sabato 27 agosto 2016
Il tempio di Diana
e le processioni al Sacro Buco:
indizi alla chiesa di
Santa Maria di Pietra Rossa...
Ai predicatori medievali non andava sempre tutto liscio.
Padre Iacobilli nella Vita di San Feliciano martire ci racconta che a Trevi fu necessario abbattere un tempio pagano per imporre le gioie del Vangelo.
« Da Spoleto pervenne San Feliciano a Trevi, terra nobile, e solo distante quattro miglia da Fuligno, la quale in latino è detta Trebium o Trevium: nome, tra l'altre ragioni, derivato da Trivia cioè Diana, falsa Dèa degli antichi, la quale chiamavano Trivia, ovvero Triforme [...]
Questa falsa Dèa era in quei tempi in questa terra tenuta in gran veneratione & come a Tutelare & Protettrice, erasi construtto un gran Tempio e solennizzavasi il culto.
Ma il benedetto prelato, acceso di santo zelo, mandò fuori dal suo petto, abitacolo dello Spirito Santo, parole & concetti tali, & in maniera commosse i Trevani, & sì impetuoso fervore di Spirito li partecipò che loro medesimi demolirono il Tempio; e in quell'istesso sito già dedicato a Diana, in cui dalle cieche & ingannate creature, era stato sì disonorato e offeso il creatore, fu eretta una Chiesa in onore del vero Dio, ove con oblationi immaculate santamente si sacrificasse. » [1]
È possibile individuare, dopo secoli, l'antico tempio di Diana?
Difficile, ma non impossibile.
Proviamo con un santuario mariano nella piana di Trevi sovraccarico di ex-voto tardogotici, che somiglia tanto ad un tempio di Diana:
la chiesa di Santa Maria di Pietra Rossa.
L'identikit del tempio che stiamo cercando ce lo fornisce lo storico delle religioni Georges Dumézil...
«Diana, che bisogna considerare in figura di vergine, poiché fu assimilata alla severa Artemide, esercitava il suo potere sulla procreazione e sulla nascita dei bambini. Gli scavi hanno riportato alla luce una quantità di ex-voto dal significato indubbio: immagini di organi sessuali maschili e femminili, statuette di madri con lattanti o di donne vestite, ma con l'abito aperto davanti.
Il giorno della festa della dèa, alle Idi d'agosto, le donne si recavano nel bosco in processione, con torce, per dimostrare la loro riconoscenza per i servizi resi.
Nel bosco, una fonte celava una sorta di ninfa, Egeria, il cui nome si riferisce alla liberazione delle partorienti (e-gerere); ad essa venivano a sacrificare le donne gravide per assicurarsi un parto facile. » [2]
La descrizione di Dumézil ricorda molto da vicino le processioni notturne delle donne di Trevi alla chiesa della Pietra Rossa.
Nel santuario era custodito un masso forato dai poteri di fertilità portentosi, in cui tutte le donne gravide infilavano il dito...
L'antropologa Fiorella Giacalone, in un articolo pubblicato nel 1990, descriveva nei dettagli questo rituale:
« [...] fino a pochi decenni fa le donne si recavano nella chiesa per ottenere guarigioni compiendo un preciso cerimoniale, che consisteva nell'introdurre il dito indice nella pietra, a cui seguiva un triplo giro intorno all'altare, toccando l'affresco con l'immagine di S. Giovanni. Solo dopo questa pratica devozionale si poteva attingere l'acqua del pozzo per berla o lavarsi. » [3]
Il masso era oggetto di una devozione febbrile, tanto che nel '600 si decise di murarlo dietro un altarino mariano, lasciando al vivo la parte venerata (astuzia da preti!).
Le donne in cerca di marito si recavano in processione alla Pietra il 23 giugno, alla vigilia della festa di San Giovanni.
Le processioni spesso degeneravano in tresche impudiche, tanto che furono cancellate. [4]
I favori della Madonna [o di Diana?] erano troppo ambiti!
