giovedì 28 febbraio 2019

Ercole e Marte: i guardiani della Porta e i due vescovi guerrieri di nome Ercolano.


Via Campo Battaglia e via Guerriera sono due viuzze medievali che da un sobborgo del centro di Perugia, conducono il visitatore alla chiesa intitolata a sant'Ercolano.







Ercolano II è il leggendario vescovo che avrebbe difeso la città dall'assalto delle milizie barbare di Totila.

I goti che assediano la città sono dipinti mentre premono sotto la Porta Marzia in un affresco di Benedetto Bonfigli (1454), dove poi sorgerà la chiesa-fortezza di Sant'Ercolano.

Da notare nell'affresco lo stendardo che pende dalle mura con lo Scorpione, segno astrologico del governo di Marte [1].



Secondo padre Ludovico Iacobilli...

« Mentre il Santo Pastore governava il suo gregge [...]
Commandò esso Totila a' suoi soldati che cingessero di duro assedio la città di Perugia, finché si rendesse a lui.
Ma per esser quella città fornita di vettovaglie, & il suo popolo in arme molto valoroso, sostenne quell'assedio più di sette mesi; dopo li quali fu presa la città, essendone per avanti fuggiti molti cittadini per la fame
[2]. »

Per questa difesa, Ercolano sarà poi detto 'defensor urbis'.

Il racconto si conclude con la decapitazione di Ercolano, che avviene in un giorno particolare...

« Questo martirio seguì adi I di Marzo l'Anno cinquecento quarantasei di N. S. [2]. »

Il culto militare del santo protettore si celebrava in memoria di quell'evento ogni Primo Marzo, come annota in maiuscolo Iacobilli nel capitolo dedicato ad Ercolano, nelle Vite de' Santi dell'Umbria...


Il primo marzo era anche (guarda caso!) l'inizio delle feriae Martis nell'Antica Roma: le feste al dio Marte.
Pare che il suo culto a Perugia sia stato implementato da Augusto dopo la vittoria nel bellum perusinum, con l'erezione di un tempio:

« Per qual cagione Augusto lassasse per testamento che in Perugia si fabbricasse un Tempio a Marte è difficile a conietturare: Svetonio nella Vita di lui racconta ch'egli in Roma ereggesse il Tempio di Marte Vultore per la vittoria ricevuta ne' Campi Filippici, con la quale vendicò la morte di Cesare; a pari di che dir potremmo ch'egli per la vittoria ricevuta in Perugia [...] lassasse per testamento che si fabbricasse questo tempio [3]. »

Marte nel periodo a lui dedicato, era adorato non tanto per la guerra offensiva, ma proprio come difensore:

« Mars, a cui è intitolato il mese, ha caratteristiche arcaiche di Dio connesso con la generazione e, più che con la guerra offensiva, con la protezione di ciò che è generato [4]. »

In una pittura votiva del Trecento alla Galleria Nazionale dell'Umbria, sant'Ercolano è raffigurato proprio come protettore, mentre stringe paternalmente a sé la città...


Anche ammettendo che la devozione per sant'Ercolano non sia altro che l'evoluzione cristiana del culto tributato a Marte, a cosa si deve il nome del santo?

Il mitologo inglese Robert Graves ne «I miti greci» enumera gli attributi di Eracle (l'Ercole greco), tra cui quello di...

--- Protettore della Città [5] ---

Possiamo immaginare che un tempio ad Ercole fosse posto presso le mura urbiche, a loro protezione.

Gli storici locali, a partire già dall'erudito francescano Felice Ciatti, riconoscevano che sant'Ercolano protettore delle mura non fosse altro che l'aggiornamento del vecchio mito di Ercole.

Il vescovo perugino Ercolano II addirittura sdoppiato in due commemorazioni -primo marzo e 7 novembre* -, per conciliarne simboli e fama con il dio romano!

« ...Ercolano il Santo, come da Ercole il nome, così gli effetti contraesse; e che quinci in quella guisa, che de' molti Ercoli i fatti
[...] così di due Ercolani i fatti, ed i tempi ad un solo Ercolano da Totila fatto morire si ascrivessero [3]. »



Ma che ne è del primo Ercolano?

Curiosamente, un altro Ercolano sarebbe stato martirizzato secoli prima (304 d.C.) della morte del vescovo Ercolano II (546 d.C.).
Proprio sotto la Porta Marzia!

Cesare Crispolti, in quel gran guazzabuglio di santi perugini e divinità pagane che è Perugia Augusta, narrava il sacrificio dell'Ercolano minore, sottolineando le relazioni tra il martire e il vicino tempio del dio pagano...

« [...] possiamo raccorre che dedicate fosse a Marte per esser fuora dalla Città, dove era solito a tal Dio fabbricarsi, & perché a quello andavasi dalla Porta Martia, la quale penso che prendesse il nome dall'esser volta verso il detto Tempio, ovvero dai giochi Martiali, che nell'Anfiteatro ivi vicino facevansi.

[...] di questo apparisco per fin'hoggi molti vestigi [...] come anco nella vita in stampa del primo S. Ercolano Vescovo di Perugia, ove dicesi che l'anno trecentesimo quarto doppo la nascita di Christo [...] doppo varij tormenti, fu in Perugia martirizzato nell'Anfiteatro
[6]. »

Un dipinto del Settecento, sempre alla Galleria Nazionale, ci consente di apprezzare visivamente l'evoluzione del culto.
A sinistra è l'antica porta del dio, a destra la chiesa del santo...


Durante le celebrazioni per il primo Marzo, i perugini in arme onoravano il martirio dei due Ercolano con una bella sassaiola alla fine della via Campo Battaglia, che da questa ricorrenza prese il nome.

Il dio Marte non era affatto morto!


