Talvolta anche il libretto che tratta la storia di un paesino sperduto nasconde dei riferimenti sorprendenti.
Vi ricordate l'Abbazia di San Silvestro?
A settembre avevamo parlato dei culti di fertilità connessi alle sue acque prodigiose.
I monaci di San Silvestro si spinsero ben oltre.
Leggiamo ciò che scrive Virgilio Sampalmieri a proposito di una chiesetta nascosta nella boscaglia alle pendici del monte Subasio: la chiesa della Madonna Ilare.
A sud di Collepino, fra gli uliveti, c'è un'antichissima chiesetta chiamata "Madonna Ilare", in dialetto "Madonna d'Illera". È una delle tante cappelline che i monaci di San Silvestro avevano fatto costruire per comodità di pastori, coloni, operai.
La prima notizia di questa chiesetta l'abbiamo nell'inventario di tutte le chiese ordinato da Mons. Mario Maffei nel 1773 in cui è segnata con il nome di S. Maria dell'Ilare.
[...]
In questa chiesa la gente di Collepino si recava in processione la sera di Pasqua, portando lo stendardo della Madonna ed il Crocefisso, cantando la seguente lauda:
Vergin celeste e pura
Che fosti preservata
E sempre immacolata
Ricordati di me.
Madonna Ilare: da dove viene questo strano epiteto?
Certo non dall'affresco che si trova all'interno del santuario [a fianco] né dalle edicole votive sparse nei dintorni [sotto].
Quello della Madonna, tutto è tranne che un sorriso a 32 denti!
E forse non è nemmeno un sorriso.
Sampalmieri nota:
Ufficialmente il nome della chiesina è "Madonna Ilare", in dialetto dell'Illera, Illora o Illula.
Queste incertezze nella pronuncia ci fanno supporre che il nome derivi da un'antica festa pagana in onore della dea Hilaria, madre di tutti gli dei, che veniva celebrata nei boschi durante l'equinozio di primavera. Quando la Chiesa cristianizzò le varie feste pagane, la sostituì con la festa della Madonna madre di tutti i cristiani; il nome Hilaria potrebbe essersi trasformato in Ilare*.
Nell'antica Roma, secondo Macrobio**, le feste Hilaria si celebravano all'Equinozio di Primavera, il 25 marzo, in onore della dèa Cibele che a partire da quella data con l'allungarsi delle ore di luce consentiva la rinascita della Natura.
Da ciò viene il nome della festa, hilaris, cioè gioioso, come i suoi devoti che si preparavano con sette giorni di digiuno e astinenza ai festeggiamenti.
Come è noto, la Pasqua si calcola sul primo plenilunio successivo all'Equinozio di Primavera.
È troppo pensare che quelle processioni alla Madonna Ilare fossero una sopravvivenza delle antiche onoranze a Cibele?
Nel dubbio, Dio salvi i vecchi libretti come questo!
Note - - -
*Cfr. Virgilio Sampalmieri, Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni, Armenzano, Spello, 1988, pp. 31-34.
** " Quern diem Hilaria appellant, quo primum tempore sol diem longiore nocte protendit. " Cfr. Macrobio, Saturnali, Liber I, 21.
martedì 9 dicembre 2014
sabato 18 ottobre 2014
Da san Francesco a Cappuccetto Rosso: il culto apotropaico del Lupo
All'inizio del MedioEvo sull'Europa incombeva una minaccia: il lupo.
Con il crollo dell'Impero Romano le città si svuotarono, le strade caddero nell'incuria: la boscaglia prese il sopravvento.
Allontanarsi dal centro abitato era un pericolo, i lupi agitavano il sonno dei contadini così come quello dei mercanti. Nessuno si sentiva al riparo. Perfino i Vescovi organizzarono battute di caccia per sopprimerli.
« Carlo Magno dovette creare dei funzionari appositi per la caccia dei lupi, che vennero chiamati
[...]
Il pericolo esisteva, grave al punto che, trascorsi alcuni secoli dall'inizio del Medioevo, quando la pubblica amministrazione si organizzò in forma più rigida ed efficace, la caccia al lupo divenne compito dello stato che se ne sentiva investito. Gli stessi vescovi organizzavano grandi battute di caccia all'animale e ne facevano strage.
