domenica 22 gennaio 2017

Il sacro serpaio: i sacerdoti di Cerere e gli stregoni ciarlatani dell'Umbria


Umbria: terra di santi o di imbroglioni?

Nel MedioEvo, la differenza pare non fosse così netta.

I ciarlatani erano stregoni che scendevano proprio dall'Umbria - e da un paese in particolare, Cerreto di Spoleto- praticando sortilegi, come ci racconta Piero Camporesi...



« C'era un borgo nell'antico ducato di Spoleto che ebbe per lungo tempo fama singolare; un tranquillo villaggio, difeso da « monti ardui » dominante la valle del Nera, che derivava il suo nome da un antico bosco di cerri: Cerreto.
Secondo una iniqua tradizione, universalmente diffusa, da questo bosco sarebbero sciamati, lesti di lingua, d'ingegno e di mano i cerretani, ossia i ciarlatani
[...]

Ad un certo momento, non bene identificato dalla tradizione, la comunità dei cerretani, o sacerdoti di Cerere, essendo enormemente cresciuta, fu dal sommo sacerdote divisa e specializzata in una miriade di sette, tenuto conto delle tendenze ossia vocazioni del popolo cerretanesco, le quali poi sciamarono per il mondo ad ingannare le genti con le loro fallacie. » [1]

Una di queste sette di cerretani-ciarlatani-ciaralli era specializzata nell'addomesticazione delle serpi.
Il santo umbro Domenico da Foligno e i suoi seguaci ripresero questa tradizione, ricorrendo a pratiche che si perdono nella notte dei tempi...

« [Galeno] denunziava i sotterfugi cui ricorrevano, di solito, i raccoglitori di serpi per esibire il loro potere: catturavano gli ofidi al termine dell'epoca di letargo, quando essi non avevano più forza reattiva ed erano completamente esauriti; li alimentavano con cibi insoliti, costringendoli a mordere, più volte, pezzi di carne fino a che mettessero fuori tutto il veleno; li nutrivano con impasti di farina che ottundevano i forami veleniferi, ottenendo, infine, di presentare come prodigioso il solo effetto di una frode. » [2]

Il professor Giuseppe Bellucci ne Il feticismo primitivo in Italia, presentava uno degli amuleti più potenti contro il morso delle vipere: la medaglia di san Domenico da Cocullo, esibita dai ministri del suo culto - i "sandomenicari"-, su cui è effiggiato il santo con ai piedi i serpenti...




A Roma, la tradizione prescriveva di toccare questo amuleto per sprigionare i suoi effetti antiofidici...

« Pe' li mozzichi de le vipere, che ffanno morì' in sur subbito, fa bbene a ttoccà' o ssegnà' la parte mozzicata, co' la relliquia de San Domenico de Cucullo. Fa ppuro bbene a ddasse subbito foco a la parte mozzicata cor un fèro infocato; oppuramente a sciacqualla bbene bbene co' l'immoniica [ammoniaca]. » [3]

Nella sua stupefacente collezione di amuleti contro le streghe e il malocchio, conservata oggi al Museo Archeologico di Perugia, Bellucci vantava anche una serie di santini con il re dei serpenti.

Ai lati del santo, figurano gli animali contro i cui morsi si estendevano i suoi poteri: i cani idrofobi e le serpi.

Sopra di essi, vediamo due talismani prodigiosi :
il dente del santo per guarire i Cristiani, e il ferro della sua mula per curare gli animali...



I ciarlatani ebbero particolare fortuna a Cocullo, paesino in Abruzzo dove si celebra ancora la Festa dei serpari.

Le serpi liberate si aggrovigliano intorno alla statua del santo portata in processione, in una messinscena tutta pagana.

La "finzione ritualizzata" -come la chiamava Di Nola- regna sovrana!

« [...] proprio a Cocullo si svolge ogni anno, ogni primo giovedì di maggio, la più importante festa in suo onore, famosa perché nell'occasione numerosi gruppi di giovani esibiscono e portano in mano o al collo viluppi di serpenti che vengono toccati dai fedeli e la statua del santo portata in processione viene letteralmente ricoperta da un ammasso di serpenti.

