mercoledì 11 marzo 2015

Dal Tempio di Vulcano alla Cattedrale di San Lorenzo a Perugia.
Costruire un culto in 3 semplici passi.
Istruzioni per l'uso.



Quello che vedete qui sopra è l'emblema del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia.

Tutte le porte di proprietà del Capitolo ne hanno scolpito sopra uno simile.

Cosa rappresenta?
Risposta facile: la graticola su cui fu martirizzato san Lorenzo!

Beh, diciamo che non sempre le risposte facili sono anche le più esaustive.

Da dove viene fuori quello strumento di tortura?
Perché a Perugia divenne l'emblema della Cattedrale cittadina?

L'erudito francescano Felice Ciatti in un trattato del 1638 raccolse delle dicerie sulla storia di questo Tempio che per noi oggi sono preziosissime.

Delle memorie annali, et istoriche delle cose di Perugia raccolte dal molto R.P.M. Felice Ciatti perugino Francescano : p. 391.


« I Tempij sono antichissimi, massime quelli di S. Angelo, di S. Pietro, di S. Fiorenzo, di S. Lorenzo, di S. Giovanni Rotondo, di S. Ercolano & universalmente la maggior parte delle parrocchiali chiese, le quali già essere state Tempij di Dei profani stimo verissimo; ma quali Dei in particolare in quelle si adorassero non saprei ben dire; d'alcuni già si è parlato; e si disse che il principale consecrato a Vulcano Dio del fuoco fosse mutato a S. Lorenzo martirizzato nel fuoco [...] »

In realtà, il Ciatti metteva in bella forma un'informazione che già Cesare Crispolti (1563-1608) aveva raccolto nei suoi appunti [1] qualche decennio prima...


« Tempio di Vulcano. Il detto tempio era anticamente dove hoggi è la chiesa di S. Lorenzo... »

Su questo mitico Tempio di Vulcano, Crispolti s'era soffermato anche nella sua Perugia Augusta, sorta di guida alle antichità perugine in cui tratteggiava la parentela stretta tra San Lorenzo e il dio Vulcano...

« [...] in quel luogo, ove la cieca gentilità adorava Vulcano, Dio del fuoco, illuminata che fu dalla vera Fede, eresse un'honorato Tempio al Glorioso Martire Lorenzo abbrugiato dalle fiamme di un lento fuoco. »


Un vaso a figure rosse dello Staatliche Museen di Berlino ci mostra il dio Vulcano lavorare nella sua fucina con tutti gli attrezzi del mestiere, affiancato da un aiutante.

Questa raffigurazione era così familiare al mondo classico che non è difficile immaginare quanto agli evangelizzatori premesse di sostituirla...


La graticola di san Lorenzo è davvero ciò che resta degli attrezzi dell'officina del dio greco-romano Efesto-Vulcano?

Lo studio comparato delle Religioni è una disciplina molto creativa.

Nel mondo Romano le Volcanalia (le feste in onore di Vulcano) si celebravano il 23 agosto in occasione dei fuochi con cui si chiudeva nelle campagne la stagione del raccolto.

Questa data ce ne ricorda un'altra, la festa dei fuochi di San Lorenzo del 10 agosto.
Nel Medioevo si associava lo sciame meteorico delle stelle cadenti delle Perseidi ai tizzoni (le lacrime di San Lorenzo) su cui il mito cristiano voleva bruciato il martire Lorenzo (che erano, guarda caso!, gli stessi tizzoni della fucina del dio Vulcano).

Nel mondo Romano gli aruspici etruschi consigliavano sempre di tenere le celebrazioni in onore del dio Vulcano fuori città, essendo il suo un culto del fuoco distruttivo.

Com'è possibile che il tempio in cui si adorava il fuoco sacro di Vulcano si trovasse a Perugia in pieno centro?

Pollione nel De Architectura è molto chiaro:
Vulcano va onorato fuori dalle città, per evitare il rischio d'incendi.

« Anche gli aruspici etruschi affermano nei loro libri sacri che i templi di Venere, Vulcano e Marte devono essere posti fuori delle mura, onde evitare che i giovani e le madri di famiglia si abituino ai piaceri di Venere, e per preservare la città dal pericolo di eventuali incendi evocando la potenza di Vulcano con riti e sacrifici celebrati fuori dal tessuto urbano. » [2]

Talvolta però a prendere un mito alla lettera si va fuori strada.



