giovedì 21 maggio 2015
San Francesco e l'omosessualità:
i vizi di un buongustaio.
Le fonti francescane, a leggerle bene, restituiscono talvolta dettagli così vividi da sublimare la malizia dei commentatori posteri.
Francesco si accompagnava spesso ad un frate di grande avvenenza fisica, Masseo da Marignano (Assisi), di cui pare lodasse spesso le doti elargitegli da Madre Natura...
« E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di frate Bernardo, che la ebbe in modo perfettissimo [...] la semplicità e la purità di frate Leone [...] l'aspetto attraente e il buon senso di frate Masseo » [Speculum Perfectionis, 1782].
Il "buon senso" di frate Masseo era molto apprezzato anche quando si trattava di fare elemosina.
L'autore dei Fioretti tiene ad informarci che tutta la bontà d'animo di Francesco non muoveva a carità quanto le bontà di Masseo.
« E pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo la Regola, mendicando del pane [...]
Ma imperò che santo Francesco era uomo troppo disprezzato e piccolo di corpo, e perciò era riputato un vile poverello da chi non lo conosceva, non accattò se non parecchi bocconi e pezzuoli di pane secco, ma frate Masseo, imperò che era un uomo grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e grandi e assai e del pane intero » [Fioretti, 1841].
Fin qui, niente di peccaminoso.
Sfruttare i doni del Signore per elemosinare un tozzo di pane, è certo quanto di più lodevole ci sia!
Ma quando il volgarizzatore dei Fioretti riesce a far passare un orgasmo per ardore serafico, rasenta il genio...
« E giungendo a una chiesa, disse santo Francesco al compagno [Masseo]: "Entriamo in questa chiesa ad orare".
E vassene santo Francesco dietro all'altare, e puosesi in orazione, e in quella orazione ricevette dalla divina visitazione sì eccessivo fervore, il quale infiammò sì fattamente l'anima sua ad amore della santa povertà, che tra per lo colore della faccia e per lo nuovo isbadigliare della bocca parea che gittasse fiamme d'amore.
E venendo così infocato al compagno, sì, gli disse: "A, A, A, frate Masseo, dammi te medesimo" .
E così disse tre volte, e nella terza volta santo Francesco levò col fiato frate Masseo in aria, e gittollo dinanzi a sé per ispazio d'una grande asta; di che esso frate Masseo ebbe grandissimo stupore.
Recitò poi alli compagni che in quello levare e sospingere col fiato, il quale gli fece santo Francesco, egli sentì tanta dolcezza d'animo e consolazione dello Spirito Santo, che mai in vita sua non ne sentì tanta » [Fioretti, 1842].
Note all'immagine e al testo ---
_L'immagine sopra è una miniatura con scena omoerotica tratta da una Bible Moralisée [Codex Vindobonensis 2554] dei primi del '200, presso la Biblioteca Nazionale di Vienna (Österreichische Nationalbibliothek).
_Analizzo tutti i passi delle fonti in cui è tratteggiato il rapporto stretto tra san Francesco e frate Masseo ne
Le stimmate dello sciamano, il mito di san Francesco tra sangue e magia, Eleusi 2010, pp. 237-243.
giovedì 2 aprile 2015
La fonte magica nelle viscere del Santuario.
Alla Madonna delle Fontanelle di Magione.
Vi ricordate la fonte prodigiosa della Scarzuola?
Anticamente era legata al culto di una ninfa (ne La Scarzuola ipotizzavo trattarsi di Feronia), prima che Francesco d'Assisi se ne appropriasse, trasformandola nella Fonte di San Francesco. [1]
Un po' ovunque, in Umbria, dove Francesco e i suoi seguaci hanno messo piede è stato così.
L'ennesimo caso è un posto dall'aura sinistra, il Santuario della Madonna delle Fontanelle, sulla strada che da Magione porta a Monte del Lago.
Il santuario fu eretto dai francescani nel 1508 per custodire un affresco della Madonna con Bambino, ma soprattutto per 'ingabbiare' una fonte dagli straordinari poteri taumaturgici.