La tradizione vuole che solo nel giorno dedicato alla festa del santo i serpenti siano innocui e possano essere toccati liberamente senza ricevere danno
. » [4]

Che quei serpenti siano scelti tra i non velenosi, ovviamente, è un "segreto professionale" dei sacerdoti di Cerere...


Note alle immagini---

_ La pittura in apertura del post è una ceramica derutese che raffigura un prodigio poco noto attribuito a san Francesco: il denaro mutato in serpente
[cfr. Vita seconda di Tommaso da Celano - ff 654].

Cfr. Carola Fiocco, Gabriella Gherardi, Ceramiche umbre dal Medioevo allo storicismo, Litografie artistiche faentine, Faenza 1989, p. 168.

_ L'immagine in chiusura del post è un'illustrazione tratta da un numero della Tribuna Illustrata del 1905 e documenta la processione a Cocullo.
Una riproduzione del disegno correda la sezione della collezione Bellucci dedicata al culto di san Domenico.


Note bibliografiche ---

[1] Il passo è tratto dalla bella Introduzione di Piero Camporesi a
"Il libro dei vagabondi : lo Speculum cerretanorum...", Einaudi, Torino 1973, pp. L-LI.

A proposito delle relazioni strette tra l'Umbria e i ciarlatani, Camporesi scrive ancora che:
"Nessuna altra terra come l'Umbria (o la Marca) avrebbero potuto partorirle e alimentarle. Una terra dove, accanto ai mistici, spesso sull'orlo dell'eterodossia e dell'eresia, pullulavano ambigui fondatori di sette, nate sul terreno fermentante e spesso farneticante del francescanesimo più audace [...]".
Cfr. Camporesi, p. LIV.

[2] Cfr. Alfonso Di Nola, Il ciarallo come operatore rituale in "Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana", Bollati-Boringhieri, Torino 2001, p. 124.

Di Nola sottolinea nel suo studio come il ciarallo-ciarlatano abbia spesso a che fare con i serpenti:

"[...] i ciaralli si identificano spesso con i ciurmatori.
La classificazione linguistica più significativa è di Giammarco, che specifica: « ciarlatano, incantatore di serpenti, de' quali porta seco in una scatola un certo numero, e mostrandoli ai gonzi narra loro fatti strani per ingannare e trarre l'utile
».
Cfr. Di Nola, p. 124.

[3] Vedi il contributo di Angelo Caranfa, "Contro li mozzichi de le vipere": San Domenico tra i guitti.
L'articolo è consultabile al seguente indirizzo.

[4] Cfr. Giancarlo Baronti, Tra bambini e acque sporche: immersioni nella collezione di amuleti di Giuseppe Bellucci, Morlacchi, Perugia 2008, pp. 247-248.

martedì 27 dicembre 2016

Lo stregone che fece paura al Papa: la predica agli Uccelli secondo il monaco Ruggero.




La devozione francescana in Umbria ha prodotto molti itinerari, ricamando su aneddoti favolistici.

Una di queste passeggiate si trova a Cannara, sul luogo dove il poverello compì un prodigio insolito: la predica agli uccelli.


Quello di Cannara è solo uno degli innumerevoli siti dove lo stregone di Assisi parlò ai pennuti.

Nella chiesa di San Francesco a Bevagna, all'ingresso del borgo, si conserva perfino il masso su cui il poverello posò i piedi quando compì il prodigio.
La pietra si trova nella cappellina alla destra dell'altare, custodita con molta gelosia: murata e serrata da un'inferriata!


In una guida turistica di metà Ottocento, Giuseppe Bragazzi narrava di questa insolita reliquia [1] che ai suoi tempi era ben conosciuta...




A partire da Lo stregone di Assisi, ho cercato di spiegare che questi fattarelli agiografici hanno in realtà un retroscena magico.