➔ Sulla connessione tra culto mariano e riti di fertilità ---
Il "giuoco di Diana" e la Signora Oriente: censure Mariane.
La Madonna che rimpiazzò Diana - alla chiesa di Santa Maria Infraportas di Foligno...
Note al testo ---
[1] Cfr. Ludovico Jacobilli, Vita di san Feliciano martire, vescouo, et protettore della città di Foligno, in Foligno, 1626, p. 30.
Jacobilli si riferisce al culto di Ecate trivia, sovente associata a Diana, le cui immagini poste lungo le strade proteggevano i viandanti in corrispondenza degli incroci.
Il culto di Ecate fu soppiantato dagli evangelizzatori con le edicole mariane, in città come nelle strade di campagna.
Nel libricino Tre Civette sul comò: storia di un maleficio (pp. 11-13) analizzo una di queste edicole mariane, posta a Perugia al centro di un trivio.
[2] Cfr. Dumézil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano 1977, p. 356.
[3] Cfr. Fiorella Giacalone, Il culto delle acque e delle pietre a s. Maria di Pietrarossa: aspetti storico-antropologici, in La chiesa di S. Maria di Pietrarossa presso Trevi..., Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, 1990, p. 124.
[4] « La vigilia di S. Giovanni era importante anche come propiziazione alle nozze: le donne nubili infatti si recavano in processione alla chiesa, per chiedere la grazia di uno sposo. Natalucci ricorda che in tale occasione gruppi di (presunti) briganti si appostarono nelle vicinanze per rapire le ragazze, spesso con il loro stesso consenso, trattandosi anche di fughe organizzate. Tale prassi era così diffusa che la processione venne abolita. »
Cfr. Giacalone, Op. cit., p. 123.
Giacalone riprende questo fatto dalla Historia universale dello Stato temporale ed eclesiastico di Trevi di Durastante Natalucci, 1745 [ristampato da Edizioni dell'Arquata, 1985], pp. 388-389.
Diana o Giunone? Un appunto sulle origini del culto ---
Durastante Natalucci, uno storico locale del '700, rifacendosi al Poema manoscritto oggi disperso di un certo Annibale Orosio, poeta vissuto appena un secolo prima, sosteneva che il santuario mariano di Trevi sorgesse dove era l'antico tempio di Giunone.
Giunone era, con Diana, la dèa a cui si votavano le partorienti.
« E l'antica chiesa di S. Maria di Pietra Rossa, pure unita al detto Capitolo, che esiste fra la Strada Romana ed il Clitunno, circa un miglio distante da Trevi, dove, al dire del(l') Orosio, era il tempio di Giunone. »
Cfr. Natalucci, Op. cit., p. 386.
venerdì 15 luglio 2016
Il vescovo e il drago:
una battaglia per immagini
alla chiesa di San Giovanni Profiamma.
Nelle chiese spesso si trovano indizi molto più crudi di certi melensi resoconti agiografici.
È il caso della basilica di san Giovanni Profiamma [1], una chiesetta a nord di Foligno che passa quasi inosservata lungo la strada montana se non fosse per il suo portale, che conserva le tracce di uno scontro cruento tra Paganesimo e Cristianesimo.
Protagonista San Feliciano, il leggendario vescovo di Foligno nato proprio qui, nell'antico abitato di Foro Flaminio.
Sul portale a sinistra è ritratto mentre, ancora giovane, sta per affrontare il temibilissimo drago.
A destra, invece, Feliciano infilza con la sua pastorale appuntita il povero drago, e ne usa il cadavere come scranno, reggendo un cartiglio beffardo: PAX VOBIS [sotto].
Come tutti i nuovi dominatori, il vescovo impone la sua pace armata.
Tutto il portale, risalente al '200, è un manifesto che celebra la forza dell'istituzione cattolica e un monito contro chi indulge ancora nelle superstizioni pagane.