Note al testo ---

[1] Il periodo dello Scorpione va dal 23 ottobre al 22 novembre.
Lo Scorpione è però il domicilio ideale di Marte, la cui festa cadeva appunto al primo marzo.
Probabilmente a causa di questa ambiguità, fiorirono due feste in onore di Sant'Ercolano: 1 marzo e 7 novembre.
Questo "sdoppiamento" fu risolto dalla Chiesa prima ammettendo l'esistenza di due martiri perugini di nome Ercolano, ad ognuno dei quali assegnare un giorno:

« Ercolano I, protovescovo di Perugia, martire sotto Domiziano, celebrato il 7 novembre [...]
infine Ercolano di Perugia, martire sotto Totila, venuto dalla Siria con trecento compagni e celebrato il I marzo. »

(Cfr. Francesco Scorza Barcellona, I santi della fontana maggiore di Perugia in Il linguaggio figurativo della fontana maggiore, Calzetti-Mariucci, Perugia 1996, pp. 285-286)

Poi la Chiesa cambiò versione, scegliendo di celebrare solo uno dei due santi con un trucco:
una data era per le reliquie, l'altra per il martirio...

« L'edizione del 1940 dell'Ufficio [...] sanava un non insolito errore agiografico fissando al 7 novembre la festa di Ercolano e al 1° marzo la traslazione delle sue reliquie »

(Cfr. Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università lateranense, vol. IV, Roma 1964, p. 1307)

Il Clero perugino, prima di quella data, ci teneva molto ad esaltare i due Ercolano.
E a distinguere i poteri del secondo Ercolano dal primo!
Al punto che il reverendo padre Giovanni Battista Bracceschi ci scrisse perfino un trattatello, edito nel 1586...


Discorsi del R.P.F. Giovanni Battista Bracceschi [...] ne' quali si dimostra che due Santi Hercolani Martiri sieno stati Vescovi di Perugia, & si descrivono le Vite loro & di alcuni Santi di Spoleti

A conclusione dello scritto, si legge:

« [...] e però vedesi chiaramente che non può essere il medesimo sant'Hercolano quello di cui si fa memoria in sul principio che fu al tempo di Giuliano Imperatore, & quest'altro che fu fatto Martire da Totila Re de' Gothi. »


[2] Cfr. Iacobilli, Vite de' santi e beati dell'Umbria, Tomo Primo, in Foligno, 1647, pp. 295-296.

Contro il parere dello Iacobilli che lo voleva martirizzato in quel giorno, la Chiesa decise che il primo marzo fosse invece il giorno della traslazione delle reliquie di Ercolano; ciò rende ancora più sospetta l'insistenza di quella data: « [...] e lì oggi di lui se fa venerazione, e 'l dì de la sua traslazione se celebra el primo dì de Marzo onorevolmente da tutto el populo ».

Cfr. Leggenda e miracoli di Sant'Ercolano. Da un codice perugino del secolo XV già in Monteluce, ora nella Comunale. In Perugia, presso Vincenzo Santucci, 1880, p. 8.


[3] Cfr. Ciatti, Delle memorie annali, et istoriche delle cose di Perugia. In Perugia, nella stampa episcopale appresso Angelo Bartoli, 1638, pp. 395-396 e p. 424.

[4] Cfr. Paolo Galiano, L'armonia dell'anno: la sapienza del tempo nel calendario di Roma arcaica, Simmetria, Roma 2007, pp. 32-33.

L'inizio dell'Anno Romano era caratterizzato da una serie di riti per il rinnovamento, di carattere spiccatamente militare.
Tra questi, Galiano riporta le curiose TUBILUSTRIUM MARTI:
« Purificazione delle tubae, le trombe che venivano portate in guerra. » (p. 38).

[5] Robert Graves si riferisce a « l'Eracle cananeo Melkarth ("protettore della città") » .
Cfr. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1999, nota 5.

[6] Cfr. Perugia augusta descritta da Cesare Crispolti perugino.
In Perugia, 1648, pp. 13-14.


Sui legami tra il dio Marte e sant'Ercolano ---

Mauro Menichelli ha dedicato al tema diverse pagine, e addirittura un saggio sulla sassaiola in onore di Ercolano:

« Si noti: Ercolano ereditò da Ercole non solo il nome, ma anche le sue caratteristiche peculiari; Ercolano, agli occhi dei perugini, apparve per secoli come un 'Ercole' vero e proprio: indomito difensore a tutti gli effetti prima e, dopo morto, elevato alla posizione di patrono della città. »

Cfr. Menichelli, Templum Perusiae. Il simbolismo delle porte e dei rioni di Perugia, Futura, Perugia 2006, p. 161.

Dello stesso autore, vedi anche La battaglia dei sassi di Perugia. Storia e vicende di un antico gioco popolare, Volumnia Editrice, Perugia 2001, pp. 69 e segg. :

« Primo marzo: Lumenaria, palij e battaglia dei sassi per la festa di S. Ercolano »


Il pittore siciliano Salvatore Fiume nel 1950 realizzò per l'imprenditore Buitoni perfino un quadro sulla Sassaiola, oggi esposto nella sala Fiume di palazzo Donnini a Perugia
(sopra, un dettaglio).

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Nel mio piccolo, ho pensato che per introdurre il saggio del Saintyves sull'Origine del culto dei santi, non ci fosse argomento migliore di una nota su "Il culto di Marte e il Santo guerriero"...

domenica 20 gennaio 2019

La spada sì, ma con garbo!
Lezioni di bon ton francescano...



Gestire un gruppo che dopo i primi dieci anni di proselitismo contava già cinquemila discepoli [1], non era cosa semplice!

Francesco aveva dato istruzioni molto precise ai suoi fedelissimi su come castigare i frati inadempienti per imporre l'Obbedienza tra i Minori, ricorrendo solo nei casi più ostinati alle maniere forti...

« Il beato padre era convinto che raramente bisogna comandare per obbedienza, perché non si deve scoccare per primo il dardo, che va usato come ultima risorsa. Diceva: "Non bisogna mettere subito mano alla spada!"
E aggiungeva: "Chi non obbedisce senza indugi al precedetto dell'obbedienza, è uno che non ha né timore di Dio né rispetto per gli uomini, a meno che non abbia un motivo di necessità per tardare"
[2]. » (ff 1737)

Il mite san Francesco talvolta ricorreva a delle vere intimidazioni verbali, per evitare che qualche frate più audace degli altri gli sfuggisse di mano, cadendo nelle tentazioni della Curia!