Il nome "Lupo" era dato con frequenza alle persone, uomini e donne; grande era il valore totemico e sacrale che il lupo rivestiva presso le popolazioni germaniche e di altre stirpi. Le danze sacre che scandivano l'inizio delle battaglie vedevano i guerrieri incappucciati con la testa del lupo, dell'orso e di altre bestie selvagge. I nomi più frequenti dei guerrieri erano: "Elmo di lupo", "Elmo d'orso". » [1]
Il bandito che Francesco d'Assisi convertì tra i dirupi della Verna era soprannominato Fra Lupo per la sua ferocia.
Ma lo stregone di Assisi s'imbatté anche in un lupo vero, e a Gubbio se ne conserva una traccia ai limiti dell'immaginazione.
Alla chiesetta di San Francesco della Pace si trova collocato a mo' di altare il masso su cui –udite, udite- Francesco ammansì il terribile lupo di Gubbio, come ci raccontano un affresco conservato a Pienza [sopra] ed un famoso brano dei Fioretti...
« Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado di Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere [...] »
Non appena il lupo si avventò sul nostro stregone, bastò a Francesco un segno di croce per trasformarlo in un docile cagnolino.
« Mirabile cosa a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. »
A quel punto lo stregone di Assisi si mise a parlare con il lupo e strappò alla bestia la promessa di non terrorizzare più nessuno.
« E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E santo Francesco sì dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare". E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. » [ff 1852]
Una volta morto il lupo, la sua carcassa fu oggetto di culto, tanto è vero che nell'Ottocento la si ritrovò coperta da un sarcofago, conservato oggi come una reliquia nella cripta della chiesetta...
In Cappuccetto Rosso, invece, è necessario l'abbattimento del lupo.
Pierre Saintyves sostiene che l'uccisione del lupo ad opera del cacciatore nel racconto non sia un escamotage letterario, ma il retaggio di precise cerimonie apotropaiche in cui ci si propiziava la caccia al Lupo.
Saintyves scrisse che l'antenato del lupo di Cappuccetto Rosso era nientemeno che Fenrir. [2]
Nella mitologia norrena il lupo Fenrir è un terribile dio che abita le paludi ed è dotato di un'intelligenza fuori dal comune, tanto da essere in grado di parlare.
Vi ricorda qualcosa?
"Nonna nonna, che occhi grandi che hai..."
"È per guardarti meglio, bambina mia."
Fenrir è così astuto e così forte che l'unico in grado di affrontarlo con coraggio è il dio della guerra Týr [sopra], brandendo il suo spadone.
Dall'agiografia alla fiaba: un mito per un altro mito.
➔ Sul travestimento magico in Lupo, per acquisirne i poteri ---
Trasformarsi in Lupo: un residuo di paganesimo da debellare.
◉ Un post sulle bestie capaci di comprendere la lingua umana:
Cacciatori: attenti allo Spirito del bosco.
◉ Un post sul Lupo guaritore nella devozione cristiana:
Animali Totem il culto apotropaico di san Lupo.
Nota all'immagine ---
_L'affresco, in apertura del post, con san Francesco che stringe un 'patto' sciamanico con il lupo è opera di Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, dalla chiesa di San Francesco a Pienza, fine del XIV secolo.
⮩ Cfr. Sara Mammana e Roggero Roggeri, Cristoforo di Bindoccio, Meo di Pero e il ciclo Francescano di Pienza. Rarità iconografiche e nuove scoperte, p. 27 in Centro Studi Pientini.
Note al testo ---
[1] Vito Fumagalli, L'alba del Medioevo, Il Mulino, Bologna 1993,
pp. 73 e 75.
[2] Paul (!) Saintyves, Cappuccetto Rosso, reginetta di maggio, in Cappuccetto Rosso: una fiaba vera, a cura di Stefano Calabrese e Daniela Feltracco, Meltemi, Roma 2008, pp. 60-61.
mercoledì 3 settembre 2014
Le portentose acque dell'abbazia di San Silvestro sul monte Subasio
Francesco d'Assisi deve (quasi) tutto ai monaci.
Gli oscuri riti della fertilità che portò in giro per le campagne, si praticavano già da secoli all'ombra dei monasteri.
Facciamo un salto all'antica abbazia di San Silvestro sul monte Subasio.
L'abbazia emerge dalla boscaglia tra i tornanti che dal paese di Collepino raggiungono la vetta.
A dire il vero, dell'abbazia non è rimasto molto, eccetto la chiesetta ed una (preziosissima) fonte.
