concetti meglio delle parole.

È il caso di questa splendida miniatura tratta dal Livre des échecs amoreux, prezioso manoscritto della metà del '400.
Le tre temibili Parche della mitologia romana filano la vita dei comuni mortali; la terza, a destra, dipinta come uno scheletro (che coincide con la tremenda Atropo greca) recide il filo con la sua lancia affilatissima.

La pittura, che a noi sembra solo decorativa, è un prodotto colto dell'umanesimo francese, ma a ben guardare ci tramanda una paura atavica dei popoli europei. La paura che una lancia (o un fuso) potesse recidere il filo della vita e porre fine con un tocco solo al fiore degli anni.

Questa paura ancestrale fu esorcizzata per secoli tanto che fino al MedioEvo serpeggiarono in tutta Europa le scaramanzie e gli scongiuri.
Pierre Saintyves ce ne racconta qualcuno a proposito degli arcolai che cito volentieri dall'ultimo libro sulla Bella Addormentata...

« In Scozia la rocca del fuso non deve essere portata per nessun motivo da un lato all’altro della casa durante il Natale. A Natale non si deve filare neanche a Corgorff; il divieto si stende da Natale al primo dell’anno a Cawdor e a Portknockie. Ad Aberchirder la filatura è proibita da Natale alla Candelora. Durante la settimana di Natale non deve lavorare nessuna conocchia in Danimarca; se si osserva questa proibizione, le oche non avranno problemi alla testa e saranno preservate dal capostorno. Se si fila il giorno di Natale, l’attacco dell’aratro va in pezzi. [...]

Gli abitanti di Poitiers sono convinti che ci si filerà il proprio sudario, se si fila la sera della messa di mezzanotte, mentre sulla Montagna Nera si crede che ci si attiri la mala sorte filando canapa o cotone durante la settimana di Natale.

Tutti questi divieti non sono evidentemente che sopravvivenze di un rituale magico o magico religioso nel quale la Bella addormentata nel bosco interpretava il ruolo principale. »

Il filare e il pungersi sono strettamente legati nella storia della Bella Addormentata, e probabilmente lo erano anche nella scaramanzia popolare.

Nei periodi sacri dell'Anno le donne dovevano stare lontane dalle conocchie, a pena anche della loro vita; la Bella Addormentata è, forse, un residuo di questa superstizione.


◉ Sui poteri attribuiti al filare:

La strega e gli Astri. L'origine delle filastrocche...

➔ Sul divieto di filare all'Epifania:

Streghe nel fuso: il giorno di Santa Conocchia.


➔ Sui riti di Rinascita della Natura in Primavera, vedi anche:

La vecchia da segare a tutti i costi: riti di Morte e di Rinascita nella Bella Addormentata.

I devoti di San Valentino e il corteo di Cenerentola

Quando si adoravano le Fate: all'origine dei culti mariani...

Il culto Solare nel vestito di Cenerentola...


Nota all'immagine ---

_La miniatura citata si trova nel folio 14v.
Per i bibliofili irrudicibili, Le Livre des échecs amoreux è scaricabile interamente dal sito della Bibliothèque Nationale de France (Bnf) direttamente qui.

martedì 22 ottobre 2013

La Bella Addormentata e i divieti della Stregoneria contadina.


La Bella che cade morta puntasi con un fuso e il cavaliere che attraversa l'intrico di una foresta per risvegliarla, sono solo il frutto del calamaio del segretario del Re Sole Charles Perrault ?

Agli inizi del '900 Pierre Saintyves, pseudonimo misterioso del libraio massone parigino Emile Nourry, pubblicò una serie di articoli che rovesciavano tutte le teorie letterarie sulle fiabe.

L'analisi comparata di miti e racconti, dall'Edda germanica ai canti trobadorici, dimostrava che la storia della Bella era ben più antica di Perrault o dei Grimm.
La Bella, Cenerentola e Cappuccetto Rosso appartenevano a tradizioni popolari ancestrali.

La Bella Addormentata anticamente era un personaggio liturgico che apriva e chiudeva i Misteri di precise cerimonie stagionali.
Cerimonie che si festeggiavano in tutto il mondo pagano per scacciare le tenebre dell'Inverno e propiziarsi la rinascita della Primavera.

Secondo Saintyves, la Bella Addormentata nel Bosco faceva parte di commentari sacri, che servivano ad istruire i devoti pagani al culto delle Fate e a proteggerli dal potere infausto che la superstizione contadina attribuiva agli arcolai.

Gli arcolai potevano, a Natale, spezzare con le loro ruote il flusso dell'anno, imponendo un inverno perenne: potere che, nelle credenze della stregoneria, si trascinò dal mondo romano fino al nostro MedioEvo.

Sono convinto che, per i lettori di questo (piccolo) libro, la Bella Addormentata diverrà un racconto meno innocuo di ciò che, comunemente, si pensa.