I suoi ammonimenti servivano ad imporre una rigida disciplina che tutti erano tenuti ad osservare.

Sia la Compilatio Assisiensis sia lo Speculum Perfectionis indugiano su queste velate minacce: siamo al Capitolo delle stuoie [1] alla Porziuncola.
Dopo essere stato catechizzato dal cardinale Ugolino sull'importanza di dotare i frati di una Regola, che assicuri proprietà alla fraternitas, sul modello degli Ordini benedettino e agostiniano, Francesco prende per mano il Cardinale e davanti a tutti pronuncia un discorso avvelenato...

« Tutte queste cose riferì il cardinale al beato Francesco in tono di ammonizione.
Il beato Francesco, senza rispondere nulla, lo prese per mano e lo condusse tra i frati riuniti a capitolo, e così parlò ad essi in fervore e forza di Spirito Santo:

"Fratelli miei, fratelli miei!
[...] Il Signore mi ha detto che io dovevo essere come un novello pazzo in questo mondo, e non ci ha voluto condurre per altra via che quella di questa scienza. Dio vi confonderà proprio per mezzo della vostra scienza e sapienza. Io confido nei castaldi del Signore: per loro mezzo Dio vi punirà. E allora tornerete al vostro stato, lo vogliate o no, con vostra vergogna".

Molto rimase stupito il cardinale, e niente rispose; e tutti i fratelli furono pieni di grande timore. » (ff 1761)

Ma cosa temevano di preciso i frati?

Tommaso da Celano ci suggerisce quanto potessero essere crudeli le punizioni dei "castaldi del Signore"
: il canonico Gedeone, un sacerdote della Cattedrale di Rieti miracolato da Francesco, non sopravvisse alla loro vendetta...

« Nel tempo in cui il santo padre giaceva ammalato nel palazzo del vescovo di Rieti, era pure costretto in un letto, perché infermo e attanagliato dai dolori, un canonico di nome Gedeone, uomo sensuale e mondano.
Fattosi portare da Francesco, lo scongiurò con lacrime a voler fare su di lui il segno della croce.
Rispose il santo: "Come posso benedirti se da gran tempo sei vissuto secondo i desideri della carne e senza timore del giudizio di Dio?"
E continuò: "Ecco, io ti segno nel nome di Cristo. Ma tu ricordati che subirai pene maggiori se, una volta guarito, ritornerai al tuo vomito"
.

[...] Passato poco tempo, dimenticandosi di Dio, [Gedeone] si abbandonò di nuovo alla sensualità.
Una sera si trovava a cena da un canonico suo collega e si fermò quella notte a casa di lui. All'improvviso crollò su tutti il tetto della casa; ma, mentre gli altri scamparono alla morte, lui solo, lo sventurato, fu schiacciato sotto il peso delle macerie e morì
. »
(ff 626)

Che dire? Povero Gedeone!


Note alle immagini ---

_In apertura, San Francesco ed un devoto in ginocchio, committente dell'affresco.
Pittura presente su una colonna della chiesa di San Francesco presso Narni (Terni), XIII secolo.

_A fianco, un curioso fraticello bastonatore da un manoscritto della Bodleian Library di Oxford, per segnatura MS. Bodl. 264, fol 21 v.

Un dettaglio della miniatura si trova pubblicato anche su Wikipedia.


Note al testo ---

[1] La Compilatio Assisiensis (o Legenda Antiqua perusina, di cui avevo già scritto in margine a questo post) e lo Speculum Perfectionis stimano cinquemila frati presenti al Capitolo delle Stuoie alla Porziuncola (ff 1564 e 1761).
Secondo i commentatori della Compilatio, il Capitolo si sarebbe tenuto tra il 1222 ed il 1223.
Cfr. Feliciano Olgiati e Daniele Solvi, Compilazione di Assisi in Fonti Francescane, Padova 2004, p. 893, nota 12.

[2] Il discorso sull'uso della spada per educare come extrema ratio, è ripetuto con le medesime parole nella Vita Seconda [153] di Tommaso da Celano e nella Compilatio Assisiensis [1].
Sono per ciò parole sicuramente attribuibili a Francesco.

_Va ricordato che Francesco dopo il 1221, rassegnando le dimissioni da Superiore, aveva già perso i poteri decisionali sulla fraternitas: è improbabile quindi che il cardinale Ugolino facesse ancora pressioni su di lui per redigere la Regola.


Post correlati ---

L'uso della violenza per imporre la disciplina sui frati è ricorrente nelle Fonti Francescane.
L'intimidazione era uno strumento utilizzato da Francesco. Bonaventura ci narra il rogo del cappuccio di un frate negligente, per ricondurlo all'Obbedienza:
_Vedi il post: Il bello dei cadaveri: l'Obbedienza secondo San Francesco.

Le Fonti ci raccontano inoltre come Francesco si servisse a Firenze di un frate 'pugile', quando i richiami verbali non erano sufficienti.
_Vedi il post: San Francesco e il pugile di Firenze: a scuola di pugni prima di papa Bergoglio.

Malgrado la violenza fosse un comune denominatore per imporre la disciplina tra i frati, qualcuno sfuggì al controllo di Francesco.

Il caso di frate Giovanni da Campello testimonia come scomunica e impiccagione siano strumenti non sconosciuti alle Fonti.
_Per questo argomento, rimando al post: San Francesco e l'epurazione dei dissidenti: l'impiccagione di frate Giovanni.

martedì 9 ottobre 2018

Liturgie popolari: le origini magiche del Girotondo.


Per indagare le antiche superstizioni, i mercati d'antiquariato sono il mio terreno di caccia preferito!

Qui si trovano spesso oggettini insoliti: è il caso di questa placca in ottone che ornava la testiera di un letto...