Secondo Giovanni Riganelli [2], la lapide posta all'ingresso della chiesa ci racconterebbe l'anno di costruzione e l'identità dei suoi fedeli:
1508 F[ECIT] CO[MMUN]I[TAS] MO[NTIS COLONIOL]E .
La chiesa, vista dall'interno, sembra quasi un granaio.
Solo il soffitto a travi, scandito da archetti a tutto sesto, le conferisce una certa importanza.
L'affresco miracoloso, tardo gotico, è murato nella macchina d'altare.
Come dipinto, non ci sono dubbi: è la cosa più notevole che si trovi dentro la chiesa!
Ma la chicca vera si trova fuori della chiesa, o meglio sul retro...
Protetta, si fa per dire!, da una piccola cancellata, una porticina immette direttamente nella fonte, sormontata da una statuina della Madonna circondata da ex-voto.
In linea d'aria, siamo sotto l'altare.
I predicatori si avvidero di murare la fonte nella chiesa in modo che il culto delle sue acque coincidesse con quello che si celebrava sopra.
Da queste parti lo stregone di Assisi non mise piede.
Ma con una dèa potente come la Madonna, non se ne sente la mancanza!
Post sul culto mariano delle acque ---
Le acque uterine della Dèa: all'Eremo di Santa Maria Giacobbe.
Erylo, il mostro invincibile, e i sette martiri della Scarzuola.
Note al testo ---
[1] Ho raccolto il materiale agiografico con una fotografia della fonte in La Scarzuola. Un santuario dimenticato, Eleusi, Perugia 2011.
[2] Giovanni Riganelli, Religione e strutture religiose in area magionese dall’antichità ai primi secoli dell’età moderna: 1.2 La chiesa della Madonna delle Fontanelle e l'annesso convento francescano in Magione: venti secoli di storia, cultura, ritratti e spiritualità, Magione 2001, p. 162.
mercoledì 11 marzo 2015
Dal Tempio di Vulcano alla Cattedrale di San Lorenzo a Perugia.
Costruire un culto in 3 semplici passi.
Istruzioni per l'uso.
Quello che vedete qui sopra è l'emblema del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia.
Tutte le porte di proprietà del Capitolo ne hanno scolpito sopra uno simile.
Cosa rappresenta?
Risposta facile: la graticola su cui fu martirizzato san Lorenzo!
Beh, diciamo che non sempre le risposte facili sono anche le più esaustive.
Da dove viene fuori quello strumento di tortura?
Perché a Perugia divenne l'emblema della Cattedrale cittadina?
L'erudito francescano Felice Ciatti in un trattato del 1638 raccolse delle dicerie sulla storia di questo Tempio che per noi oggi sono preziosissime.
Delle memorie annali, et istoriche delle cose di Perugia raccolte dal molto R.P.M. Felice Ciatti perugino Francescano : p. 391.
« I Tempij sono antichissimi, massime quelli di S. Angelo, di S. Pietro, di S. Fiorenzo, di S. Lorenzo, di S. Giovanni Rotondo, di S. Ercolano & universalmente la maggior parte delle parrocchiali chiese, le quali già essere state Tempij di Dei profani stimo verissimo; ma quali Dei in particolare in quelle si adorassero non saprei ben dire; d'alcuni già si è parlato; e si disse che il principale consecrato a Vulcano Dio del fuoco fosse mutato a S. Lorenzo martirizzato nel fuoco [...] »
In realtà, il Ciatti metteva in bella forma un'informazione che già Cesare Crispolti (1563-1608) aveva raccolto nei suoi appunti [1] qualche decennio prima...
« Tempio di Vulcano. Il detto tempio era anticamente dove hoggi è la chiesa di S. Lorenzo... »
Su questo mitico Tempio di Vulcano, Crispolti s'era soffermato anche nella sua Perugia Augusta, sorta di guida alle antichità perugine in cui tratteggiava la parentela stretta tra San Lorenzo e il dio Vulcano...
« [...] in quel luogo, ove la cieca gentilità adorava Vulcano, Dio del fuoco, illuminata che fu dalla vera Fede, eresse un'honorato Tempio al Glorioso Martire Lorenzo abbrugiato dalle fiamme di un lento fuoco. »
Un vaso a figure rosse dello Staatliche Museen di Berlino ci mostra il dio Vulcano lavorare nella sua fucina con tutti gli attrezzi del mestiere, affiancato da un aiutante.