Altro che evangelizzazione pacifica!
Nella sua Vita di san Feliciano martire, padre Jacobilli racconta invece che il vescovo convertì in modo pacifico la popolazione che versava ancora "nella cecità del gentilismo"...
« [...] di subito cominciò ad inferire ne i petti de' suoi concittadini gl'instituti santi della verità christiana [...]
Ebbe però sempre al zelo congiunta la destrezza e la prudenza, necessarissime in quei tempi [...] che la maggior parte degli abitatori di Foro Flaminio erano allora immersi nella cieca adorazione degli Idoli. » [2]
Una storia a lieto fine, quella di san Feliciano?
Pare di sì, almeno da queste parti.
Stessa cosa non si può dire per il caso della vicina Trevi, dove fu necessaria la distruzione di un tempio sacro a Diana per avere ragione dei pagani.
Ma questa è la storia del prossimo post...
Post sullo lotta tra Santi e draghi ---
Il vescovo e il drago: una battaglia per immagini alla chiesa di San Giovanni Profiamma.
➔ San Crescenziano abbatte il drago:
Il drago a difesa della Madre: la falsificazione di un mito pagano.
➔ San Felice prende ad accettate il drago:
Boschi sacri: l'ascia di san Felice all'abbazia di Sant'Anatolia di Narco.
◉ Evocazione della fertilità mediante il drago:
La strega e lo Sdrago delle acque. Origine magica di una parola.
Le processioni del Drago: un rito medievale per ottenere fertilità.
Nota architettonica ---
La chiesa merita una visita anche per la sua scenografica scalinata che culmina nel ciborio, copia di quello perugino di San Prospero.
Bello sì, peccato sia tutto un falso clamoroso dei primi del '900.
Ugo Tarchi, il principe degli architetti neogotici italiani, lo riprodusse in un bozzetto nella sua famosa opera L'arte nell'Umbria e nella Sabina, volume II, L'arte cristiano-romanica
[vedi sopra il confronto].
Note bibliografiche ---
[1] L'abitato che era attraversato dalla via Flaminia, fu distrutto dai Longobardi nel 741 d.C., ciò spiega anche la ricostruzione della chiesa secondo le pure linee del Romanico.
Cfr. La basilica di San Giovanni Battista in San Giovanni Profiamma, a cura di Cristina Casciola, Francesco Anselmi, Sergio Anselmi, Foligno 2001, p.16.
[2] Cfr. Ludovico Jacobilli, Vita di san Feliciano martire, vescouo et protettore della città di Foligno, Foligno 1626, p. 24.
Nota all'immagine ---
Sopra, illustrazione tratta dalla Vita di San Feliciano dello Iacobilli, con ritratto del vescovo che regna sulla città di Foligno.
giovedì 2 giugno 2016
San Francesco e il potente cardinale:
tentazioni notturne nei salotti buoni...
Un suo estimatore, il ricchissimo cardinale Leone di Santa Croce [1], invitava spesso il poverello a trascorrere un soggiorno nella sua casetta dell'Urbe.
Alla fine Francesco accettò l'invito, portandosi dietro un compagno [probabilmente, il suo diletto frate Masseo che spesso lo accompagnava] e chiudendosi con lui in una torre [2] di proprietà del prelato, che il cardinale aveva predisposto a loro uso esclusivo.
Diverse agiografie si soffermano sull'intensa notte di contrizione tra Francesco e il compagno.
Per noi maligni, il racconto più succulento è nella Compilazione di Assisi...
« Soggiornava allora con il cardinale Leone frate Angelo Tancredi, uno dei primi dodici. Questi suggerì al beato Francesco: "Fratello, qui vicino, nelle mura della città, sorge una bella torre, molto ampia e spaziosa all'interno, con nove locali a volta, dove potrai stare appartato come in un eremo". E il beato Francesco: "Andiamo a vederla". La vide e gli piacque. Tornato dal cardinale gli disse: "Signore, forse resterò presso di voi alcuni giorni". Il signor cardinale ne fu grandemente contento. »
[ff 1671]
Cosa ci facessero con nove locali a volta il poverello ed il suo 'compagno' è una bella domanda!