Cosa raffigura?

Alcuni amorini danzano in cerchio sotto le fronde di un albero di quercia su cui sono assisi dei suonatori che, armati di tromba e tamburello, dettano il ritmo ai danzatori.

Viene proprio da dire: che scena graziosa!
Eppure ci fu un tempo in cui scene di questo tipo destavano terrore nel mondo clericale, che faceva di tutto per demonizzarle.

Ce ne accorgiamo sfogliando il Compendium Maleficarum del frate Francesco Maria Guaccio, dove alle pagine 77-78 si nota una xilografia (vedi qui il testo da Google Libri) fin troppo esplicita...


Uomini e donne danzano in cerchio stringendo la mano a dei diavolacci!
Un suonatore detta loro il ritmo appollaiato su un albero, le cui foglie sono chiaramente quelle di una quercia.

Il mondo pagano dei pastori era intriso di giocosi riti ancestrali.
Al punto che la Chiesa nel MedioEvo concepì le sue feste sacre spesso in contrapposizione a questi sollazzi.

Nel Libro d'Ore di Charles d'Angoulême della Bibliothèque Nationale di Parigi al folio 20 verso, una miniatura ci mostra chiaramente i due mondi: l'angelo in alto, celeste come il cielo, srotola il cartiglio con la Lieta Novella ai pastori lascivi, intenti a danzare in cerchio intorno ad un albero con delle donne...


La stessa immagine ci viene proposta in un celebre manoscritto della Morgan Library di New York (qui trovi la riproduzione integrale del folio), con un piccolo dettaglio da notare:
al centro del cerchio non c'è più l'albero: è rimasto solo il suonatore di zampogna -la musica non deve mancare per scandire la danza!

L'angelo spunta sempre in alto a rovinare la festa, ma nessuno sembra lo voglia ascoltare.


Perché era così importante danzare in cerchio?

Nella magia il cerchio ha il potere di assicurare la protezione.
È un concetto che recupererà poi il magus rinascimentale, il quale per praticare aveva bisogno di schermarsi dalle forze ostili.

Sulla copertina del Doctor Faustus (datata 1620) del commediografo inglese Christopher Marlowe, campeggia una xilografia molto chiara: il mago Fausto pratica dentro un cerchio ed il demonio non può che rimanerne fuori, impotente...



Nella magia popolare danzare in cerchio non era soltanto un passatempo giocoso, ma un vero e proprio rito di consacrazione.

Tanto che la Chiesa cercò di tollerare il più possibile questa ritualità, includendola nelle feste paesane dei suoi Santi.

I pittori Peter Brueghel, sia il Vecchio sia il Giovane, dipinsero molte scene di girotondo.
Tra queste, è interessante dare uno sguardo alla Kermesse di San Giorgio del giovane Brueghel. Il mito della danza sacra intorno all'albero sopravvive intatto nella festa cristiana...


La danza in cerchio con al centro l'albero era spesso demonizzata nella cultura medievale religiosa, come prodotto di degradazione e stregoneria.

Nel Roman de Lancelot du Lac, Lancillotto si avventura in un bosco dove libera un gruppo di uomini e donne prigionieri di unadanza stregata.
Il manoscritto MS Fr. 122 della Bnf al folio 137 verso (visionabile su Gallica) ci mostra proprio i danzatori prigionieri del girotondo intorno all'albero, e Lancillotto (a destra) che interviene a slegarli.



Il vestirsi da animali, cervi o conigli, animando con le donne catene umane di pazzi danzanti, era una pratica sconveniente da tenere sotto controllo.

Ce lo mostra bene un famoso manoscritto della Bodleian Library di Oxford, il Bodl. 264, dove al folio 21 verso si nota nel margine della pagina una catena folle di uomini mascherati che si stringono a delle pulzelle, mentre il fraticello moralizzatore spunta nell'angolo destro brandendo un randello!


Pierre Saintyves nel suo libro sulle Rondes Enfantines (1919) narra la terribile maledizione che padre Ruperto scagliò contro un gruppo di pagani, che disturbavano con un gran baccano la messa da lui celebrata:

« Erano maledetti. Un tale volle staccare a forza da questo girotondo infernale la sorella che amava tanto. Inutilmente! Le strappò le braccia dal corpo e lei non ne sentì alcun male, non una goccia di sangue uscì dalle sue vene, non protestò, non emise un solo lamento. Continuava a danzare come gli altri.

La terra sprofondava sotto i loro piedi. In estate erano già nella fossa fino alle ginocchia; in inverno fino al collo. Ma la loro danza non cessava. Era orribile a vedersi! »

Cosa spaventava tanto le autorità religiose in questo rigurgito festaiolo di paganesimo?

Il timore che il mondo pagano potesse riemergere e scalzare i dignitari ecclesiastici dal loro scranno era sempre presente, tanto che in Francia si teneva dopo il Natale cristiano la Festa dei folli, un momento di delirio collettivo che andava dal 26 al 28 dicembre.

Tale festa era tollerata e incentivata dalle autorità come una valvola di sfogo: far sfogare il popolo con le sue gozzoviglie era il modo più efficace per tenerlo sotto controllo.

Durante la Festa si eleggeva il Vescovo dei Folli, la suprema autorità (non-)religiosa che avrebbe regnato nell'arco dei tre giorni, quando era del tutto normale vestirsi da animali e animare pazze danze in girotondo.
Ce lo mostra un'incisione di Pieter van der Heyden: dei folli incappucciati ballano intorno ad un palco (al posto dell'albero!), su cui sono assisi dei suonatori...


L'albero, centro del girotondo, si trasformerà nella ghigliottina durante il Terrore della Rivoluzione.
Le gerarchie avevano ottimi motivi per vedere nella danza in cerchio un'espressione pericolosa del godimento popolare.

Sulla sommità dell'albero non c'erano più i suonatori, ma il berretto frigio dei sanguinari rivoluzionari, come si vede in questa curiosa stampa settecentesca dal museo Carnavalet di Parigi......