Parlare agli uccelli nell'immaginario medievale era il più famoso dei reati di stregoneria di cui si macchiava il sottobosco clericale [leggi: i pretastri di campagna].

Per tutto il MedioEvo, resistette la credenza superstiziosa secondo cui chi era in grado di parlare la lingua degli uccelli detenesse poteri sovrannaturali.

Il misfatto è dipinto in molte miniature che illustravano la Causa 26 del Decretum Gratiani e ripete sempre la medesima scena: un maghetto è intento a parlare con un volatile che sbuca tra le fronde di un albero.
Sulla sinistra, il vescovo infligge la punizione!


Il monaco inglese dell'abbazia di Saint Albans Ruggero di Wendover, nella sua breve agiografia ci aiuta a capire il vero valore politico della predica agli uccelli.

Messo alla porta dal papa ierocrate Innocenzo III, che lo invita per il suo aspetto sordido a razzolarsi tra i maiali [2], e disdegnato dal popolo romano, Francesco si reca nella campagna per prendersi la sua 'rivincita'.

Come un prete-stregone del contado, comincia a parlare agli uccelli e catalizza l'attenzione dei coloni superstiziosi, finché il clero non è costretto ad accoglierlo di nuovo tra le mura urbiche.



La testimonianza in sé è preziosissima perché ci consente di mettere a fuoco ciò che parlare agli uccelli fu davvero per il poverello:
uno strumento di fama e di consenso...

« E così, uscendo dalla città, nel suburbio si imbatté in corvi razzolanti tra i rifiuti e in avvoltoi, gazze e molti altri uccelli che volteggiavano nell'aria, e disse loro: "Vi comando nel nome di Gesù Cristo, che i giudei hanno crocifisso e del quale i miseri romani hanno disprezzato la predicazione: avvicinatevi a me per ascoltare la parola di Dio, nel nome di Colui che vi ha creato e vi ha salvati nell'arca di Noè dalle acque del diluvio".

Immediatamente al suo comando tutta quella moltitudine di uccelli, accostandosi a lui, lo circondò e, in silenzio sospendendo ogni cinguettìo, per lo spazio di mezza giornata, intenti alle parole dell'uomo di Dio, restarono fermi e rimiravano il volto del preticatore.

I cittadini romani e tutti coloro che entravano o venivano dalla città, si accorsero di questo fatto meraviglioso, ripetuto dall'uomo di Dio allo stesso modo per tre giorni convocando gli uccelli; allora il clero con numeroso popolo venne dalla città e introdusse nell'abitato l'uomo di Dio con grande venerazione
. » [ff 2289]


Post sui Maghi che parlano agli Uccelli ---

Gli uccelli e l'indovino: prima lo imito, poi lo condanno!

Uccelli maledetti: il culto clandestino della Natura nel Medioevo.

L'Umbria, in particolare, era nota per la divinazione sugli uccelli, fin dal mondo antico.
◉ Vedi il post: L'Umbria e gli uccelli: un legame antico.


Note al testo ---

[1] Cfr. Bragazzi, La rosa dell'Umbria, ossia Piccola guida storico-artistica di Foligno, Spello, Assisi (...), Foligno 1864, p. 267.

La pietra si trova murata ancora oggi all'interno della chiesa, con il cartello celebrativo di cui parlava Bragazzi.
Vedi foto nel sito de I sentieri del silenzio.

[2] L'aneddoto che riferisce Ruggero smentisce nettamente la tradizione cattolica secondo cui, sulla base della Legenda Maior di Bonaventura, il papa avrebbe accolto il Poverello a braccia aperte, dando un'approvazione verbale alla Regola:

« Il vicario di Cristo, papa Innocenzo III, [...] si sentì incline ad accogliere con pio assenso le sue richieste. » [ff 1062]

Per la traduzione del testo latino, seguo l'edizione delle Editrici Francescane, Padova 2004.


Note alle immagini ---

_ La miniatura in apertura del post è una pergamena di recupero della fine del XIII secolo e si trova conservata presso l'Archivio storico di Orvieto.