Vulcano non è che l'evoluzione di un culto etrusco del fuoco più antico.
Un culto solare [forse c'era di mezzo il dio etrusco del fuoco Sethlans] dietro al quale si sono accodati il Vulcano romano, e poi il san Lorenzo cristiano.

Il culto del Sole si è conservato intatto nella toponomastica medievale, tanto è vero che dalla Cattedrale di San Lorenzo ha inizio il Rione di Porta Sole, come ci raccontano una lapide in piazza ed una famosa matricola del Collegio dei Notai...



Note al testo ---

[1] Si tratta della carta 45r del manoscritto 1256 della Biblioteca Augusta. Annotazioni a mano del Crispolti dal titolo: Descrizione e brevi note storiche di alcune chiese, edifici e monumenti di Perugia...

[2] Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, traduzione di Luciano Migotto. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1990.

lunedì 9 febbraio 2015

Una fattoria di pietra: la Cripta dell'abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria


Per secoli, la Chiesa guardò con terrore al ritorno dei culti naturali.

Parlare agli uccelli era un reato di stregoneria perseguito dai Vescovi, che agivano spesso contro indovini e preti di campagna.

Nel regno animale abitavano le deità ancestrali del vecchio Paganesimo: dialogare con gli animali era considerato diabolico.

E così, il Clero li accettò solo a scopo decorativo o simbolico: per abbellire la casa di Dio.
Come nella Cripta dell'Abbazia di San Felice a Giano dell'Umbria...


Nella Cripta, 5 colonnine creano un gioco elaborato di piccole navate.
Camminandoci intorno si ha come la sensazione di aggirarsi in un cortile popolato da oche, lucertole e muli.


Tante volte si parla dell'immaginario medievale come di un mondo fantastico, gremito di bestioni straordinari.

L'uomo medievale, in realtà, era figlio della terra, e le sue suggestioni dipendevano più dal proprio orticello e dalle sue bestie da soma [sotto] che non da astruse congetture su draghi e fenici.

I capitelli che sormontano le colonne sono arte arbarica di reimpiego.

Ma la Cripta risale al 1100.
Ciò significa che i devoti a cui predicava san Francesco nel contado erano uomini e donne molto simili a quelli a cui era rivolto il bestiaro scolpito qui.

Possiamo farci un'idea sulla loro cultura - che aveva ben poco di spirituale! - partendo proprio da questi rilievi.

Certo, ci vuole (un po') d'immaginazione per scorgere in tutte le sculture disegni comprensibili.

Il bassorilievo sottostante, per esempio, mi ricorda tanto la sagoma di un lucertolone...


lunedì 19 gennaio 2015

San Francesco e il pugile di Firenze: a scuola di pugni prima di papa Bergoglio.

Come tutti sanno, San Francesco era un maestro di tolleranza.

Almeno fino a quando un frate non gli faceva perdere la pazienza.
Nel qual caso, a Firenze c'era un certo frate Giovanni delle Lodi, o de Laudibus, noto nelle Fonti come il "pugile di Firenze", che faceva tornare sulla retta via i delatori.

Tommaso da Celano, un testimone oculare, ci racconta che anche per Francesco una scarica di botte talvolta era salutare...

« Un giorno udì un frate che denigrava il buon nome di un altro e, rivoltosi al suo Vicario frate Pietro di Cattanio, proferì queste terribili parole: "Incombono gravi pericoli all'Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso se non si chiudono le bocche di questi fetidi.

Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore con un severo ed esemplare castigo!

Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo!"


Chiamava pugile fra Giovanni da Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza.

Voglio -diceva ancora- che con la massima diligenza abbia cura, tu e tutti i ministri, che non si diffonda maggiormente questo morbo pestifero. » [1]

Salimbene de Adam ricorda nella sua Cronica il profilo di questo pacifico frate fiorentino a cui Francesco (e poi il suo successore, frate Elia) affidava i fratelli da far 'rinsavire'...

« Del gruppo di frate Elia era poi un certo Giovanni, detto delle Lodi, frate laico, duro e violento, torturatore e spietato carnefice, che, su ordine di Elia, dava la disciplina ai frati senza misericordia... » (ff 2619)

La corporatura massiccia di Giovanni delle Lodi, perfetta per il suo ruolo di frate-picchiatore, era esaltata perfino nello Specchio di Perfezione, in cui si elencavano le doti del frate ideale..

