martedì 28 aprile 2009
Le sacerdotesse di San Fortunato: i misteri delle grotte di Montefalco.
Finora abbiamo parlato a fondo della stregoneria francescana e di come il poverello riuscì a volgere a suo favore gli antichi culti della terra per accelerare le conversioni nei pagi. Ma siamo sicuri che nella storia locale il maghetto di Assisi sia stato solo una meteora senza insigni predecessori?
Perdiamo di vista le lancette dell’orologio, dimentichiamoci la cronologia e tuffiamoci nelle tradizioni più ancestrali del folklore umbro.
Non serve nemmeno spostarsi troppo da Assisi; appena una trentina di chilometri e siamo già sul set di un altro intrigo. Appena una decina di chilometri e siamo già a Montefalco.
Qui nel Settecento accadde qualcosa di molto grave agli occhi del Clero; tanto grave da indurre i frati della Porziuncola che controllavano i conventi della zona, a emettere un decreto dove si prendevano misure severissime contro un fenomeno le cui origini già allora si perdevano nella notte dei tempi. Le processioni notturne alle grotte di San Fortunato.
Di che si tratta esattamente? Leggiamo con attenzione il testo del Decretum così come ci è stato tramandato nella Cronaca della Provincia Serafica di San Francesco.
« Dai nostri religiosi di S. Fortunato di Montefalco erasi, a quanto pare, introdotto l’uso, o meglio dir l’abuso, nel dì 1° di giugno, festa di S. Fortunato, di andare processionalmente coll’intervento anche di donne alla Grotta esistente entro la selva clausurata del convento, che vuolsi santificata dai santi Fortunato e Severo protettori di Montefalco, ove in questa congiuntura vi si celebrava anche la S. Messa in un altare ivi eretto. Essendo pervenuto ciò a notizia dei padri del definitorio e considerando esser tutto ciò indecente, poiché non essendo detto luogo santuario; non solo non è necessario, né utile, né tampoco onesto, né decoroso il privare di messe la chiesa conventuale per celebrarle ivi nella nicchia, e molto meno lecito introdurvi donne: epperò non dovendosi permettere né tollerare, e per ovviare anco al pericolo di qualche inconveniente, che coll’andare del tempo potesse accadere; con decreto del 10 maggio [1725, n.d.a.] hanno risoluto di proibire siccome in virtù del presente gravemente proibiscono al p. guardiano pro tempore, ed a tutti i sacerdoti del predetto convento di celebrare, o permettere che in avvenire si celebri in detta Grotta, sotto pene arbitrarie, e l’introdurvi donne sotto pena di violata clausura; ordinando altresì al p. guardiano di levare da quell’altare la pietra sagrata. »
Per qualche attimo rimaniamo sgomenti.
Solo di una cosa siamo sicuri: le processioni di uomini e donne a cui allude il documento, venivano illecitamente incentivate dai frati del convento di San Fortunato malgrado le grotte non fossero un santuario.
Di più; il fatto che un corteo femminile si snodasse ogni primo del mese di giugno per la selva sottostante il convento, violando di fatto la clausura conventuale, ci fa intuire quanto le luminarie fossero invise alla Curia. Ma perché si tenevano? E chi era questo San Fortunato a cui furono consacrate?
Dando una rapida scorsa ai documenti e andando a ritroso nel tempo ci accorgiamo che oltre al famoso Decretum dei frati c’è il vuoto. A eccezione di una testimonianza rilasciata nel 1318 da un frate, un certo Francesco di Damiano, che fu chiamato a testimoniare al processo di canonizzazione della sorella Chiara da Montefalco, per la cronaca oggi santa.
Francesco, sentito come teste numero 45, dichiarò che in gioventù la sorella lo aveva spronato ad andare a fare penitenza e a pregare in alcune grotte solitarie vicino al paese…
« Adhuc diebus dominicis et festivis instruebat eum quod yret ad groctas seu testudines solitarias, et ad deserta loca cum duobus aliis predicatis ab ea, ab orationes faciendum (…) »
« Inoltre nei giorni di domenica e delle altre feste ella gli consigliava di recarsi in una certa grotta solitaria e in luogo deserto, con due altri compagni indicati da lei, a farvi orazione (…) »
Che quelle grotte fossero proprio le famose grotte a cui alludeva il Decretum, consacrate secondo la leggenda dai santi Fortunato e Severo, non ci sono grossi dubbi, anche tra gli studiosi più blasonati.
Ma ancora non siamo venuti a capo di nulla!
Soprattutto, non abbiamo risposto alla domanda iniziale: cosa mai c’entrava San Fortunato con queste grotte?
Le aveva davvero consacrate lui, ci aveva compiuto qualche miracolo degno di cotanto nome oppure le aveva semplicemente abitate?
Pare proprio di no. La diceria contenuta nel Decretum, che associava le grotte al culto del santo patrono di Montefalco, sembra niente altro che una leggenda, almeno a giudicare dall’unica agiografia estesa rimasta in nostro possesso, la Vita Sancti Fortunati confessoris. Il manoscritto emerge da uno scaffale dell’Archivio del Duomo di Spoleto – città da cui dipendeva proprio Montefalco ai tempi di Fortunato –.
Cosa si legge nel Lezionario del Duomo?
Naturalmente i soliti aneddoti del repertorio agiografico, edificanti e saporosi, tipo la storiella dell’angelo travestito da mendicante o quella della colomba bianca che usa la zucca del santo come fosse una banderuola.
Ma c’è anche dell’altro: due dettagli in particolare.
Il post continua a questo indirizzo, con tante immagini e la bibliografia...
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