Il racconto prosegue con la nottataccia di Francesco nella torre, tormentato 'dai dèmoni'...
« La prima notte, mentre vi si disponeva a dormire, vennero i dèmoni e lo fustigarono duramente. Egli chiamò subito il compagno, che stava lontano: "Vieni da me!" Quello subito si alzò e andò da lui. Gli disse il beato Francesco: "Fratello, i dèmoni mi hanno fustigato duramente. Perciò voglio che tu mi rimanga accanto, perché ho paura di starmene qui solo". »
Per farla breve, Frate Masseo si sorbì le sue paturnie tutta la notte...
« [...] i miei frati, che vanno per il mondo sopportando fame e molte tribolazioni, e gli altri frati che abitano in case poverelle e negli eremi, udendo che io rimango presso il signor cardinale potrebbero aver occasione di mormorare contro di me, dicendo: "Noi sopportiamo tante avversità, e lui si prende i suoi agi!". »
Francesco era divorato dalle preoccupazioni: in quella residenza di lusso, la sua immagine di poverello integerrimo era in pericolo!
E infatti si congedò la mattina dopo dal generoso cardinale...
« Di primissimo mattino il beato Francesco scese dalla torre e andò dal cardinale a raccontargli quanto gli era accaduto e i discorsi fatti con il compagno.
[...]
Il cardinale era felice di rivederlo; però, siccome lo riguardava e venerava come santo, accettò la sua decisione di non trattenersi oltre. E così il beato Francesco, licenziatosi da lui, tornò all'eremo di Fonte Colombo presso Rieti. » [3]
Questo aneddoto non è un episodio secondario!
Ci dimostra che Francesco d'Assisi conoscesse molto bene un dogma moderno dei mass media: « L'immagine è tutto ».
Sapeva il povero di Dio godere di privilegi Regali senza farsi vedere troppo nei palazzi del potere!
Note al testo ---
[1] Si tratta del cardinale Leone Brancaleone.
[2] Secondo san Bonaventura, che riprende l'aneddoto dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano [ff 705], Francesco fu ospitato nel palazzo del cardinale [ff 1115].
Lo Speculum perfectionis narra invece che la torre del cardinale sorgeva in periferia [ff 1760].
[3] La traduzione qui seguita è quella dell'edizione padovana delle Fonti Francescane (2004).
Nota all'immagine in apertura ---
L'immagine sopra è un dettaglio della Rinuncia agli averi affrescata da Benozzo Gozzoli nella Chiesa di San Francesco a Montefalco, 1452. Il santo vi figura denudato dei vestiti, coperto solo dalla tunica del vescovo di Assisi.
mercoledì 27 aprile 2016
Una civetta diabolica nella chiesa di
Santa Maria a Lugnano in Teverina.
A proposito dei malefici delle Civette, sono andato a visitare la chiesa di Santa Maria Assunta a Lugnano in Teverina:
qui si trova una scultura che ho scovato in un fascicoletto scritto dal marchese Eroli di Narni nel lontano 1903!
All'esterno della chiesa un capitello ci mostra l'ascolto della parola 'buona', quella di Dio [sotto].
All'interno la musica cambia, e l'uomo vomita la parola del diavolo...
Il marchese Eroli, già regio ispettore per i monumenti della bassa Umbria, ci guida lungo le navate della chiesa scandite da un bel pavimento cosmatesco.
Diamogli la parola...
« Camminando, le vedremo divise da otto alte colonne, quattro per parte, i cui fusti sono costrutti a piccole pietre quadrilunghe lavorate a pelle piana, e i loro rozzi capitelli tutti variati.