« E diceva [Francesco, n.d.a.] che sarebbe un buon frate colui che riunisse in sé (...) la robustezza fisica e spirituale di frate Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini » (ff 1782)

Non essendo stata inventata la macchina del Tempo, è arduo stabilire chi sia più bravo a sferrare pugni:
fra Giovanni o papa Bergoglio?


Nota all'immagine ---

_La miniatura con il frate che da una martellataad un peccatore è tratta dalle Decretali Smithfield della British Library: folio 116r.


Nota al testo - - -

[1] Il brano di Tommaso da Celano è tratto dalla Vita Seconda, Capitolo CXXXVIII -ff 769.


---

Sulle misure punitive messe in atto da Francesco per governare i frati, vedi anche i seguenti post:

Il bello dei cadaveri: l'Obbedienza secondo San Francesco.

San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.

La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano
...


La paura fa 90: lo 'stile' francescano...

"Guai a quei frati..." Punizioni francescane per tenere alta la disciplina.

martedì 9 dicembre 2014

Nel regno della Dèa:
dalle feste Hilaria alla Madonna Ilare

Talvolta anche il libretto che tratta la storia di un paesino sperduto nasconde dei riferimenti sorprendenti.

Vi ricordate l'Abbazia di San Silvestro?
A settembre avevamo parlato dei culti di fertilità connessi alle sue acque prodigiose.

I monaci di San Silvestro si spinsero ben oltre.

Leggiamo ciò che scrive Virgilio Sampalmieri a proposito di una chiesetta nascosta nella boscaglia alle pendici del monte Subasio: la chiesa della Madonna Ilare.


A sud di Collepino, fra gli uliveti, c'è un'antichissima chiesetta chiamata "Madonna Ilare", in dialetto "Madonna d'Illera". È una delle tante cappelline che i monaci di San Silvestro avevano fatto costruire per comodità di pastori, coloni, operai.
La prima notizia di questa chiesetta l'abbiamo nell'inventario di tutte le chiese ordinato da Mons. Mario Maffei nel 1773 in cui è segnata con il nome di S. Maria dell'Ilare.


[...]

In questa chiesa la gente di Collepino si recava in processione la sera di Pasqua, portando lo stendardo della Madonna ed il Crocefisso, cantando la seguente lauda:

Vergin celeste e pura
Che fosti preservata
E sempre immacolata
Ricordati di me.


Madonna Ilare: da dove viene questo strano epiteto?

Certo non dall'affresco che si trova all'interno del santuario [a fianco] né dalle edicole votive sparse nei dintorni [sotto].




Quello della Madonna, tutto è tranne che un sorriso a 32 denti!
E forse non è nemmeno un sorriso.


Sampalmieri nota:

Ufficialmente il nome della chiesina è "Madonna Ilare", in dialetto dell'Illera, Illora o Illula. Queste incertezze nella pronuncia ci fanno supporre che il nome derivi da un'antica festa pagana in onore della dea Hilaria, madre di tutti gli dei, che veniva celebrata nei boschi durante l'equinozio di primavera. Quando la Chiesa cristianizzò le varie feste pagane, la sostituì con la festa della Madonna madre di tutti i cristiani; il nome Hilaria potrebbe essersi trasformato in Ilare*.

Nell'antica Roma, secondo Macrobio**, le feste Hilaria si celebravano all'Equinozio di Primavera, il 25 marzo, in onore della dèa Cibele che a partire da quella data con l'allungarsi delle ore di luce consentiva la rinascita della Natura.

Da ciò viene il nome della festa, hilaris, cioè gioioso, come i suoi devoti che si preparavano con sette giorni di digiuno e astinenza ai festeggiamenti.

Come è noto, la Pasqua si calcola sul primo plenilunio successivo all'Equinozio di Primavera.

È troppo pensare che quelle processioni alla Madonna Ilare fossero una sopravvivenza delle antiche onoranze a Cibele?

Nel dubbio, Dio salvi i vecchi libretti come questo!

Note - - -

*Cfr. Virgilio Sampalmieri, Notizie sui castelli di Collepino, San Giovanni, Armenzano, Spello, 1988, pp. 31-34.