Questa raffigurazione era così familiare al mondo classico che non è difficile immaginare quanto agli evangelizzatori premesse di sostituirla...
La graticola di san Lorenzo è davvero ciò che resta degli attrezzi dell'officina del dio greco-romano Efesto-Vulcano?
Lo studio comparato delle Religioni è una disciplina molto creativa.
Nel mondo Romano le Volcanalia (le feste in onore di Vulcano) si celebravano il 23 agosto in occasione dei fuochi con cui si chiudeva nelle campagne la stagione del raccolto.
Questa data ce ne ricorda un'altra, la festa dei fuochi di San Lorenzo del 10 agosto.
Nel Medioevo si associava lo sciame meteorico delle stelle cadenti delle Perseidi ai tizzoni (le lacrime di San Lorenzo) su cui il mito cristiano voleva bruciato il martire Lorenzo (che erano, guarda caso!, gli stessi tizzoni della fucina del dio Vulcano).
Nel mondo Romano gli aruspici etruschi consigliavano sempre di tenere le celebrazioni in onore del dio Vulcano fuori città, essendo il suo un culto del fuoco distruttivo.
Com'è possibile che il tempio in cui si adorava il fuoco sacro di Vulcano si trovasse a Perugia in pieno centro?
Pollione nel De Architectura è molto chiaro:
Vulcano va onorato fuori dalle città, per evitare il rischio d'incendi.
« Anche gli aruspici etruschi affermano nei loro libri sacri che i templi di Venere, Vulcano e Marte devono essere posti fuori delle mura, onde evitare che i giovani e le madri di famiglia si abituino ai piaceri di Venere, e per preservare la città dal pericolo di eventuali incendi evocando la potenza di Vulcano con riti e sacrifici celebrati fuori dal tessuto urbano. » [2]
Talvolta però a prendere un mito alla lettera si va fuori strada.

Vulcano non è che l'evoluzione di un culto etrusco del fuoco più antico.
Un culto solare [forse c'era di mezzo il dio etrusco del fuoco Sethlans] dietro al quale si sono accodati il Vulcano romano, e poi il san Lorenzo cristiano.
Il culto del Sole si è conservato intatto nella toponomastica medievale, tanto è vero che dalla Cattedrale di San Lorenzo ha inizio il Rione di Porta Sole, come ci raccontano una lapide in piazza ed una famosa matricola del Collegio dei Notai...
Note al testo ---
[1] Si tratta della carta 45r del manoscritto 1256 della Biblioteca Augusta. Annotazioni a mano del Crispolti dal titolo: Descrizione e brevi note storiche di alcune chiese, edifici e monumenti di Perugia...
[2] Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, traduzione di Luciano Migotto. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1990.
lunedì 9 febbraio 2015
Una fattoria di pietra: la Cripta dell'abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria
Per secoli, la Chiesa guardò con terrore al ritorno dei culti naturali.
Parlare agli uccelli era un reato di stregoneria perseguito dai Vescovi, che agivano spesso contro indovini e preti di campagna.
Nel regno animale abitavano le deità ancestrali del vecchio Paganesimo: dialogare con gli animali era considerato diabolico.
E così, il Clero li accettò solo a scopo decorativo o simbolico: per abbellire la casa di Dio.
Come nella Cripta dell'Abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria...
Nella Cripta, 5 colonnine creano un gioco elaborato di piccole navate.
Camminandoci intorno si ha come la sensazione di aggirarsi in un cortile popolato da oche, lucertole e muli.
Tante volte si parla dell'immaginario medievale come di un mondo fantastico, gremito di bestioni straordinari.
L'uomo medievale, in realtà, era figlio della terra, e le sue suggestioni dipendevano più dal proprio orticello e dalle sue bestie da soma [sotto] che non da astruse congetture su draghi e fenici.
I capitelli che sormontano le colonne sono arte arbarica di reimpiego.
Ma la Cripta risale al 1100.
Ciò significa che i devoti a cui predicava san Francesco nel contado erano uomini e donne molto simili a quelli a cui era rivolto il bestiaro scolpito qui.
Possiamo farci un'idea sulla loro cultura - che aveva ben poco di spirituale! - partendo proprio da questi rilievi.