Sei presentano foglie di assai brutto ineguale intaglio e specie con mascheroncini aggiunti, ed in uno la luna piena, simbolo del demonio, con la civetta, simbolo antico della vigilanza notturna [...] »
Il capitello a cui si riferisce il marchese è così ricco di personaggi che da solo ci racconta il mondo delle superstizioni medievali!
Nello spicchio rivolto verso l'altare si celebra la Chiesa temporale: un prete assistito da due diaconi officia sull'altare [sopra].
Poi viene, lontano dall'altare, nell'oscurità, la degradazione e il peccato [sotto] : un uomo barbuto dalla cui bocca esce un gorgo, e nell'angolo spunta dall'intrico delle foglie una civetta, sormontata dalla luna piena...
« L'ottavo presenta un altare, e presso questo due sacerdoti in paramenti, e nell'angolo destro un serpente a testa d'uomo, figura del demonio o del paganesimo. » [1]
Il marchese parla del nostro capitello riferendosi alle tavole del suo fascicolo che illustravano le sculture.
Quando non esisteva internet, questi fascicoletti erano un ottimo mezzo per divulgare capolavori siti in paesini sperduti, destinati altrimenti all'oblio.
Di seguito, la coperta del suo opuscolo e i disegnini che riproducono le due facce del capitello incriminato...
Oggi che le strade sono [un po'] più agevoli, consiglio a tutti una bella gita a Lugnano in Teverina per capirci qualcosa di più sui poteri diabolici delle civette!
Nota al testo ---
[1] Cfr. Lugnano città Teverina e la sua celebre collegiata di S. Maria Assunta in cielo, Monografia storico-artistica del marchese Giovanni Eroli, Narni 1903, p. 16.
◉ Un post e un libro collegati ---
→ Se siete interessati ai poteri diabolici delle Civette, la storia continua ne Il maleficio delle Tre Civette.
venerdì 11 marzo 2016
Le acque uterine della Dèa:
all'Eremo di Santa Maria Giacobbe
Chi vuole esplorare il cuore medievale e superstizioso dell'Umbria, non può prescindere dalla visita di questo santuario. [1]
Si trova scavato nelle viscere di una rupe, sopra il piccolissimo borgo montano di Pale (vicino a Foligno).
Sul finire dell'800 Michele Faloci Pulignani, prete ed erudito folignate, descriveva con stupore la devozione che ancora suscitava malgrado fosse un posto inacessibile.
"[...] trovasi l'eremo edificato sul ciglio pericoloso di una rupe scoscesa che perpendicolarmente sotto di essa si abbassa per una grande altezza, ed è ripida e difficile tanto, che per salirla e giungere all'eremo fu d'uopo intagliare malamente sulla roccia una lunga serie di scaglioni, ed aprire a viva forza quà e là un malevole sentiero, che spesso conviene risalire quasi a carpone.
E tutto questo in un luogo dove non un albero, non un filo di acqua, non un pugno di terra, ma enormi macigni, che accennano sempre di precipitare nel fondo, e pochi sterpi che malamente germogliano fra quelle aride punte."
Poi monsignor Pulignani aggiunge alla sua descrizione una nota di terrore...
"Ho già detto che l'abside era formato in un modo molto singolare dalla stessa montagna, ma diciamolo pure, se ciò poteva essere una cosa originale, era pure una mostruosità;
mostruosità che la venerazione pel luogo rispettò lungamente, e tardò a fare scomparire fino ai primi anni del secolo XVI, quando nel punto ove la rupe comincia ad abbassarsi fu innalzato un piccolo muro di prospetto che tolse a quell'ambiente la figura di caverna, e se non gli dette eleganza, almeno gli procurò la forma di tempio."
Nel muro fu aperta una specie di finestra affinché i devoti potessero ancora scorgere l'antichissimo affresco di Maria Giacobbe che reggeva il vasetto, dipinto secoli prima sul costone della caverna.