Il regista futurista Anton Giulio Bragaglia lo spiegava nel suo saggio sulle Danze popolari italiane, nel 1950:

« La ronda si balla intorno alla zampogna o alla fisarmonica da noi [...].
Si balla attorno all'Albero della libertà o attorno alla ghigliottina come la Carmagnola della Rivoluzione francese, che trae il nome dal paesetto del Piemonte
. »

Il girotondo divenne sinonimo di sangue quanto prima lo era stato di vizzi e bagordi.
Bragaglia ci racconta come la danza avesse aspetti 'demoniaci':

« Ancora al tempo di Carlo Quinto nelle danze di San Giovanni [...] i ballerini si mettevano tutti nudi, con una corona di fiori nel capo e ballavano in ronda, all'infinito, sino a cadere in terra come i tarantati [1]. »


Il ricordo ancestrale della danza a catena sotto l'albero era ancora forte nei nazionalisti slavi ai primi del '900.

Quando il pittore Alfons Mucha di ritorno da Parigi mise mano ad un colossale ciclo patriottico per il Comune di Praga, aveva bene in mente i poteri della ronda in cerchio contro il potere cattolico austro-ungarico.

Il Giuramento di Omladina si compie sotto il Sacro Tiglio: gli adepti del Movimento che lo contraggono, si stringono in cerchio sotto le fronde dell'albero...



Quella che colpì il Girotondo fu una censura inconscia?
Mica tanto!

Della danza magica intorno all'albero a fine Ottocento non rimarrà altro che un ameno gioco infantile per un processo di obliterazione della memoria, come ci mostra un quadro del pittore inglese Frederick Morgan (1856–1927) conservato alla Towneley Hall Art Gallery nel nord dell'Inghilterra...



Ho deciso di pubblicare una traduzione del libro di Saintyves sui girotondi magici per rendere disponibile una testimonianza su un antico rito popolare della magia.

Il saggio, scritto ormai un secolo fa e quasi dimenticato, è corredato -come mi piace fare!- da una piccola digressione d'immagini che introducono il lettore nei riti delle 'Liturgie popolari' descritti da Saintyves.

E come non dedicare la copertina alla placca in ottone trovata al mercatino, da cui tutta la nostra storia ha avuto inizio?



Pratiche magiche associate al cerchio ---

Anelli di protezione: "In questo cerchio v'è una strega..."

➔ Sulla divinazione in Cerchio nelle Fonti ---

L'Oracolo del cerchio: una divinazione ballata nei Fioretti di san Francesco.


Nota al testo ---

[1] Cfr. Anton Giulio Bragaglia, Danze popolari italiane, Enal, Roma 1950, pp. 52 e 63.

lunedì 23 luglio 2018

Al tempo in cui Mamma Oca era una strega, ovvero la Signora che possiede gli uccelli...


Tempo fa alle Scuderie del castello di Miramare, in una bella mostra sul Liberty, mi è capitato di fare un incontro imprevisto.

Tra sedie, pannelli e oggetti d'uso quotidiano, c'era anche un singolare manifesto praghese del 1910:
Vratislav Nechleba, XXXI Esposizione Artisti Visivi Mànes [1].
Il pittore ceco vi aveva raffigurato una donna a seno nudo, dagli occhi cerulei ed i capelli rossicci, sormontata da due pennuti.

Tre attributi inequivocabili: gli occhi, i capelli, gli uccelli.
Avevo davanti una strega!


Ai primi del '900, diversi artisti riempivano le loro opere con suggestioni stregonesche.

Queste suggestioni erano già tutte presenti nello scrittore classico Apuleio, che nelle Metamorfosi ci narra la trasformazione della strega Panfile in un gufo per soddisfare un desiderio amoroso.

Lucio, il protagonista del romanzo, osserva incredulo la strega nuda compiere il prodigio, sbirciando dalla serratura della porta:

« Ed ecco ciò che vidi.
Dapprima Panfile si spoglia di tutte le vesti, poi apre un bauletto e ne estrae alcuni vasetti, leva il coperchio a uno di essi, ne trae fuori una pomata, se ne sfrega a lungo le palme e si unge tutta, dalle unghie dei piedi alla cima dei capelli; quindi, dopo un lungo e segreto colloquio con la lucerna, è scossa per tutto il corpo da un tremito insistente.

Al tremito sottentra poi un lieve palpitare, mentre sul corpo spunta una molle peluria, crescono delle robuste penne, il naso si incurva e si indurisce, le unghie s'ispessiscono e si fanno adunche.
E così Panfile diviene un gufo.
Emette uno stridulo lamento, spicca piccoli salti sul pavimento per provar le sue capacità, poi s'innalza e vola via al di fuori con l'ali spiegate [2]
. »



Il timore per le streghe che si legavano agli uccelli è facilmente spiegabile.

In latino, c'è una stretta assonanza fonetica tra avis (uccello) e avus (nonno).
Come spesso succede per il potere magico della parola, da un'assonanza scaturisce una continuità.
La stessa affinità tra i nonni e gli uccelli è alla base della figura fiabesca di Mamma Oca [3].

Nell'immaginario antico, la strega possedeva gli uccelli per avere il controllo sugli uomini.

Dominare gli uccelli voleva dire controllare il ciclo riproduttivo, rendere cioè gli uomini sterili, incapaci di avere discendenza.


Il timore per le streghe ammaliatrici, capaci di causare impotenza, era molto diffuso.
I due inquisitori Sprenger ed Institor nel Malleus Maleficarum (1620, sopra il frontespizio) riportano il caso inquietante di una dolce pulzella tedesca, rea di aver operato un maleficio sessuale.
Il suo spasimante avrebbe minacciato di strangolarla, se la presunta 'strega' non gli avesse fatto una masturbazione liberatrice...