Cfr. La civiltà del libro in Orvieto: materiali per lo studio della decorazione dei codici nei secoli XI-XV, Catalogo della mostra, Protagon - Regione dell'Umbria, Perugia 1991, pp. 72-73.

_ La seconda miniatura qui pubblicata, databile intorno al 1300, è conservata alla Staatsbibliothek di Berlino.
Per questa ed altre immagini simili, vedi il seguente libro:
Anthony Melnikas, The corpus of the miniatures in the manuscripts of Decretum Gratiani, Studia Gratiana, Rome, 1975.

_ L'affresco in chiusura del post con la Predica agli uccelli, proviene dalla Chiesa di Santa Maria a Vallo di Nera.

giovedì 24 novembre 2016

Dalle Trinità medievali alla Storia Infinita: morfologia dell'orrido.


La Storia Infinita racchiude tante di quelle citazioni paganeggianti che è sempre un piacere rivederlo!

Il film del 1984 è una piccola miniera di citazioni esoteriche.

Tutto inizia dal sigillo del libro trafugato da Bastiano, un doppio uroboro emblema della circolarità della Storia.

Poi c'è il Triskele che campeggia a mo' di bandiera sul pennone della Torre d'Avorio, dimora dell'Infanta Imperatrice, e che Atreyu scorge a cavallo del drago Falkor alla base della Torre prima che il nulla inghiotta tutto [sotto].




Ma tra gli abitanti di Fantàsia, accorsi da tutto il Regno fino alla Torre all'inizio della Storia, si annidano due citazioni che mi sono molto familiari.

Due coppie di personaggi bifronti e trifronti, che l'obiettivo inquadra di sfuggita e che hanno un preciso retroterra nell'arte europea...




Il MedioEvo riciclò dal mondo classico l'iconografia tricefala per semplificare una spinosa questione dottrinaria:
la presenza di tre persone in un unico Dio.

Un esempio notevole che rintracciai anni fa [1] è l'anonimo ex-voto della Trinità tricefala alla chiesa di Santa Maria a Vallo di Nera.


Ma gli inventori dei personaggi di Fantàsia hanno sicuramente attinto da modelli più recenti:
quelli elaborati nel Rinascimento.

La scoperta delle decorazioni della Domus Aurea di Nerone fornì ai pittori un ventaglio di soluzioni decorative!

Un bell'esempio proprio ad Assisi è la Volta pinta nel palazzo del legato pontificio, al piano stradale, dove campeggia tra i vari mostricciattoli un'erma bifronte [2] ...





L'estroso pittore alessandrino Felice Giani nel '700 ideò addirittura un'inquietante versione 'quadricefala', per decorare il soffitto di una delle sale al piano nobile di palazzo Conestabile della Staffa [3] a Perugia...




Note ---

[1] Di questo ex-voto ho inserito una riproduzione bianco/nero nel libro "Il culto proibito della Dèa" per evidenziare le differenze tra una comune Trinità tricefala maschile e la strana Trinità 'muliebre' dell'abbazia di San Pietro a Perugia.
Cfr. il libro a p. 22.

[2] Tutto il ciclo è tempestato di riferimenti alla fertilità.
La civetta, sormontata dai bastoni fioriti, è una chiara allusione erotica; su questo argomento vedi il post Il maleficio delle Tre Civette.
Per datare l'affresco di Assisi è attestato un pagamento nel Bollettario del Comune ad un certo « Raphael pictor » di 4 fiorini in data 21 agosto 1556.
Cfr. Ezio Genovesi, Le grottesche della Volta pinta in Assisi, Accademia properziana del Subasio, 1995, p. 16.

[3] Il palazzo oggi ospita la Biblioteca Augusta, e l'affresco in questione si trova nella stanza adibita ad Ufficio Fondo Antico.

venerdì 4 novembre 2016

La beata Angelina e le sacerdotesse del Fuoco.


L'iconografia di certi Santi, talvolta, è del tutto speculare a quella degli dèi pagani:
esaminiamo il caso della Beata Angelina da Montegiove.