** " Quern diem Hilaria appellant, quo primum tempore sol diem longiore nocte protendit. " Cfr. Macrobio, Saturnali, Liber I, 21.

sabato 18 ottobre 2014

Da san Francesco a Cappuccetto Rosso: il culto apotropaico del Lupo


All'inizio del MedioEvo sull'Europa incombeva una minaccia: il lupo.

Con il crollo dell'Impero Romano le città si svuotarono, le strade caddero nell'incuria: la boscaglia prese il sopravvento.

Allontanarsi dal centro abitato era un pericolo, i lupi agitavano il sonno dei contadini così come quello dei mercanti. Nessuno si sentiva al riparo. Perfino i Vescovi organizzarono battute di caccia per sopprimerli.


« Carlo Magno dovette creare dei funzionari appositi per la caccia dei lupi, che vennero chiamati lupari.
[...]
Il pericolo esisteva, grave al punto che, trascorsi alcuni secoli dall'inizio del Medioevo, quando la pubblica amministrazione si organizzò in forma più rigida ed efficace, la caccia al lupo divenne compito dello stato che se ne sentiva investito. Gli stessi vescovi organizzavano grandi battute di caccia all'animale e ne facevano strage.

Il nome "Lupo" era dato con frequenza alle persone, uomini e donne; grande era il valore totemico e sacrale che il lupo rivestiva presso le popolazioni germaniche e di altre stirpi. Le danze sacre che scandivano l'inizio delle battaglie vedevano i guerrieri incappucciati con la testa del lupo, dell'orso e di altre bestie selvagge. I nomi più frequenti dei guerrieri erano: "Elmo di lupo", "Elmo d'orso". » [1]

Il bandito che Francesco d'Assisi convertì tra i dirupi della Verna era soprannominato Fra Lupo per la sua ferocia.

Ma lo stregone di Assisi s'imbatté anche in un lupo vero, e a Gubbio se ne conserva una traccia ai limiti dell'immaginazione.


Alla chiesetta di San Francesco della Pace si trova collocato a mo' di altare il masso su cui –udite, udite- Francesco ammansì il terribile lupo di Gubbio, come ci raccontano un affresco conservato a Pienza [sopra] ed un famoso brano dei Fioretti...

« Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado di Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere [...] »


Non appena il lupo si avventò sul nostro stregone, bastò a Francesco un segno di croce per trasformarlo in un docile cagnolino.

« Mirabile cosa a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. »

A quel punto lo stregone di Assisi si mise a parlare con il lupo e strappò alla bestia la promessa di non terrorizzare più nessuno.

« E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E santo Francesco sì dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare". E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. » [ff 1852]

Una volta morto il lupo, la sua carcassa fu oggetto di culto, tanto è vero che nell'Ottocento la si ritrovò coperta da un sarcofago, conservato oggi come una reliquia nella cripta della chiesetta...


In Cappuccetto Rosso, invece, è necessario l'abbattimento del lupo.

Pierre Saintyves sostiene che l'uccisione del lupo ad opera del cacciatore nel racconto non sia un escamotage letterario, ma il retaggio di precise cerimonie apotropaiche in cui ci si propiziava la caccia al Lupo.
Saintyves scrisse che l'antenato del lupo di Cappuccetto Rosso era nientemeno che Fenrir. [2]


Nella mitologia norrena il lupo Fenrir è un terribile dio che abita le paludi ed è dotato di un'intelligenza fuori dal comune, tanto da essere in grado di parlare.
Vi ricorda qualcosa?

"Nonna nonna, che occhi grandi che hai..."
"È per guardarti meglio, bambina mia."

Fenrir è così astuto e così forte che l'unico in grado di affrontarlo con coraggio è il dio della guerra Týr [sopra], brandendo il suo spadone.

Dall'agiografia alla fiaba: un mito per un altro mito.


➔ Sul travestimento magico in Lupo, per acquisirne i poteri ---

Trasformarsi in Lupo: un residuo di paganesimo da debellare.


◉ Un post sulle bestie capaci di comprendere la lingua umana:

Cacciatori: attenti allo Spirito del bosco.


◉ Un post sul Lupo guaritore nella devozione cristiana:

Animali Totem il culto apotropaico di san Lupo.