« Nella città di Ratisbona un giovane aveva un legame con una fanciulla. Quando volle lasciarla, perse il membro virile come per effetto di un sortilegio e quello che gli appariva e che lui toccava era solo un corpo piatto.
[...]
E allora il giovane, al crepuscolo, si appostò sulla strada da cui abitualmente passava la strega e quando la vide si mise a pregarla di rendergli l'integrità fisica.
Lei si dichiarò innocente e affermò di non saperne niente.

Allora, gettandosi su di lei, le passò un panno intorno al collo e premendo con forza la stringeva dicendo: "Se non mi rendi l'integrità, morirai per mano mia".
Lei non poteva più gridare e cominciò a diventare tumefatta e nera in volto: "Liberami", diceva, "e ti guarirò".
Il giovane sciolse il nodo e allentò la morsa e la strega lo toccò tra le cosce con la mano dicendo: "Adesso hai quello che desideri".

Come raccontò in seguito, il giovane, prima ancora di assicurarsene con la vista e con il tatto, aveva avvertito distintamente che il membro gli era stato restituito soltanto dopo essere stato toccato dalla strega
. »

(Cfr. Heinrich Institor, Jakob Sprenger, Il martello delle streghe: la sessualità femminile nel transfert degli inquisitori, traduzione dal latino a cura di Armando Verdiglione, Spirali, Milano 2003, pp. 213-214.

Su Google Libri si può visionare l'Opera originale).



L'immagine della strega che domina l'uccello e cavalca la scopa era un transfert fin troppo chiaro(!).
Anche Freud ne parlava.
In una lettera al collega e seguace Wilhelm Fliess, datata
24 gennaio 1897, il padre della Psicoanalisi così scriveva:

« L'idea di chiamare in causa le streghe sta acquistando sempre maggiore vitalità, e secondo me, è anche pertinente.
Incominciano ad affollarsi i particolari: trova spiegazione il "volare": la scopa che esse cavalcano è probabilmente il grande Pene [4]
. »

La strega che assume le sembianze di un uccello era un'ossessione così ricorrente che molte immagini silenziose ce la raccontano.

A Perugia se ne trova scolpita una curiosissima (di età medievale?), su una formella murata in via Appia.



Basta alzare lo sguardo all'inizio dell'Acquedotto, oggi reso pedonale, per accorgersi della sua presenza proprio sopra la porticina di una casa al civico 15...



Coincidenza! Il cavaliere perugino Cesare Ripa aveva pubblicato a Padova nel 1625 per Pietro Paolo Tozzi il suo famoso Trattato d'Iconologia: alla voce Superstizione si vede chiaramente una donna attorniata da tre uccelli, come narra lui stesso nella descrizione dell'Allegoria:

« Una vecchia che tenga in testa una Civetta, alli piedi un Gufo da una banda, dall'altra una Cornacchia... »


Immagini come queste non erano solo reminiscenze classiche da polverosi eruditi.

Frantisek Kupka (un altro artista ceco!) disegnò nel 1901 una donna-uccello per illustrare un'inquietante poesia di Edgar Allan Poe: The Conqueror Worm.

Si alza il sipario.
La donna-uccello avanza con il ventre gravido...

« Mimi fatti ad immagine di Dio,
vocian fra loro o mormorano chiocci,
ed errano qua e là, meri fantocci,
in faticoso eterno tramestio
al vedere degli esseri spettrali
che muovon gli scenari ed i teloni,
e lasciano cader dalle grand’ali
le tenebrose maledizioni
. »


Non finisce qui.

Alberto Martini, artista veneto visionario con un debole per le streghe, realizzò nel 1915 un disegno molto esplicito:
gli occhi della civetta compongono un nudo femminile in cui il becco dell'uccello coincide con l'ano della donna...


I mostri delle vecchie superstizioni, in realtà, sono a noi più vicini di quanto sembri!

Nella Prefazione all'Opera grafica di Martini, edita nel 1975, Leonardo Sciascia motivava i suoi riferimenti demoniaci come reazione ad un ambiente cattolico opprimente...

« Che l'artista più misterioso, più decadente e più surreale dell'Italia post-unitaria; quello che più si svolge sotto i segni della carne, della morte e del diavolo

[...] che questo artista sia nato nella regione la più segnata dal cattolicesimo tridentino ed asburgico, a noi pare evento sufficientemente motivato se non addirittura ovvio.

La rivolta, come la bestemmia, non può che nascere da una condizione di divieti, paure e ossessioni di cui le religioni cristiane - anche quelle separatiste e protestatarie - son fitte » .


Note alle immagini ---

_La mostra, memorabile!, alle Scuderie del Castello di Miramare era "Il liberty e la rivoluzione europea delle arti", e di seguito ne riporto la locandina...



_L'insolito manifesto di Nechleba è riportato in Luca Quattrocchi, La secessione a Praga, L'editore, Trento 1990, p. 118.
La stessa immagine si trova pubblicata nel catalogo della mostra triestina a p. 236, nel capitolo conclusivo L'arte del manifesto, ma senza alcun commento.

_ La xilografia che illustra la trasformazione di Panfile nuda in gufo, è tratta dall'edizione veneziana delle Metamorfosi:
L. Apulegio tradotto in volgare dal Conte Matteo Maria Boiardo, in Vinegia, 1544.

_ Ho già citato la formella perugina con la strega-uccello in "Ambarabaciccìcoccò. Tre civette sul comò: storia di un maleficio" a p. 22.
La manipolazione degli uccelli da parte delle streghe è, a mio avviso, la chiave per capire le fornicazioni della figlia del dottore nella filastrocca italiana, ed i timori per la perdita di reputazione di una rispettabile figlia della borghesia.

_ L'edizione padovana di Iconografia del Ripa con le preziose xilografie è sempre consultabile su Google Libri.

_ Il disegno di Kupka con la donna-uccello si trova anche pubblicato in Lara-Vinca Masini, Liberty, Art nouveau, Giunti, Firenze 2009, p. 267.
Poche righe di commento su un personaggio, Kupka, descritto come « strano, meditativo, imbevuto di occultismo e di astrologia ».