Uno dei suoi ritratti più famosi è riportato sull'antiporta della prima agiografia a lei dedicata, scritta da padre Iacobilli e stampata a Foligno nel 1627.

Nel braccio destro la beata Angelina stringe la sua 'creatura', il convento delle terziarie francescane.
Dalla mano sinistra invece scaturisce la fiamma del fuoco sacro.

Nel 1737 Carlo Grandi rielaborò il disegno in un'incisione a bulino e acquaforte[1] per la riedizione della fortunatissima Vita di padre Iacobilli...


Stavolta del modellino del convento non c'è più traccia, sostituito dalla Regola a cui le sorelle terziarie aderiscono.
Ma il fuoco della fede arde ancora sul palmo della sua mano.

Angelina fu ritratta spesso con in mano il fuoco, Suo attributo di potere.

Anche in un Albero francescano non sopravvissuto, menzionato dal frate Fabio Siri, campeggiava questa immagine...

« Il padre Andrea Bonfanti [...] pubblicò l'anno 1614 in Fiorenza una Tavola o foglio reale dell'immagini di tutti i santi e beati del Terzo Ordine di san Francesco; e fra gli altri pone quello della Beata Angelina con titolo di contessa di Civitella che porta nella pianta della mano una fiamma di fuoco. » [2]

Per giustificare l'associazione tra Angelina e il fuoco, Iacobilli narrava che la Beata al cospetto del re di Napoli Ladislao, per provare la forza della sua fede, avesse tenuto dei tizzoni ardenti, « bragie fiammeggianti », tra le pieghe della veste !

« Stupido in tanto mirava & ammirava il Re fiammeggianti le bragie & in tutto illeso il manto della donzella, che le conteneva; & non meno stupiva che ella havesse penetrato l'intimo del suo cuore & propolato il segreto di volerla far ardere nel fuoco, che egli sempre occulto & celatissimo riserbò nel seno. » [3]

Il fuoco sacro custodito da Angelina nella tunica era un'immagine così potente da essere sfruttata ancora nei santini del primo '900...


La Beata Angelina fondò un convento di vergini che rifiutavano la clausura e vivevano tra loro in comunità, senza barriere.

Nella sua iconografia è evidente la sopravvivenza di poteri paganeggianti.

Siamo davanti ad una vestale post litteram ?



Nota all'immagine ---

Sopra, Vestali nell'atto di sacrificare al Fuoco sacro.
Roma, Musei capitolini].


Note al testo ---

[1] Cfr. Servus Gieben, Iconografia di Angelina da Montegiove in Biografie antiche della beata Angelina da Montegiove..., Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, Spoleto 1996, p. 218.

[2] Cfr. Fabio Siri da Montereale, Sommario della Vita della B. Angelina..., Foligno 1663, p. 14.

[3] Cfr. Ludovico Iacobilli, Vita della B. Angelina Corbara, contessa di Civitella d'Abruzzo, in Foligno 1627, pp. 36-37.

martedì 4 ottobre 2016

I funghi e le stimmate: una visione serafica o allucinogena?


Da dove vengono le stimmate di Francesco?

Molti frati pensarono che Leone si fosse bevuto il cervello [1] quando raccontò la mostruosa apparizione del Serafino.

L'autore dei Fioretti sintetizzava i dubbi degli scettici in una frase:

« ... non per martirio corporale, ma per incendio mentale egli doveva essere tutto trasformato in nella ispressa similitudine di Cristo Crocifisso. » [ff 1920]

Non ci si poteva credere: per avere una visione così orrida, altro che « in quodam raptu contemplationis » :
il Poverello doveva essere sotto l'effetto di sostanze psicotrope!

Quest'idea sembra essere sopravvissuta ad Anagni in un affresco curioso, nella chiesa di San Pietro in Vineis...


Francesco è inginocchiato in adorazione del Serafino.
La famiglia francescana [compresa santa Chiara, a destra] si stringe orante intorno a lui.
La scena è incorniciata da due alberi-fungo che sovrastano il santo fino a lambire i due bracci della croce.