Certo, ci vuole (un po') d'immaginazione per scorgere in tutte le sculture disegni comprensibili.
Il bassorilievo sottostante, per esempio, mi ricorda tanto la sagoma di un lucertolone...
lunedì 19 gennaio 2015
San Francesco e il pugile di Firenze: a scuola di pugni prima di papa Bergoglio.
Come tutti sanno, San Francesco era un maestro di tolleranza.
Almeno fino a quando un frate non gli faceva perdere la pazienza.
Nel qual caso, a Firenze c'era un certo frate Giovanni delle Lodi, o de Laudibus, noto nelle Fonti come il "pugile di Firenze", che faceva tornare sulla retta via i delatori.
Tommaso da Celano, un testimone oculare, ci racconta che anche per Francesco una scarica di botte talvolta era salutare...
« Un giorno udì un frate che denigrava il buon nome di un altro e, rivoltosi al suo Vicario frate Pietro di Cattanio, proferì queste terribili parole: "Incombono gravi pericoli all'Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso se non si chiudono le bocche di questi fetidi.
Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore con un severo ed esemplare castigo!
Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo!"
Chiamava pugile fra Giovanni da Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza.
Voglio -diceva ancora- che con la massima diligenza abbia cura, tu e tutti i ministri, che non si diffonda maggiormente questo morbo pestifero. » [1]
Salimbene de Adam ricorda nella sua Cronica il profilo di questo pacifico frate fiorentino a cui Francesco (e poi il suo successore, frate Elia) affidava i fratelli da far 'rinsavire'...
« Del gruppo di frate Elia era poi un certo Giovanni, detto delle Lodi, frate laico, duro e violento, torturatore e spietato carnefice, che, su ordine di Elia, dava la disciplina ai frati senza misericordia... » (ff 2619)
La corporatura massiccia di Giovanni delle Lodi, perfetta per il suo ruolo di frate-picchiatore, era esaltata perfino nello Specchio di Perfezione, in cui si elencavano le doti del frate ideale..
« E diceva [Francesco, n.d.a.] che sarebbe un buon frate colui che riunisse in sé (...) la robustezza fisica e spirituale di frate Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini » (ff 1782)
Non essendo stata inventata la macchina del Tempo, è arduo stabilire chi sia più bravo a sferrare pugni:
fra Giovanni o papa Bergoglio?
Nota all'immagine ---
_La miniatura con il frate che da una martellataad un peccatore è tratta dalle Decretali Smithfield della British Library: folio 116r.
Nota al testo - - -
[1] Il brano di Tommaso da Celano è tratto dalla Vita Seconda, Capitolo CXXXVIII -ff 769.
---
Sulle misure punitive messe in atto da Francesco per governare i frati, vedi anche i seguenti post:
Il bello dei cadaveri: l'Obbedienza secondo San Francesco.
San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.
La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano...
La paura fa 90: lo 'stile' francescano...
"Guai a quei frati..." Punizioni francescane per tenere alta la disciplina.
Almeno fino a quando un frate non gli faceva perdere la pazienza.
Nel qual caso, a Firenze c'era un certo frate Giovanni delle Lodi, o de Laudibus, noto nelle Fonti come il "pugile di Firenze", che faceva tornare sulla retta via i delatori.
Tommaso da Celano, un testimone oculare, ci racconta che anche per Francesco una scarica di botte talvolta era salutare...
« Un giorno udì un frate che denigrava il buon nome di un altro e, rivoltosi al suo Vicario frate Pietro di Cattanio, proferì queste terribili parole: "Incombono gravi pericoli all'Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso se non si chiudono le bocche di questi fetidi.
Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore con un severo ed esemplare castigo!
Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo!"
Chiamava pugile fra Giovanni da Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza.
Voglio -diceva ancora- che con la massima diligenza abbia cura, tu e tutti i ministri, che non si diffonda maggiormente questo morbo pestifero. » [1]
Salimbene de Adam ricorda nella sua Cronica il profilo di questo pacifico frate fiorentino a cui Francesco (e poi il suo successore, frate Elia) affidava i fratelli da far 'rinsavire'...