_ Nel catalogo grafico di Martini, il disegno della 'donna-civetta' è menzionato con il titolo di FELINA e viene indicato come:
Litografia su pietra, mm. 123 x 85.

Cfr. Francesco Meloni, L'opera grafica di Alberto Martini, prefazione di Leonardo Sciascia, SugarCo Edizioni, Milano 1975,
p. 138.


◉ Sull'equivalenza donna-strega:

Atena era una strega? La tribù della civetta e le maschere rituali.

◉ Sul dominio della sessualità, e il controllo delle nascite, attribuito alle streghe:

Le streghe e gli aborti: il Noce che rende libere.

◉ Sulle streghe accusate di far sparire i bambini, vedi:

Lo darò al diavoletto / Che lo tiene un mesetto: cantilene stregate.


Note al testo ---

[1] Il nome « Manes » la dice lunga sugli intenti culturali del circolo praghese.
In latino, Manes sono le anime dei defunti.
Diversamente dalla Secessione viennese (i cui esponenti desideravano accantonare le tradizioni), gli esponenti di Manes volevano imporre la cultura modernista attraverso la riscoperta delle antiche radici boeme.
Il «romanticismo epico-slavo» di Manes è alla base della «propagazione del modernismo in Boemia» .

Cfr. Quattrocchi in La secessione a Praga, Op. cit., p. 23.


[2] Cfr. Apuleio, Le Metamorfosi o l'Asino d'oro, traduzione di Claudio Annaratone, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997, p. 205.


[3] Un fine linguista come Mario Alinei dedica a questa cruciale affinità una delle parti culminanti del suo famoso studio in due volumi sulla Teoria della continuità:

« Come è noto, il latino auca "uccello, oca", da avica (cfr. avicellus > uccello), si collega all'italiano oca e al francese oie "oca".
Ora, il personaggio fiabesco che da il nome alla famosa raccolta di Perrault, ma mère l'oie "mamma l'oca", sembrerebbe indicare che avica poteva significare non soltanto "piccolo uccello", ma anche "piccola antenata". »

Cfr. Alinei, Origini delle lingue d'Europa, Il mulino, Bologna 2000, p. 636.


[4] Cfr. Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, 1887-1904. Editore Boringhieri, Torino 1986, p. 257.

domenica 15 aprile 2018

Spine, chiodi e sangue: l'estetica macabra di una superstizione.


Sfogliare libri d'arte è il mio trastullo preferito:
capita spesso di trovarci spunti imprevisti!

È il caso di questo 'paramento sacro' del 1904 dal Taideteollisuusmuseo di Helsinki : autore l'architetto e disegnatore finlandese Armas Lindgren...


Il bello è che l'opera non sembra avere niente di 'sacro'!
Dov'è la croce? Dov'è il rosario?

Si vede solo una struttura fitomorfa guarnita di spine che termina in un cuore. In basso, tante roselline grondano sangue.

I nostri parametri estetici non sono più quelli di cento anni fa, così come il nostro senso del sacro.
Le spine e le rose erano molto presenti agli inizi del secolo scorso nell'immaginario decorativo europeo.

A Perugia, camminando per via Alessi, ho trovato sopra un portone di civile abitazione uno dei tanti lavori in ferro battuto che raccontano la suggestione della rosa e delle spine.
Anche qui niente di sacro, a prima vista!



Tanti aculei coronano una rosa.
È un'estetica che afferriamo a fatica, oggi che l'immaginario rurale è così distante dal nostro sentire.

Se diamo un'occhiata al frontespizio della rivista di devozione ritiana "Dalle api alle rose" edita nel 1950, troveremo la stessa immagine con un chiaro rimando religioso.

Rita contempla le api che svolazzano sopra la sua testa.
Secondo la leggenda narrata dal Cavallucci, proprio quelle api l'avrebbero trafitta da piccola nella culla [1], presagio del sommo supplizio della spina che Le si conficcò anni dopo sulla fronte mentre era in contemplazione di un Crocefisso!

Nel controfrontespizio del giornalino troviamo la famosa Rosa con le spine, emblema del culto ritiano...



Guai a credere che queste rose siano solo frutto di una suggestione estetica!

Tutti gli aculei, dalle spine ai chiodi, evocano le sofferenze umane e il loro uso nella stregoneria non era affatto simbolico.

Paolo Bartoli in un libricino di qualche anno fa parla della "magia delle punte", e tratteggia le origini arcane di questo rito...

« La "magia del ferro" e la "magia delle punte" sarebbero dunque confluite a creare la "magia del chiodo", coniugando la forza apotropaica del "toccare ferro", con quella degli strumenti appuntiti (spilli, coltelli, forbici aperte, forconi o tridenti, ecc.) che da tempo immemorabile sono stati usati come armi rivolte contro le streghe, gli spiriti maligni ed altri esseri malefici [2]. »

Inchiodare il male equivale a disinnescarlo.
All'inizio del secolo scorso, e in particolare nei paesi di lingua tedesca, l'inchiodatura era ancora un potente mezzo di scongiuro.

L'eco di quella febbre collettiva per i chiodi era giunto alle orecchie dell'eccentrico collezionista perugino di amuleti Giuseppe Bellucci, che un anno dopo la fine della Grande guerra inaugurava il suo libro sui chiodi raccontando di una statua inchiodata propiziatoria, eretta anni prima nella piazza del Municipio di Trieste per raccogliere fondi da destinare agli orfani dei soldati austriaci caduti.

Le autorità triestine invitavano ad infilzare più chiodi possibile nella statua!

Bellucci così scriveva...

« Ad iniziativa della famigerata Società Austria, nel giorno suindicato [20 luglio 1916, anniversario della gloriosa battaglia navale di Lissa, in cui gli austriaci avevano umiliato lo schieramento italiano nella Terza Guerra d'Indipendenza, n.d.a.], nella piazza Grande di Trieste, di fronte al Palazzo municipale, veniva pertanto inaugurato con grande sonennità un monumento in legno, alla presenza delle autorità civili e militari e con l'intervento dei Consoli dei Paesi alleati all'Austria.