Questo dettaglio degli alberi fungini non è una trovata originale.
Si ritrova anche nel Terzo Maestro di Anagni [2], autore (contemporaneo?) di uno spettacolare ciclo alla Basilica dei Santi Quattro Coronati di Roma.

Ma nel ciclo dell'Aula Gotica a Roma i funghi hanno perlopiù una funzione decorativa [3], per illustrare le scene dei mesi: non raccontano visioni misticheggianti...



L'autore della Visione del Serafino, invece, è un po' più ambiguo.

Come non notare le 'squame' sul verde degli alberi che ricordano vagamente le verruche dell'agarico muscario?


Mi viene il dubbio che anche il pittore del nostro affresco avesse sentito da qualche frate la storiella dell' «incendio mentale» ...


◉ Sui funghi allucinogeni che crescono nel Bosco dei defunti ---

Funghi Matti: la danza estatica nel Bosco degli Antenati.


Nota all'affresco ---

➔ La stimmatizzazione di Anagni è citata in William Cook, Images of St. Francis of Assisi in painting...,
The University of West Australia, Leo Olschki Editore, Città di Castello, 1999, p. 27 ➔ vedi nota [2].


Note al testo ---

[1] « Frater Johannes de Parma, minister generalis, in pleno capitulo generali Janae praecepit fratri Bonicio [...] ut diceret fratribus de stigmatibus suis veritatem, quia multi de hoc per orbem dubitabant. »

Cfr. Fratris Thomae vulgo dicti de Eccleston Tractatus de adventu Fratrum Minorum in Angliam, a cura di A. G. Little, Manchester, University Press, 1951, pp. 74-75.

[2] Alcuni critici tendono ad attribuire l'Apparizione del Serafino proprio al Terzo Maestro di Anagni o ad un suo seguace.

Cfr. William R. Cook, Images of St. Francis of Assisi in painting, stone and glass from the earliest images to ca. 1230 in Italy,
The University of West Australia, Leo Olschki Editore, Città di Castello, 1999, p. 27.

[3] Giorgio Samorini, che ha studiato l'agarico muscario nell'Arte medievale cristiana, tiene comunque a sottolineare nel suo saggio sui funghi allucinogeni che spesso i pittori sembrano usarlo come « un'immagine stereotipata, inconsapevoli della sua possibile lettura in chiave micologica » .

Cfr. Samorini, Funghi allucinogeni: Studi etnomicologici, Telesterion 2001, p. 207.


Post correlati sull'episodio delle Stimmate ---

Era tutto un sogno? Il monaco Matthew e il 'mistero' delle Stimmate.

Laverna, l'oscura dèa senza corpo.

domenica 18 settembre 2016

Il bello dei cadaveri:
l'Obbedienza secondo San Francesco
.




Disobbedire al Capo non era una grande idea.

A correggere i compagni più negligenti ci pensava un fraticello picchiatore: il pugile di Firenze.

Ma erano casi estremi: il più delle volte, bastavano quattro parole sibilline per ricondurre i frati nel recinto dell'Obbedienza.

Quando una volta gli domandarono: « Chi deve essere ritenuto un vero frate minore? », egli portò l'esempio del cadavere.

« Prendi un corpo morto - disse - e mettilo dove ti pare e piace.
E vedrai che, se lo muovi, non si oppone; se lo metti in un posto, non mormora; se lo metti da parte, non protesta. Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso. Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui viene destinato; non insiste per essere trasferito; eletto a un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno
» . [1]

Francesco amava indulgere nelle allegorie, ma talvolta il nostro stregone doveva ricorrere a mezzi più persuasivi per mettere a tacere i dissensi interni.

Bonaventura ci racconta uno di questi ultimatum, confezionato su misura per un fratino che non capiva bene le figure retoriche, e abbisognava di esempi più tangibili...

« Una volta gli fu presentato un frate, che aveva trasgredito i comandi dell'obbedienza, perché lo correggesse con il magistero del castigo.