Ma nel MedioEvo questo piccolo baluardo faceva gola: i monaci di San Silvestro controllavano solo a Spello qualcosa come 92 appezzamenti di terra.
Piatto ricco, al punto che Papa Alessandro III nel 1178 con la Bolla Religiosam vitam mise l'abbazia sotto la Sua tutela.
Finché i monaci non caddero in disgrazia, e tutto quel ben di Dio finì nel mirino delle loro dirimpettaie e rivali, le monache del monastero di Vallegloria.
Nell'agosto del 1236 papa Gregorio IX decise che era giunto il momento di porre fine allo strapotere di San Silvestro e diede ordine al vescovo di Spoleto di sopprimerla.
Seguirono poi devastazioni e rovina: dell'imponente monastero non rimase che un mucchietto di pietre...
Eppure la chiesa continuò ad essere mèta di numerosi pellegrinaggi.
In una visita pastorale del Vescovo di Foligno ai primi del '900, Felice Benedetti raccontava:
« [...] non vi sono santuari, ma dalla continua affluenza dei fedeli che accorrono o mandano a s. Silvestro può dirsi impropriamente santuario.
Vi accorrono i mammiferi, sì animali ragionevoli che irragionevoli, quando sono privi di latte vengono o mandano e bevendo di quell'acqua gli ritorna il latte. »
Stesso tono in un'altra fonte più antica, risalente ad una visita del 7 giugno 1868.
« Quello che lo rende anche più importante è la divozione che riscuote specialmente dalle donne che senza interruzione vi traggono da ogni parte per ottenere a intercessione del santo continue grazie bevendo l'acqua denonimata di s. Silvestro. »
Ma i poteri di San Silvestro non si limitavano a questo!
Scendendo nella cripta si distinguono nell'oscurità tre colonne: avanzo di qualche tempio romano di cui si è persa la memoria.
La colonna centrale ha il capitello corroso dalle mani dei fedeli, che per secoli lo toccarono con la speranza di guarire dal male delle ossa!
I monaci dell'abbazia sapevano bene che le loro fortune dipendevano dai poteri taumaturgici del santuario.
Lo sapevano così bene che fecero dipingere una grande
Madonna con Bambino sull'abside per rassicurare le migliori clienti di Silvestro: le puerpere a cui mai doveva mancare il latte!
Note al testo ---
Le notizie storiche inerenti all'abbazia sono riprese da due testi:
_ Guida di Spello, a cura di Venanzo Peppoloni e Corrado Fratini, 1978, p. 117.
_ Notizie sui castelli di Collepino, S. Giovanni , Armenzano, Virgilio Sampalmieri, Spello, settembre 1988, pp. 36-37.
I testi sulle visite pastorali invece sono ripresi da:
Mario Sensi, Visite pastorali nella diocesi di Foligno, Macerata 1991, pp. 177 e 235.
lunedì 4 agosto 2014
Lo darò al diavoletto / Che lo tiene un mesetto: cantilene stregate.
« Chi fa la spia
non è fijo de Maria,
non è fijo de Gesù;
quanno more va laggiù:
va laggiù da quel buchetto
dove c'è il diavoletto. »
Di questa canzoncina raccolta nel contado di Assisi, esistono decine di versioni in tutto lo stivale.
Spaventare i bambini con lo spauracchio del diavolo è stata per secoli la pratica educativa più diffusa.
Il ricorso al demonio non era tanto un antidoto escogitato dalle madri per garantirsi la tranquillità domestica, ma nascondeva dei veri scongiuri apotropaici.
Scongiuri di cui abbonda perfino la storia dell'Arte.
Diamo uno sguardo ad un gonfalone processionale dipinto a metà del '400 da Benedetto Bonfigli...
Nel dettaglio, il popolo orante segue con tanto di trombettieri una cerimonia officiata dal vescovo: la benedizione dei ceri votivi.
Un bambino dispettoso sbuca sotto la tunica di una suora, e tenta di rubacchiare un cero.
Niente di più grave!
Il pittore dipinge sulla sua tunica un diavoletto nero con un ammonimento severissimo: serva da lezione a tutti i bambini che, come lui, seguiranno la processione dietro al gonfalone:
Ma un'iconografia, più di tutte le altre, funzionava da ammonimento per i bambini impenitenti e per tutte quelle madri che aspettavano troppo a battezzarli: la Madonna del Soccorso.