Un grande Eterno benedicente fu dipinto nel '300 a incombere sulla pittura rupestre, per ribadire che il Padre regnava su tutti, anche sulla titolare del santuario.
L'icona di Maria Giacobbe doveva avere qualcosa di potente, se i devoti per secoli incisero i propri nomi sulle pareti affrescate della caverna affinché la santa si ricordasse delle loro suppliche, come notava inorridito don Pulignani...
"Il lettore non potrà immaginare quanti sgorbi e quante sconcezze abbiano lasciate gli oziosi su quelle venerande pareti, e come non che contentarsi di piccoli spazi e questi non dipinti, abbiano invece voluto graffire le pitture da capo a fondo, non risparmiando alle figure il viso neppure, spesso scalcinando interi affreschi, pel gusto di segnarvi a grosse lettere il nome, e questo lasciare alla indignazione dei posteri." [2]
A don Pulignani non piaceva affatto l'affresco di Maria Giacobbe, in cui la donna era stata dipinta "brutta, lunga, fredda e stecchita".
Al contrario, la devozione popolare lo ha preservato fino a noi.
Cos'aveva di tanto prezioso?
La risposta si trova dietro il muro costruito nel Cinquecento, alla base del misterioso affresco della santa.
Nella strozzatura tra la parete rocciosa e il finto muro c'è un pozzetto da cui si attingeva l'acqua.
Questa era la ricchezza incommensurabile del santuario: la presenza di una vena d'acqua in un luogo inaccessibile dove, per citare don Pulignani, non c'era né un albero né un pugno di terra coltivabile, ma solo enormi macigni.
L'acqua sgorgava in una vasca scavata nella roccia, sul retro della chiesa-caverna...
Pare che le ragazze del paese, dietro compenso di un devoto, scalassero l'erta fino al sacello della Santa per invocarne le grazie.
Andrea Antinori, in una guida agli eremi rupestri dell'appennino umbro-marchigiano, riporta questa usanza leggendaria appresa da fonti orali dopo un passaparola di generazione in generazione:
"A Pale è ancora vivo il ricordo di un tradizionale pellegrinaggio «sostitutivo», dove un committente, a pagamento, per ottenere il beneficio, inviava in sua vece al santuario sette ragazze guidate da una donna sposata." [3]
Note al testo ---
[1] L'eremo e i suoi affreschi sono così importanti che ho dedicato loro un intero capitolo ne Il culto proibito della Dèa. Viaggio nei santuari dell'eresia mariana, Eleusi, Perugia 2011, pp. 33-55.
[2] Cfr. Faloci Pulignani, Dell'eremo di Santa Maria Giacobbe presso Foligno, Foligno, 1880.
[3] Cfr. Antinori, I sentieri del silenzio. Guida agli eremi rupestri ed alle abbazie dell'Appennino umbro-marchigiano, Società Editrice Ricerche, Foligno 2009, p. 101.
Post associato sulle acque mariane ----
La fonte magica nelle viscere del Santuario. Alla Madonna delle Fontanelle di Magione.
venerdì 12 febbraio 2016
Erylo, il mostro invincibile,
e i sette martiri della Scarzuola
Ne La Scarzuola, un santuario dimenticato avevo fatto un'ipotesi, partendo da ex-voto antichi ritrovati nella chiesa, sulla dèa che potrebbe celarsi dietro il culto della Santissima Maria della Scarzuola.
L'idea era nata dalla lettura di un classico, La religione romana arcaica di Georges Dumezil, in cui si parlava della ninfa Feronia, la dèa che regnava su boschi e paludi tra l'Umbria meridionale e la Sabina.
Che la Scarzuola fosse un pantano quando Francesco giunse qui lo prova l'origine del suo nome, la scarza, una pianta lacustre con cui i frati si costruirono le prime capanne.