« Del gruppo di frate Elia era poi un certo Giovanni, detto delle Lodi, frate laico, duro e violento, torturatore e spietato carnefice, che, su ordine di Elia, dava la disciplina ai frati senza misericordia... » (ff 2619)
La corporatura massiccia di Giovanni delle Lodi, perfetta per il suo ruolo di frate-picchiatore, era esaltata perfino nello Specchio di Perfezione, in cui si elencavano le doti del frate ideale..
« E diceva [Francesco, n.d.a.] che sarebbe un buon frate colui che riunisse in sé (...) la robustezza fisica e spirituale di frate Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini » (ff 1782)
Non essendo stata inventata la macchina del Tempo, è arduo stabilire chi sia più bravo a sferrare pugni:
fra Giovanni o papa Bergoglio?
Nota all'immagine ---
_La miniatura con il frate che da una martellataad un peccatore è tratta dalle Decretali Smithfield della British Library: folio 116r.
Nota al testo - - -
[1] Il brano di Tommaso da Celano è tratto dalla Vita Seconda, Capitolo CXXXVIII -ff 769.
---
Sulle misure punitive messe in atto da Francesco per governare i frati, vedi anche i seguenti post:
Il bello dei cadaveri: l'Obbedienza secondo San Francesco.
San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.
La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano...
La paura fa 90: lo 'stile' francescano...
"Guai a quei frati..." Punizioni francescane per tenere alta la disciplina.
martedì 9 dicembre 2014
Nel regno della Dèa:
dalle feste Hilaria alla Madonna Ilare
Talvolta anche il libretto che tratta la storia di un paesino sperduto nasconde dei riferimenti sorprendenti.
Vi ricordate l'Abbazia di San Silvestro?
A settembre avevamo parlato dei culti di fertilità connessi alle sue acque prodigiose.
I monaci di San Silvestro si spinsero ben oltre.
Leggiamo ciò che scrive Virgilio Sampalmieri a proposito di una chiesetta nascosta nella boscaglia alle pendici del monte Subasio: la chiesa della Madonna Ilare.
A sud di Collepino, fra gli uliveti, c'è un'antichissima chiesetta chiamata "Madonna Ilare", in dialetto "Madonna d'Illera". È una delle tante cappelline che i monaci di San Silvestro avevano fatto costruire per comodità di pastori, coloni, operai.
La prima notizia di questa chiesetta l'abbiamo nell'inventario di tutte le chiese ordinato da Mons. Mario Maffei nel 1773 in cui è segnata con il nome di S. Maria dell'Ilare.
[...]
In questa chiesa la gente di Collepino si recava in processione la sera di Pasqua, portando lo stendardo della Madonna ed il Crocefisso, cantando la seguente lauda:
Vergin celeste e pura
Che fosti preservata
E sempre immacolata
Ricordati di me.
Madonna Ilare: da dove viene questo strano epiteto?
Certo non dall'affresco che si trova all'interno del santuario [a fianco] né dalle edicole votive sparse nei dintorni [sotto].
Quello della Madonna, tutto è tranne che un sorriso a 32 denti!
E forse non è nemmeno un sorriso.
Sampalmieri nota:
Ufficialmente il nome della chiesina è "Madonna Ilare", in dialetto dell'Illera, Illora o Illula. Queste incertezze nella pronuncia ci fanno supporre che il nome derivi da un'antica festa pagana in onore della dea Hilaria, madre di tutti gli dei, che veniva celebrata nei boschi durante l'equinozio di primavera. Quando la Chiesa cristianizzò le varie feste pagane, la sostituì con la festa della Madonna madre di tutti i cristiani; il nome Hilaria potrebbe essersi trasformato in Ilare*.
Nell'antica Roma, secondo Macrobio**, le feste Hilaria si celebravano all'Equinozio di Primavera, il 25 marzo, in onore della dèa Cibele che a partire da quella data con l'allungarsi delle ore di luce consentiva la rinascita della Natura.
Da ciò viene il nome della festa, hilaris, cioè gioioso, come i suoi devoti che si preparavano con sette giorni di digiuno e astinenza ai festeggiamenti.
Come è noto, la Pasqua si calcola sul primo plenilunio successivo all'Equinozio di Primavera.