Questo dipinto, realizzato da Domenico di Zanobi e custodito alla Basilica di Santo Spirito a Firenze, ci mostra una Madonna che più castigatrice non si può: prende a randellate un diavolo sotto gli occhi atterriti del bambino in pericolo.
La madre, supplice, invoca la clemenza della Vergine affinché allontani l'orrido diavoletto dal figlio indifeso...
Per secoli si credette nell'Italia contadina che i bambini non battezzati venissero rapiti dalle streghe, che poi li portavano ai loro sabba notturni per darli in pasto ai demoni.
Non parliamo poi delle leggende diffuse nel profondo nord tedesco!
Nella mitologia germanica si credeva nel Zodawascherl, un bambino vestito di stracci, morto prematuramente senza battesimo, che seguiva il corteo notturno guidato dall'anziana dèa Percht. [1]
Questo bambino straccione era l'unico a cui non spettasse mai un pasto quando i contadini all'Epifania apparecchiavano le loro tavole per sfamare Percht ed il suo corteo demoniaco.
Se non ne avete abbastanza di canzoncine stregate, la storia continua con altre immagini nel libro:
Tre civette sul comò: storia di un maleficio.
◉ Sulle streghe responsabili degli infanticidi, vedi:
Le streghe e gli aborti: il Noce che rende libere.
Note alle immagini ---
_In apertura, una miniatura del monaco inglese Matthew Paris, con un bambino ghermito dal diavolo.
Il disegno è tratto dal manoscritto MS 016, folio 65v.
L'Opera contiene la Chronica maiora II, ed è conservata nella Parker Library al Corpus Christi College di Cambridge: il manoscritto si può sfogliare, integralmente, nel sito inglese della biblioteca.
_Il gonfalone del Bonfigli si trova ampiamnte citato nel catalogo:
Un pittore e la sua città: Benedetto Bonfigli e Perugia, Electa, Milano 1996, p. 152.
Nota al testo ---
[1] « Zodawascherl/Honawascherl: Nome del tredicesimo bambino della corte notturna di Percht.
È un bambino morto senza battesimo, che si trascina nel corteo portandosi una brocca piena di lacrime.
Quando, la notte dell'Epifania, i bambini apparecchiano una tavola per Percht e il suo gruppo, vi sono solo dodici posti, sì che quando arriva lo Zodawascherl non gli rimane più nulla.
Il nome è formato dai termini dialettaliche significano "stracci" e "trascinarsi" o "restar dietro"; lo si può quindi tradurre "Lo straccione che resta dietro". »
Cfr. Claude Lecouteux, Dizionario di mitologia germanica, Argo, Lecce 2007, p. 271.
martedì 15 luglio 2014
Le scale di Dio: la scena del potere al tempo
di san Francesco.
Ai giorni nostri, la propaganda passa quasi tutta dal tubo catodico e l'architettura non fa (quasi) più paura.
Tutto il contrario era nel '200!
La Chiesa dei teocrati impose un'architettura verticista in cui i ministri di Dio, i sacerdoti che officiavano messa, erano sopraelevati e irraggiungibili, non solo per la plebe.
Alle famiglie che potevano permettersi la proprietà di una panca era concesso sì di assistere al rito eucaristico nelle prime file, ma dal basso (!). Ai piedi della piramide.
San Francesco, il predicatore laico che si sporcava le mani coi lebbrosi e animava riti scabrosi in odore di paganesimo nel contado, con la sua rivoluzione 'sordida' poté ben poco contro lo strapotere della casta sacerdotale.
Per farsene un'idea è il caso di dare una letta al Testamento del Poverello, che la Curia si preoccupò di divulgare subito dopo la sua morte.
« Poi il Signore mi dette e mi da una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. » (ff 112-113)
Quanti sospetti vengono leggendo queste righe!
Perché Francesco, o chiunque abbia redatto il testo, si preoccupò con tante sottolineature di ribadire che mai e poi mai sarebbe venuta meno la sottomissione ai suoi signori, i sacerdoti?
Perché mai scrivere che sarebbe rimasto sottomesso ai sacerdoti, anche in caso di persecuzioni subite?
Viene (un po') il dubbio che la condotta del santo nei confronti dei sacerdoti non sia stata sempre inappuntabile.