Nota all'immagine ---

_L'affresco, in apertura del post, con san Francesco che stringe un 'patto' sciamanico con il lupo è opera di Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, dalla chiesa di San Francesco a Pienza, fine del XIV secolo.

⮩ Cfr. Sara Mammana e Roggero Roggeri, Cristoforo di Bindoccio, Meo di Pero e il ciclo Francescano di Pienza. Rarità iconografiche e nuove scoperte, p. 27 in Centro Studi Pientini.


Note al testo ---

[1] Vito Fumagalli, L'alba del Medioevo, Il Mulino, Bologna 1993,
pp. 73 e 75.

[2] Paul (!) Saintyves, Cappuccetto Rosso, reginetta di maggio, in Cappuccetto Rosso: una fiaba vera, a cura di Stefano Calabrese e Daniela Feltracco, Meltemi, Roma 2008, pp. 60-61.

mercoledì 3 settembre 2014

Le portentose acque dell'abbazia di San Silvestro sul monte Subasio


Francesco d'Assisi deve (quasi) tutto ai monaci.

Gli oscuri riti della fertilità che portò in giro per le campagne, si praticavano già da secoli all'ombra dei monasteri.

Facciamo un salto all'antica abbazia di San Silvestro sul monte Subasio.

L'abbazia emerge dalla boscaglia tra i tornanti che dal paese di Collepino raggiungono la vetta.


A dire il vero, dell'abbazia non è rimasto molto, eccetto la chiesetta ed una (preziosissima) fonte.


Ma nel MedioEvo questo piccolo baluardo faceva gola: i monaci di San Silvestro controllavano solo a Spello qualcosa come 92 appezzamenti di terra.

Piatto ricco, al punto che Papa Alessandro III nel 1178 con la Bolla Religiosam vitam mise l'abbazia sotto la Sua tutela.

Finché i monaci non caddero in disgrazia, e tutto quel ben di Dio finì nel mirino delle loro dirimpettaie e rivali, le monache del monastero di Vallegloria.

Nell'agosto del 1236 papa Gregorio IX decise che era giunto il momento di porre fine allo strapotere di San Silvestro e diede ordine al vescovo di Spoleto di sopprimerla.

Seguirono poi devastazioni e rovina: dell'imponente monastero non rimase che un mucchietto di pietre...


Eppure la chiesa continuò ad essere mèta di numerosi pellegrinaggi.
In una visita pastorale del Vescovo di Foligno ai primi del '900, Felice Benedetti raccontava:

« [...] non vi sono santuari, ma dalla continua affluenza dei fedeli che accorrono o mandano a s. Silvestro può dirsi impropriamente santuario.
Vi accorrono i mammiferi, sì animali ragionevoli che irragionevoli, quando sono privi di latte vengono o mandano e bevendo di quell'acqua gli ritorna il latte
. »

Stesso tono in un'altra fonte più antica, risalente ad una visita del 7 giugno 1868.

« Quello che lo rende anche più importante è la divozione che riscuote specialmente dalle donne che senza interruzione vi traggono da ogni parte per ottenere a intercessione del santo continue grazie bevendo l'acqua denonimata di s. Silvestro. »

Ma i poteri di San Silvestro non si limitavano a questo!


Scendendo nella cripta si distinguono nell'oscurità tre colonne: avanzo di qualche tempio romano di cui si è persa la memoria.

La colonna centrale ha il capitello corroso dalle mani dei fedeli, che per secoli lo toccarono con la speranza di guarire dal male delle ossa!


I monaci dell'abbazia sapevano bene che le loro fortune dipendevano dai poteri taumaturgici del santuario.

Lo sapevano così bene che fecero dipingere una grande
Madonna con Bambino sull'abside per rassicurare le migliori clienti di Silvestro: le puerpere a cui mai doveva mancare il latte
!



Note al testo ---

Le notizie storiche inerenti all'abbazia sono riprese da due testi:

_ Guida di Spello, a cura di Venanzo Peppoloni e Corrado Fratini, 1978, p. 117.

_ Notizie sui castelli di Collepino, S. Giovanni , Armenzano, Virgilio Sampalmieri, Spello, settembre 1988, pp. 36-37.