[...] comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l'obbedienza.
E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al frate,
umile e pentito
» . [2]


Sull'uso della violenza per imporre la disciplina tra i frati:

San Francesco e il pugile di Firenze: a scuola di pugni prima di papa Bergoglio.

San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.

La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano...


◉ Lo stesso aneddoto del cappuccio dato alle fiamme è riportato in Tommaso da Celano, Vita Seconda, Capitolo CXIV -ff 738.
Vedi il post:
La paura fa 90: lo 'stile' francescano...

◉ Sulla punizione dei frati inadempienti, vedi anche:

Vietato entrare: la lotta contro i monaci.


Nota all'immagine ---

_In apertura del post: Francesco mostra Sorella Morte, pittore giottesco, Basilica Inferiore di Assisi.


Note al testo ---

[1] Cfr. San Bonaventura, Legenda Maior, Cap. 6 – ff 1107 .

➔ Queste parole Bonaventura le riprese probabilmente dallo Speculum Perfectionis (ff 1736), la Leggenda antichissima che Paul Sabatier sosteneva fosse stata scritta addirittura da frate Leone!

L'elogio del cadavere assume contorni inquietanti pensando all'impiccagione del frate Giovanni da Campello.

[2] Cfr. Bonaventura - ff 1116 .
⮩ La traduzione seguita è sempre quella delle Editrici Francescane, Padova, 2004.

sabato 27 agosto 2016

Il tempio di Diana
e le processioni al Sacro Buco:
indizi alla chiesa di
Santa Maria di Pietra Rossa...



Ai predicatori medievali non andava sempre tutto liscio.
Padre Iacobilli nella Vita di San Feliciano martire ci racconta che a Trevi fu necessario abbattere un tempio pagano per imporre le gioie del Vangelo.

« Da Spoleto pervenne San Feliciano a Trevi, terra nobile, e solo distante quattro miglia da Fuligno, la quale in latino è detta Trebium o Trevium: nome, tra l'altre ragioni, derivato da Trivia cioè Diana, falsa Dèa degli antichi, la quale chiamavano Trivia, ovvero Triforme [...]

Questa falsa Dèa era in quei tempi in questa terra tenuta in gran veneratione & come a Tutelare & Protettrice, erasi construtto un gran Tempio e solennizzavasi il culto
.

Ma il benedetto prelato, acceso di santo zelo, mandò fuori dal suo petto, abitacolo dello Spirito Santo, parole & concetti tali, & in maniera commosse i Trevani, & sì impetuoso fervore di Spirito li partecipò che loro medesimi demolirono il Tempio; e in quell'istesso sito già dedicato a Diana, in cui dalle cieche & ingannate creature, era stato sì disonorato e offeso il creatore, fu eretta una Chiesa in onore del vero Dio, ove con oblationi immaculate santamente si sacrificasse. » [1]


È possibile individuare, dopo secoli, l'antico tempio di Diana?
Difficile, ma non impossibile.

Proviamo con un santuario mariano nella piana di Trevi sovraccarico di ex-voto tardogotici, che somiglia tanto ad un tempio di Diana:

la chiesa di Santa Maria di Pietra Rossa.



L'identikit del tempio che stiamo cercando ce lo fornisce lo storico delle religioni Georges Dumézil...

«Diana, che bisogna considerare in figura di vergine, poiché fu assimilata alla severa Artemide, esercitava il suo potere sulla procreazione e sulla nascita dei bambini. Gli scavi hanno riportato alla luce una quantità di ex-voto dal significato indubbio: immagini di organi sessuali maschili e femminili, statuette di madri con lattanti o di donne vestite, ma con l'abito aperto davanti.

Il giorno della festa della dèa, alle Idi d'agosto, le donne si recavano nel bosco in processione, con torce, per dimostrare la loro riconoscenza per i servizi resi.
Nel bosco, una fonte celava una sorta di ninfa, Egeria, il cui nome si riferisce alla liberazione delle partorienti (e-gerere); ad essa venivano a sacrificare le donne gravide per assicurarsi un parto facile
. » [2]

La descrizione di Dumézil ricorda molto da vicino le processioni notturne delle donne di Trevi alla chiesa della Pietra Rossa.