È troppo pensare che quelle processioni alla Madonna Ilare fossero una sopravvivenza delle antiche onoranze a Cibele?
Nel dubbio, Dio salvi i vecchi libretti come questo!
Note - - -
*Cfr. Virgilio Sampalmieri, Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni, Armenzano, Spello, 1988, pp. 31-34.
** " Quern diem Hilaria appellant, quo primum tempore sol diem longiore nocte protendit. " Cfr. Macrobio, Saturnali, Liber I, 21.
Vi ricordate l'Abbazia di San Silvestro?
A settembre avevamo parlato dei culti di fertilità connessi alle sue acque prodigiose.
I monaci di San Silvestro si spinsero ben oltre.
Leggiamo ciò che scrive Virgilio Sampalmieri a proposito di una chiesetta nascosta nella boscaglia alle pendici del monte Subasio: la chiesa della Madonna Ilare.
A sud di Collepino, fra gli uliveti, c'è un'antichissima chiesetta chiamata "Madonna Ilare", in dialetto "Madonna d'Illera". È una delle tante cappelline che i monaci di San Silvestro avevano fatto costruire per comodità di pastori, coloni, operai.
La prima notizia di questa chiesetta l'abbiamo nell'inventario di tutte le chiese ordinato da Mons. Mario Maffei nel 1773 in cui è segnata con il nome di S. Maria dell'Ilare.
[...]
In questa chiesa la gente di Collepino si recava in processione la sera di Pasqua, portando lo stendardo della Madonna ed il Crocefisso, cantando la seguente lauda:
Vergin celeste e pura
Che fosti preservata
E sempre immacolata
Ricordati di me.
Madonna Ilare: da dove viene questo strano epiteto?
Certo non dall'affresco che si trova all'interno del santuario [a fianco] né dalle edicole votive sparse nei dintorni [sotto].
Quello della Madonna, tutto è tranne che un sorriso a 32 denti!
E forse non è nemmeno un sorriso.
Sampalmieri nota:
Ufficialmente il nome della chiesina è "Madonna Ilare", in dialetto dell'Illera, Illora o Illula. Queste incertezze nella pronuncia ci fanno supporre che il nome derivi da un'antica festa pagana in onore della dea Hilaria, madre di tutti gli dei, che veniva celebrata nei boschi durante l'equinozio di primavera. Quando la Chiesa cristianizzò le varie feste pagane, la sostituì con la festa della Madonna madre di tutti i cristiani; il nome Hilaria potrebbe essersi trasformato in Ilare*.
Nell'antica Roma, secondo Macrobio**, le feste Hilaria si celebravano all'Equinozio di Primavera, il 25 marzo, in onore della dèa Cibele che a partire da quella data con l'allungarsi delle ore di luce consentiva la rinascita della Natura.
Da ciò viene il nome della festa, hilaris, cioè gioioso, come i suoi devoti che si preparavano con sette giorni di digiuno e astinenza ai festeggiamenti.
Come è noto, la Pasqua si calcola sul primo plenilunio successivo all'Equinozio di Primavera.
È troppo pensare che quelle processioni alla Madonna Ilare fossero una sopravvivenza delle antiche onoranze a Cibele?
Nel dubbio, Dio salvi i vecchi libretti come questo!
Note - - -
*Cfr. Virgilio Sampalmieri, Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni, Armenzano, Spello, 1988, pp. 31-34.
** " Quern diem Hilaria appellant, quo primum tempore sol diem longiore nocte protendit. " Cfr. Macrobio, Saturnali, Liber I, 21.
sabato 18 ottobre 2014
Da san Francesco a Cappuccetto Rosso: il culto apotropaico del Lupo
All'inizio del MedioEvo sull'Europa incombeva una minaccia: il lupo.
Con il crollo dell'Impero Romano le città si svuotarono, le strade caddero nell'incuria: la boscaglia prese il sopravvento.
Allontanarsi dal centro abitato era un pericolo, i lupi agitavano il sonno dei contadini così come quello dei mercanti. Nessuno si sentiva al riparo. Perfino i Vescovi organizzarono battute di caccia per sopprimerli.
« Carlo Magno dovette creare dei funzionari appositi per la caccia dei lupi, che vennero chiamati
[...]