Se vuoi consultare l'Indice e le prime pagine del libro, clicca qui.

giovedì 3 ottobre 2013

Assisi, 4 ottobre: il volantinaggio negato



Non so come voi la pensiate. E confesso, a bassa voce, che non me ne frega nemmeno più di tanto.

Premetto che sono un pessimista irriducibile. Uno di quelli che ha smesso di credere da tempo immemore nella redenzione degli uomini.
Un riprovevole post-ideologico, insomma.

Esistono però delle persone più illuminate di me [o forse solo più deliranti di me] che credono ancora a qualcosa.
Al fatto che certi ideali non si vendono per un piatto di minestra; che anzi vale la pena lottare per affermarli, anche a costo d'ingaggiare una lotta grottesca contro i mulini a vento.

Ebbene, a quelle persone è stato negato di farlo.

Nientemeno che dalla democratica Questura di Perugia, la quale ha negato all'Associazione Civiltà Laica di Terni e all'Associazione degli Atei e degli Agnostici lo spazio per tenere un innocuo volantinaggio in difesa della laicità dello Stato, oggi, in occasione della visita di Papa Francesco ad Assisi.

La motivazione ufficiale non potrebbe essere più nobile: garantire l'incolumità fisica dei manifestanti. Così nobile che fa anche un po' ridere.

L'incolumità di 4 gatti e un topolino è a rischio. I 4 gatti sono pregati di restarsene a casa, e magari anche di avvisare il topolino.

Ripeto: non credo che un volantinaggio avrebbe mosso qualcosa. Sono un nichilista troppo radicale -ahimé- per confidare nella salvezza del Genere umano.
Tutt'al più gli autori del volantinaggio suddetto sarebbero stati presi a pomodori. E buonanotte.

Ma un diritto è stato leso.

Fatevi convincere da uno che non crede più a niente.

lunedì 30 settembre 2013

Una guardia armata per il Povero di Dio.
Riflessioni intorno ad un affresco
dalla chiesa di San Fortunato a Todi.



San Francesco aveva la scorta?

Qualcuno penserà che sia una domanda assurda, fuori luogo.
Eppure un leader carismatico come lui, capace di mandare in delirio la folla con le sue prediche, doveva pur averne una.


Le fonti in nostro possesso, sempre abbottonatissime, ogni tanto lasciano filtrare qualche indizio. Leggete bene.

« Una volta si doveva tenere il Capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era un'abitazione adatta e, all'insaputa dell'uomo di Dio assente in quel periodo, costruì una casa per il Capitolo, nel minor tempo possibile. Quando il padre ritornò, guardò con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e addolorato. Subito, per primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò lastre e tegole. Pure ai frati comandò di salire e di togliere del tutto quel mostro contrario alla povertà. [...]

E avrebbe demolito dalle fondamenta la casa, se i soldati presenti non si fossero opposti al fervore del suo spirito, dichiarando che apparteneva non ai frati, ma al Comune
. » (ff 643)

Di aneddoti così nella Vita Seconda di Tommaso da Celano ce ne sono a bizzeffe, anche più comici.

Ma chi sono i cavalieri di cui si parla alla fine?
Il Capitolo della Porziuncola del 1221 fu un evento colossale che mobilitò qualcosa come tremila frati da tutte le province. Considerando pure il calore con cui gli assisani seguivano sempre le gesta del loro beniamino, è facile pensare che attorno alla Porziuncola in quei giorni ci fosse qualche problemuccio di ordine pubblico.

Il Comune di Assisi sembra gli perdonò la scenata delle tegole.
Specie perché gli assisani avevano il terrore, quando Francesco era in punto di morte, di lasciarsi sfuggire la reliquia di serie A: quell'unghia di Padreterno a cui brindano ancora oggi i ristoratori di Assisi!
Leggete questa:

« Mentre Francesco, pieno di malattie e quasi prossimo a morire, si trovava nel luogo di Nocera, il popolo di Assisi mandò una solenne deputazione a prenderlo per non lasciare ad altri la gloria di possedere il corpo dell'uomo di Dio.
I cavalieri, che lo trasportavano a cavallo con molta devozione, raggiunsero la poverissima borgata di Satriano
[...] »(ff 665)

C'è da chiedersi quante altre volte il Comune di Assisi avrà sborsato soldi per assicurare la scorta al Povero di Dio.

Le fonti, come al solito, non ci concedono altro.
Ma vedere i soldati che presidiavano il corpo di Francesco morente per non farselo rubare è più facile di quanto non si creda.

Basta andare al Tempio di San Fortunato di Todi dove, in una cappella laterale che ospita affreschi del Trecento, si è conservata proprio questa scena [vedi sopra].

I poveri, quindi, possono avere un trattamento esclusivo come i VIP?
Ebbene sì. Purché siano anche santi...

giovedì 15 agosto 2013

San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.



Giovanni da Campello:
alzi la mano chi ne ha mai sentito parlare.

Fu il quarto frate che si aggregò a Francesco, aderendo ad un progetto di vita rivoluzionario; sul suo conto le fonti francescane sono così sprezzanti da incuriosirci: una volta tanto!