La chiesa sorse dietro la 'fonte miracolosa' come in altri santuari mariani; per esempio, alla Madonna delle Fontanelle a Magione la grotta con la fonte si trova sotto il livello della chiesa.
I luoghi di culto sono spesso il risultato di secoli e secoli di devozione e stratificazioni.
Sotto il coro Marco Solari, l'attuale proprietario del complesso, ha ritrovato numerosi ex-voto antichi che ci indicano la presenza di un culto legato alle portentose acque terapeutiche della Scarzuola, già prima di Francesco...
Chi era questa ninfa Feronia?
Feronia era la dèa violenta della crescita miracolosa: risanava i devoti che accorrevano alle sue fonti e scagliava fulmini contro chi osava profanare i Suoi santuari.
Tracce di un culto dei fulmini si ritrovano anche qui alla Scarzuola, e soprattutto nel soprastante borgo di Montegiove, dove furono rinvenute ai primi del '900 dall'archeologo Cesare Simoni delle statuette del Giove folgoratore (Iuppiter Elicius), come narra lui stesso ne Il castello di MonteGiove, opuscolo stampato in soli 50 esemplari numerati di cui edito la dedica della copia n. 3 conservata alla Scarzuola...
Secondo il mito, Feronia diede alla luce un mostro -Erylo- con tre teste e tre corpi: difficile era ucciderlo.
Tanto che Evandro dovette trafiggerlo tre volte per avere la meglio su di lui:
come narra Virgilio nell'Eneide...
nascenti cui tris animas Feronia Mater
(horrendum dictu) dederat: terna arma movenda,
ter leto sternendus erat** [...]
Il mito di Feronia era un'allegoria della forza selvatica dei boschi su cui regnava la ninfa.
Forse è una semplice coincidenza, ma anche sulle pareti della chiesa alla Scarzuola c'è una storia di sangue.
Anzi, delle storie di sangue multiple.
Sono gli affreschi dei sette martiri francescani:
Donnolo, Angelo, Ugolino, Leone, Nicolao, Samuele e Daniele.
Malgrado essi siano feriti mortalmente in più punti, la fede nella Madonna li rende immortali.
Tutti orrendamente trafitti, eppure ancora vivi.
Scorgere in queste pitture splatter l'eco del mito di Erylo, forse, è troppo.
Ma come ho detto all'inizio, agiografia e mitologia hanno un comune retroterra fantastico.
L'immaginazione serve (proprio) a studiarne i 'misteri'.
Note ---
*Del culto dei fulmini parlavo anche in un vecchio post, Il culto dei fulmini nei santuari francescani.
**Eneide, Liber Octavus, vv. 564-566.
giovedì 14 gennaio 2016
Il Duce francescano:
l'esperimento umbro prima del Concordato...
Le sacre radici dell'Umbria hanno fatto sempre gola a tutti.
Recentemente i nostri amati politicanti a caccia di facile consenso stanno discutendo se inserire, come memoria identitaria,
Francesco d'Assisi e Benedetto da Norcia nello Statuto della Regione Umbria.
Niente di strano!
È un'operazione di propaganda che viene da lontano...
Benito Mussolini fu il primo a pensarci quando l'Umbria stimolava solo la fantasia pruriginosa di qualche nostalgico del gotico*.
In occasione dei 700 anni dalla morte del Poverello, il Duce colse la palla al balzo per promuovere con la Chiesa una nuova politica distensiva. Politica che culminerà tre anni dopo coi Patti Lateranensi.
L'annuncio del Duce riemerge ne L'Italia francescana, libro stampato sulla scia dell'omonima rivista per commemorare il lieto evento...
Parlando di Francesco d'Assisi, Mussolini diede fiato alle trombe**.
"Il più alto genio alla poesia, con Dante; il più audace navigatore agli oceani, con Colombo; la mente più profonda alle arti e alle scienze, con Leonardo.
[...]