Il pericolo esisteva, grave al punto che, trascorsi alcuni secoli dall'inizio del Medioevo, quando la pubblica amministrazione si organizzò in forma più rigida ed efficace, la caccia al lupo divenne compito dello stato che se ne sentiva investito. Gli stessi vescovi organizzavano grandi battute di caccia all'animale e ne facevano strage.
Il nome "Lupo" era dato con frequenza alle persone, uomini e donne; grande era il valore totemico e sacrale che il lupo rivestiva presso le popolazioni germaniche e di altre stirpi. Le danze sacre che scandivano l'inizio delle battaglie vedevano i guerrieri incappucciati con la testa del lupo, dell'orso e di altre bestie selvagge. I nomi più frequenti dei guerrieri erano: "Elmo di lupo", "Elmo d'orso". » [1]
Il bandito che Francesco d'Assisi convertì tra i dirupi della Verna era soprannominato Fra Lupo per la sua ferocia.
Ma lo stregone di Assisi s'imbatté anche in un lupo vero, e a Gubbio se ne conserva una traccia ai limiti dell'immaginazione.
Alla chiesetta di San Francesco della Pace si trova collocato a mo' di altare il masso su cui –udite, udite- Francesco ammansì il terribile lupo di Gubbio, come ci raccontano un affresco conservato a Pienza [sopra] ed un famoso brano dei Fioretti...
« Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado di Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere [...] »
Non appena il lupo si avventò sul nostro stregone, bastò a Francesco un segno di croce per trasformarlo in un docile cagnolino.
« Mirabile cosa a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. »
A quel punto lo stregone di Assisi si mise a parlare con il lupo e strappò alla bestia la promessa di non terrorizzare più nessuno.
« E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E santo Francesco sì dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare". E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. » [ff 1852]
Una volta morto il lupo, la sua carcassa fu oggetto di culto, tanto è vero che nell'Ottocento la si ritrovò coperta da un sarcofago, conservato oggi come una reliquia nella cripta della chiesetta...
In Cappuccetto Rosso, invece, è necessario l'abbattimento del lupo.
Pierre Saintyves sostiene che l'uccisione del lupo ad opera del cacciatore nel racconto non sia un escamotage letterario, ma il retaggio di precise cerimonie apotropaiche in cui ci si propiziava la caccia al Lupo.
Saintyves scrisse che l'antenato del lupo di Cappuccetto Rosso era nientemeno che Fenrir. [2]
Nella mitologia norrena il lupo Fenrir è un terribile dio che abita le paludi ed è dotato di un'intelligenza fuori dal comune, tanto da essere in grado di parlare.
Vi ricorda qualcosa?
"Nonna nonna, che occhi grandi che hai..."
"È per guardarti meglio, bambina mia."
Fenrir è così astuto e così forte che l'unico in grado di affrontarlo con coraggio è il dio della guerra Týr [sopra], brandendo il suo spadone.
Dall'agiografia alla fiaba: un mito per un altro mito.
➔ Sul travestimento magico in Lupo, per acquisirne i poteri ---
Trasformarsi in Lupo: un residuo di paganesimo da debellare.
◉ Un post sulle bestie capaci di comprendere la lingua umana:
Cacciatori: attenti allo Spirito del bosco.
◉ Un post sul Lupo guaritore nella devozione cristiana:
Animali Totem il culto apotropaico di san Lupo.
Nota all'immagine ---
_L'affresco, in apertura del post, con san Francesco che stringe un 'patto' sciamanico con il lupo è opera di Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, dalla chiesa di San Francesco a Pienza, fine del XIV secolo.
⮩ Cfr. Sara Mammana e Roggero Roggeri, Cristoforo di Bindoccio, Meo di Pero e il ciclo Francescano di Pienza. Rarità iconografiche e nuove scoperte, p. 27 in Centro Studi Pientini.
Note al testo ---
[1] Vito Fumagalli, L'alba del Medioevo, Il Mulino, Bologna 1993,
pp. 73 e 75.
[2] Paul (!) Saintyves, Cappuccetto Rosso, reginetta di maggio, in Cappuccetto Rosso: una fiaba vera, a cura di Stefano Calabrese e Daniela Feltracco, Meltemi, Roma 2008, pp. 60-61.
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