Dopo aver tratteggiato i profili serafici dei primi tre frati (Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio) ecco spuntare la pecora nera che non ti aspetti: Giovanni da Campello o della Cappella.

La storia riprovevole di questo frate è contenuta in una manciata di frammenti [1]. In apparenza, slegati uno dall'altro.
Leggiamo il primo.

« [...] E come un de' dodici apostoli, il quale si chiamò Iuda Scariotto, apostatò dello apostolato, tradendo Cristo, e impiccossi se medesimo per la gola; così uno de' dodici compagni di santo Francesco, ch'ebbe nome frate Giovanni dalla Cappella, apostatò e finalmente s'impiccò se medesimo per la gola. E questo agli eletti è grande esempio e materia di umiltà e di timore, considerando che nessuno è certo perseverare infino alla fine nella grazia di Dio. »
[Incipit dei Fioretti, ff 1826]

Che dire? Sembra quasi che l'anonimo autore dei Fioretti abbia scritto un monito contro i frati traditori.
Ma qual era il vero 'peccato' di frate Giovanni?

Sempre i Fioretti, che in genere sono così generosi nel regalare aneddoti stucchevoli, ci tramandano una profezia di Francesco che ha dell'inquietante.

« Sicuramente, come santo Francesco conoscesse li difetti de' frati suoi, sì si comprendé chiaramente in frate Elia, il quale spesse volte riprendea dalla sua superbia [Elia non a caso sarà scomunicato nel 1240!]; e in frate Giovanni della Cappella, al quale egli predisse che si dovea impiccare per la gola se medesimo »
[ff 1865]

Immaginare il Poverello serafico predire una cosa del genere ad un suo compagno con la freddezza di una Pizia, è un po' inverosimile.

Un testimone oculare, frate Giordano da Giano, nella sua Cronaca ci aiuta a capire qualcosa di più su questa storia torbida.

Antefatto: Francesco è in Egitto a predicare il Vangelo, quando un'indovina predice ai frati che la fraternitas in sua assenza si sta sfaldando.

« Ritornate! Ritornate! perché per l'assenza di frate Francesco l'Ordine è turbato, si divide e si disperde. E questo rispondeva a verità. [...] Così anche frate Giovanni da Campello, raccolto un gran numero di lebbrosi, di uomini e di donne, uscì dall'Ordine e volle farsi fondatore di un nuovo Ordine; stese una regola e per farla approvare si presentò con i suoi seguaci alla Sede apostolica. [...] Il beato Francesco, presi con sé frate Elia, frate Pietro Cattani e frate Cesario [...] e altri frati, se ne tornò in Italia. E qui, dopo aver capito più a fondo le cause dei disordini, non si recò dagli agitatori, ma dal signor papa Onorio. [...] Avendo dunque riferito al Signore di Ostia, suo papa [il cardinale Ugolino, protettore di Francesco], le cause del suo turbamento, egli immediatamente revocò la lettera a frate Filippo, e frate Giovanni con i suoi fu vergognosamente espulso dalla Curia. E così, con il favore di Dio, i turbolenti furono subito calmati e il beato Francesco ristrutturò l'Ordine secondo i suoi ordinamenti. »
[ff 2335-2337]

Viene il dubbio che la scomunica di frate Giovanni e la sua impiccagione fossero due eventi correlati.
Di più, consequenziali.

Certo Francesco sapeva bene come si reprime il dissenso, forte di amicizie influenti contro cui delle scalcinate comunità di lebbrosi niente potevano. Di più sul conto del misero frate Giovanni non si può dire: troppo lacunose le fonti in nostro possesso.

Ciò non toglie che sarebbe molto gustoso immaginare un film sul Poverello serafico che inizi proprio da qui, dall'impiccagione di Giovanni della Cappella.


Qualche post sulle 'crudeltà' francescane ---

San Francesco e il pugile di Firenze: a scuola di pugni prima di papa Bergoglio.

Il bello dei cadaveri: l'Obbedienza secondo San Francesco.

San Francesco a Perugia: una storia violenta.

San Francesco e quella lettera contro gli stupri poco gradita...

La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano
...

La paura fa 90:
lo 'stile' francescano
.

"Guai a quei frati..." Punizioni francescane per tenere alta la disciplina.


Note alle immagini ---

_Il dettaglio in apertura è tratto dalla Visione del carro di fuoco, dipinto da Giotto alla Basilica Superiore in Assisi intorno al 1295.

_La miniatura in conclusione del post, con una scena d'impiccagione, proviene dalla British Royal Library.
Per segnatura: Royal Ms 16 G VI folio 306.

Il prezioso manoscritto si può visionare integralmente nel sito della prestigiosa biblioteca inglese!


Nota al testo ---

[1] Tutti i passi citati, ed ancora altro materiale, sono riportati nel saggio Le stimmate dello Sciamano, Eleusi Edizioni, Perugia, 2010, pp. 183-188.