Nel 1926 si compiono settecento anni dalla morte di S. Francesco, e l'Italia con anima nuova, più pronta a sentirlo, si rivolge al ricordo del sublime suscitatore."
Ai tempi di Mussolini, l'Umbria era una periferia contadina retta dal patto di ferro tra clero e agrari.
Il Duce la conosceva bene.
Non è un caso se proprio da queste parti, per l'esattezza dall'hotel Brufani di Perugia, siano partite quattro anni prima le camicie nere per la Marcia su Roma, come narrava un'epigrafe trionfale, oggi scomparsa, apposta il 30 ottobre del 1923 sulla facciata dell'hotel e di cui ho trovato due foto preziose nelle cartoline della collezione privata di Adriano Piazzoli.
Le radici dell'Umbria saranno pure sacre.
Ma è un sacro che spesso si è tinto di sangue.
Note ---
* Viollet Le Duc, il celebre architetto neogotico francese, si chiuse nelle Basiliche di Assisi un giorno intero per schizzare disegni.
John Ruskin, giudicando Firenze "falsa", se ne fuggì in Umbria alla ricerca di architetture più primitive.
-- Cfr. Francesco Quinterio, Percorsi d’Architettura in Umbria, a cura di Raffaele Avellino, Folino: Edicit 2010, p. 518.
** Chi ha letto il mio primo libro, Lo stregone di Assisi, il volto negato di San Francesco, ricorderà che ne parlavo a p. 91.
Recentemente i nostri amati politicanti a caccia di facile consenso stanno discutendo se inserire, come memoria identitaria,
Francesco d'Assisi e Benedetto da Norcia nello Statuto della Regione Umbria.
Niente di strano!
È un'operazione di propaganda che viene da lontano...
Benito Mussolini fu il primo a pensarci quando l'Umbria stimolava solo la fantasia pruriginosa di qualche nostalgico del gotico*.
In occasione dei 700 anni dalla morte del Poverello, il Duce colse la palla al balzo per promuovere con la Chiesa una nuova politica distensiva. Politica che culminerà tre anni dopo coi Patti Lateranensi.
L'annuncio del Duce riemerge ne L'Italia francescana, libro stampato sulla scia dell'omonima rivista per commemorare il lieto evento...
Parlando di Francesco d'Assisi, Mussolini diede fiato alle trombe**.
"Il più alto genio alla poesia, con Dante; il più audace navigatore agli oceani, con Colombo; la mente più profonda alle arti e alle scienze, con Leonardo.
[...]
Nel 1926 si compiono settecento anni dalla morte di S. Francesco, e l'Italia con anima nuova, più pronta a sentirlo, si rivolge al ricordo del sublime suscitatore."
Ai tempi di Mussolini, l'Umbria era una periferia contadina retta dal patto di ferro tra clero e agrari.
Il Duce la conosceva bene.
Non è un caso se proprio da queste parti, per l'esattezza dall'hotel Brufani di Perugia, siano partite quattro anni prima le camicie nere per la Marcia su Roma, come narrava un'epigrafe trionfale, oggi scomparsa, apposta il 30 ottobre del 1923 sulla facciata dell'hotel e di cui ho trovato due foto preziose nelle cartoline della collezione privata di Adriano Piazzoli.
Le radici dell'Umbria saranno pure sacre.
Ma è un sacro che spesso si è tinto di sangue.
Note ---
* Viollet Le Duc, il celebre architetto neogotico francese, si chiuse nelle Basiliche di Assisi un giorno intero per schizzare disegni.
John Ruskin, giudicando Firenze "falsa", se ne fuggì in Umbria alla ricerca di architetture più primitive.
-- Cfr. Francesco Quinterio, Percorsi d’Architettura in Umbria, a cura di Raffaele Avellino, Folino: Edicit 2010, p. 518.
** Chi ha letto il mio primo libro, Lo stregone di Assisi, il volto negato di San Francesco, ricorderà che ne parlavo a p. 91.
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