I testi sulle visite pastorali invece sono ripresi da:

Mario Sensi, Visite pastorali nella diocesi di Foligno, Macerata 1991, pp. 177 e 235.

lunedì 4 agosto 2014

Lo darò al diavoletto / Che lo tiene un mesetto: cantilene stregate.


« Chi fa la spia
non è fijo de Maria,
non è fijo de Gesù;
quanno more va laggiù:
va laggiù da quel buchetto
dove c'è il diavoletto.
»

Di questa canzoncina raccolta nel contado di Assisi, esistono decine di versioni in tutto lo stivale.

Spaventare i bambini con lo spauracchio del diavolo è stata per secoli la pratica educativa più diffusa.

Il ricorso al demonio non era tanto un antidoto escogitato dalle madri per garantirsi la tranquillità domestica, ma nascondeva dei veri scongiuri apotropaici.

Scongiuri di cui abbonda perfino la storia dell'Arte.
Diamo uno sguardo ad un gonfalone processionale dipinto a metà del '400 da Benedetto Bonfigli...


Nel dettaglio, il popolo orante segue con tanto di trombettieri una cerimonia officiata dal vescovo: la benedizione dei ceri votivi.

Un bambino dispettoso sbuca sotto la tunica di una suora, e tenta di rubacchiare un cero.
Niente di più grave!

Il pittore dipinge sulla sua tunica un diavoletto nero con un ammonimento severissimo: serva da lezione a tutti i bambini che, come lui, seguiranno la processione dietro al gonfalone:

"Fura che serai apeso!"

Ma un'iconografia, più di tutte le altre, funzionava da ammonimento per i bambini impenitenti e per tutte quelle madri che aspettavano troppo a battezzarli: la Madonna del Soccorso.


Questo dipinto, realizzato da Domenico di Zanobi e custodito alla Basilica di Santo Spirito a Firenze, ci mostra una Madonna che più castigatrice non si può: prende a randellate un diavolo sotto gli occhi atterriti del bambino in pericolo.

La madre, supplice, invoca la clemenza della Vergine affinché allontani l'orrido diavoletto dal figlio indifeso...



Per secoli si credette nell'Italia contadina che i bambini non battezzati venissero rapiti dalle streghe, che poi li portavano ai loro sabba notturni per darli in pasto ai demoni.

Non parliamo poi delle leggende diffuse nel profondo nord tedesco!

Nella mitologia germanica si credeva nel Zodawascherl, un bambino vestito di stracci, morto prematuramente senza battesimo, che seguiva il corteo notturno guidato dall'anziana dèa Percht. [1]

Questo bambino straccione era l'unico a cui non spettasse mai un pasto quando i contadini all'Epifania apparecchiavano le loro tavole per sfamare Percht ed il suo corteo demoniaco.

Se non ne avete abbastanza di canzoncine stregate, la storia continua con altre immagini nel libro:
Tre civette sul comò: storia di un maleficio.


◉ Sulle streghe responsabili degli infanticidi, vedi:

Le streghe e gli aborti: il Noce che rende libere.


Note alle immagini ---

_In apertura, una miniatura del monaco inglese Matthew Paris, con un bambino ghermito dal diavolo.
Il disegno è tratto dal manoscritto MS 016, folio 65v.
L'Opera contiene la Chronica maiora II, ed è conservata nella Parker Library al Corpus Christi College di Cambridge: il manoscritto si può sfogliare, integralmente, nel sito inglese della biblioteca.

_Il gonfalone del Bonfigli si trova ampiamnte citato nel catalogo:
Un pittore e la sua città: Benedetto Bonfigli e Perugia, Electa, Milano 1996, p. 152.


Nota al testo ---

[1] « Zodawascherl/Honawascherl: Nome del tredicesimo bambino della corte notturna di Percht.
È un bambino morto senza battesimo, che si trascina nel corteo portandosi una brocca piena di lacrime.

Quando, la notte dell'Epifania, i bambini apparecchiano una tavola per Percht e il suo gruppo, vi sono solo dodici posti, sì che quando arriva lo Zodawascherl non gli rimane più nulla.

Il nome è formato dai termini dialettaliche significano "stracci" e "trascinarsi" o "restar dietro"; lo si può quindi tradurre "Lo straccione che resta dietro"
. »

Cfr. Claude Lecouteux, Dizionario di mitologia germanica, Argo, Lecce 2007, p. 271.