Nel santuario era custodito un masso forato dai poteri di fertilità portentosi, in cui tutte le donne gravide infilavano il dito...


L'antropologa Fiorella Giacalone, in un articolo pubblicato nel 1990, descriveva nei dettagli questo rituale:

« [...] fino a pochi decenni fa le donne si recavano nella chiesa per ottenere guarigioni compiendo un preciso cerimoniale, che consisteva nell'introdurre il dito indice nella pietra, a cui seguiva un triplo giro intorno all'altare, toccando l'affresco con l'immagine di S. Giovanni. Solo dopo questa pratica devozionale si poteva attingere l'acqua del pozzo per berla o lavarsi. » [3]

Il masso era oggetto di una devozione febbrile, tanto che nel '600 si decise di murarlo dietro un altarino mariano, lasciando al vivo la parte venerata (astuzia da preti!).


Le donne in cerca di marito si recavano in processione alla Pietra il 23 giugno, alla vigilia della festa di San Giovanni.
Le processioni spesso degeneravano in tresche impudiche, tanto che furono cancellate. [4]

I favori della Madonna [o di Diana?] erano troppo ambiti!


➔ Sulla connessione tra culto mariano e riti di fertilità ---

Il "giuoco di Diana" e la Signora Oriente: censure Mariane.

La Madonna che rimpiazzò Diana - alla chiesa di Santa Maria Infraportas di Foligno...

Note al testo ---

[1] Cfr. Ludovico Jacobilli, Vita di san Feliciano martire, vescouo, et protettore della città di Foligno, in Foligno, 1626, p. 30.

Jacobilli si riferisce al culto di Ecate trivia, sovente associata a Diana, le cui immagini poste lungo le strade proteggevano i viandanti in corrispondenza degli incroci.
Il culto di Ecate fu soppiantato dagli evangelizzatori con le edicole mariane, in città come nelle strade di campagna.

Nel libricino Tre Civette sul comò: storia di un maleficio (pp. 11-13) analizzo una di queste edicole mariane, posta a Perugia al centro di un trivio.

[2] Cfr. Dumézil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano 1977, p. 356.

[3] Cfr. Fiorella Giacalone, Il culto delle acque e delle pietre a s. Maria di Pietrarossa: aspetti storico-antropologici, in La chiesa di S. Maria di Pietrarossa presso Trevi..., Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, 1990, p. 124.

[4] « La vigilia di S. Giovanni era importante anche come propiziazione alle nozze: le donne nubili infatti si recavano in processione alla chiesa, per chiedere la grazia di uno sposo. Natalucci ricorda che in tale occasione gruppi di (presunti) briganti si appostarono nelle vicinanze per rapire le ragazze, spesso con il loro stesso consenso, trattandosi anche di fughe organizzate. Tale prassi era così diffusa che la processione venne abolita. »
Cfr. Giacalone, Op. cit., p. 123.

Giacalone riprende questo fatto dalla Historia universale dello Stato temporale ed eclesiastico di Trevi di Durastante Natalucci, 1745 [ristampato da Edizioni dell'Arquata, 1985], pp. 388-389.


Diana o Giunone? Un appunto sulle origini del culto ---

Durastante Natalucci, uno storico locale del '700, rifacendosi al Poema manoscritto oggi disperso di un certo Annibale Orosio, poeta vissuto appena un secolo prima, sosteneva che il santuario mariano di Trevi sorgesse dove era l'antico tempio di Giunone.
Giunone era, con Diana, la dèa a cui si votavano le partorienti.

« E l'antica chiesa di S. Maria di Pietra Rossa, pure unita al detto Capitolo, che esiste fra la Strada Romana ed il Clitunno, circa un miglio distante da Trevi, dove, al dire del(l') Orosio, era il tempio di Giunone. »

Cfr. Natalucci, Op. cit., p. 386.