Niente male l'abside sopraelevata dell'abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria o la scalinata che svetta nella deliziosa chiesetta di San Michele Arcangelo e a San Silvestro [vedi sopra].
Un altro esempio notevole del potere detenuto dalla casta sacerdotale si trova all'abbazia di San Bartolomeo a Camporeggiano (vicino Gubbio).
Nostalgia della Chiesa dei teocrati?
Nota bibliografica ---
Ho trovato un solo libricino che tratti specificamente, e per una manciata di pagine, delle due chiese di Bevagna:
Giovanna Mencarelli, Le chiese di San Michele e San Silvestro di Bevagna, Edizioni dell'Ente Rocca di Spoleto, 1980.
Di seguito, la copertina del volume da me consultato presso la francescana Biblioteca Oasis di Perugia...
venerdì 20 giugno 2014
San Francesco a Perugia: una storia violenta.
Gli stereotipi fanno male, specie quando sono le fonti oculari a smentirli.
Francesco d'Assisi era un serafico pacificatore?
A leggere un agiografo che visse i fatti storici, come Tommaso da Celano, viene qualche dubbio.
Il Celano ci racconta un episodio che sembrerebbe un vero scheletro nell'armadio nella vita del Poverello.
Almeno per noi, che siamo abituati all'icona melensa del santino e a non fare più i conti con un uomo politico in carne ed ossa, un uomo iroso e vendicativo.
Siamo tra il 1214 ed il 1217, quando frate Francesco decise che era giunto il momento di 'vendicare' la prigionia subita diversi anni prima come soldato per mano degli odiosi cavalieri perugini.
« Alcuni giorni dopo il padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con voce di pianto: "I perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini [n.d.a. la guerra tra Perugia e Assisi] e il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada".
Attese alcuni giorni, poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia.
[...]
Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno. E poiché i cavalieri impedivano l'ascolto della parola di Dio, giostrando secondo l'uso ed esibendosi in spettacoli d'arme, il santo, molto addolorato, li apostrofò: "O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello.
[...] Ebbene, vi dico: non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete istruiti dallo sdegno giacché nulla avete imparato dalla benevolenza". »
Nel passo citato, è interessante notare come l'agiografo prima racconti che il gesto di Francesco fu premeditato ["si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in mano la spada"], poi attribuisca la predica velenosa del Poverello alla cialtroneria dei cavalieri perugini che gli giostravano intorno.
Il racconto così si conclude...
« Poco tempo dopo scoppia la contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali l'atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati. »
Nota al testo ---
➔ Il passo citato è tratto dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano -ff 622.
sabato 7 giugno 2014
Tre diaboliche civette ad UmbriaLibri...
L'immagine qui sopra è un'incisione dei primi dell'800 raffigurante la medievale Porta Trasimena di Perugia.
Perché c'interessa tanto?
C'è qualcosa che si lega a questa porta e che va ben oltre la cartolina turistica.
A Porta Trasimena, ancora nei primi decenni del '900, si appiccavano di notte i roghi dei cuscini affatturati. Bruciare le piume dei cuscini infatti, per un'antica tradizione della stregoneria contadina, era come bruciare il malocchio che le piume portavano con sé.
La superstizione risaliva al medioevo e ancora più addietro, al mondo romano: si credeva che i crocicchi delle strade fossero dei luoghi infausti in cui evocare il demonio o Ecate dalle tre teste, la dèa a cui un tempo erano associate le streghe. Con la cristianizzazione, molti crocicchi posti sotto la protezione della dèa Ecate furono consacrati alla Vergine, con l'erezione di edicole votive di cui a Perugia è rimasto un ottimo esempio appena fuori Porta Eburnea [sotto].
Gli antichi credevano che le streghe confezionassero i loro malefici legandoli alle piume degli uccelli; in latino l'analogia fonetica tra le piume (pennae) e le pene (poenae) era ricorrente e tale rimase nelle tradizioni della vecchia stregoneria italiana.
Cosa c'entra tutto questo discorso fumoso con la filastrocca delle Tre civette sul comò?
Se volete saperlo, vi aspetto a Perugia venerdì 13 alle ore 18:00 presso la Sala della Giunta a Palazzo della Provincia in piazza Italia!
Che giorno poteva essere meglio di un venerdì 13 per parlare di stregoneria e malefici?!
Iscriviti a:
Post (Atom)