[...] Ma perché codesto monumento fu costrutto in legno e non, come di solito, in marmo od in bronzo?

[...] Il proclama dell'inaugurazione invitava con parole ampollose la popolazione Triestina, non solo a battere molti chiodi sul marinaio austriaco, ma soggiungeva che rappresentando esso la potenza dell'Austria sul mare Adriatico, era dovere di ogni buon Triestino di manifestare, almeno con un chiodo battuto, tutto il fervore del patriottismo, inteso alla maniera dell'Austria dominatrice [3]. »

Di questa insolita 'raccolta fondi' -almeno per noi che non siamo più legati alle vecchie superstizioni- si è conservata una testimonianza preziosissima alla Biblioteca Civica Attilio Hortis di Trieste!



Foglietti come questo venivano rilasciati a tutti coloro che versavano l'obolo per inchiodare la statua.
Si legge sulla matricola:

« Il proprietario di questo foglio, inscritto nella madre sotto il
Numero... 15414


battendo un chiodo di ferro nel Marinaio in ferro, ha contribuito ad un'opera eminentemente patriottica ed umanitaria perché il ricavo andrà ad incremento dell'I. r. Fondo di provvedimento per le vedove ed orfani di militari di questa città
. »


➔ Sul ferimento del dio e agiografia di santa Rita ---

Il feticcio inchiodato --- indagine sul mito di Santa Rita.

San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria


Note alle immagini in apertura e in chiusura ---

_Ho tratto la prima immagine qui pubblicata dal bel catalogo sull'Art Nouveau di Gabriele Fahr-Becker, edito per Konemann, Koln 1999, in Scandinavia: coscienza nazionale alla "luce del Nord", p. 298.

_La matricola di cui qui riporto uno scatto, si trova presso la Biblioteca Hortis con la seguente collocazione:
R.P.Misc. 0200 00800.


Note al testo ---

[1] Al monastero casciano è presente un dipinto anonimo in cui la boccuccia della piccola Rita è dipinta « come una ferritoia aperta all'esterno », dove le api entrano in processione.
Per il quadro che illustra l'episodio, vedi il post :
Il feticcio inchiodato ---indagine sul mito di Santa Rita
.

Cfr. anche Breve racconto della vita e dei miracoli della beata Rita: dipinti del 17° secolo del Monastero di Santa Rita da Cascia, testi di Pietro Amato, Mario Bergamo, Toti Carpentieri, Terni 1993.

[2] Cfr. Bartoli, Tocca ferro : le origini magico religiose delle superstizioni su fortuna e sfortuna, Protagon, Perugia 1994, pp. 127-128.

[3] Cfr. Bellucci, I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, Perugia, 1919, pp. 2-4.


Post correlato sugli idoli infilzati ---

Del potere di trafiggere gli idoli nella cultura tribale, e delle analogie di questa cultura con certe raffigurazioni medievali, ho parlato in San Sebastiano e i feticci inchiodati della Stregoneria.

giovedì 25 gennaio 2018

Una guerra tra 'Poveri': quando si faceva a gara per vivere di elemosine.




Dario Fo aveva ribattezzato san Francesco "il giullare di Dio", e non aveva così torto!

Le sceneggiate sulla pubblica piazza a cui il figlio del più ricco mercante di Assisi ricorreva per farsi pubblicità, erano memorabili.

La Leggenda perugina [1] ci narra il dietro le quinte di un vero pezzo di teatro, quando Francesco impartì istruzioni nel chiuso della Cattedrale di Assisi ai suoi frati su come dovessero fingere di punirlo davanti al popolo, per aver sorseggiato del brodo di carne!

« Allora il beato Francesco si tolse la tonaca e ordinò a frate Pietro [Cattani, il primo compagno] di trascinarlo così nudo davanti al popolo, con la corda che aveva al collo. A un altro frate comandò di prendere una scodella piena di cenere, di salire sul podio dal quale aveva predicato e di là gettarla e spargerla sulla sua testa.

[...] Frate Pietro si mise a trascinarlo, conforme al comando ricevuto, piangendo ad alta voce assieme agli altri frati. Quando fu arrivato così nudo davanti al popolo nella piazza dove aveva predicato, disse: "Voi credete che io sia un sant'uomo [...] Ebbene, confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità mi sono cibato di carne e di brodo di carne".

Quasi tutti scoppiarono a piangere per pietà e compassione verso di lui, soprattutto perché faceva molto freddo ed era d'inverno, e lui non era ancora guarito dalla febbre quartana
. » (ff 1610)

Francesco aveva la stoffa del grande attore.
Ma quando qualcuno gli rubava la parte, andava su tutte le furie!

Tommaso da Celano nella Vita Seconda ci racconta la reazione scomposta del Poverello quando seppe che due frati si erano fatti crescere la barba, tutto per simulare una condotta più austera della sua...

« Gli fu riferito un giorno che erano stati ricevuti dal vescovo di Fondi due frati, i quali, sotto pretesto di un maggior disprezzo di sé, coltivavano una barba più lunga del conveniente.

[...] Il santo si alzò di scatto e levando le mani al cielo con il volto inondato di lacrime, proruppe in queste parole di preghiera o piuttosto di maledizione: " [...] Da te, o Signore santissimo, e da tutta la curia celeste e da me tuo piccolo siano maledetti quelli che con il loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo tu hai edificato " » (ff 740)

Francesco temeva sempre che qualcuno gli sfilasse lo scettro di Re dei Poveri!

Ma le vere insidie al Poverello venivano dal fronte esterno: il Duecento era pieno di finti cenciosi.

Tra loro c'era anche una curiosa compagnia di sbandati-organizzati, che avevano un vero nome da battaglia: i "Saccati".

Il frate parmigiano Salimbene de Adam [2] nella sua Cronaca li descrive con uno strisciante disprezzo, lamentandosi del pauperismo facile di questi copioni che scimmiottano i frati, minacciandone il primato...

« [...] e chi vuole si mette un cappuccio e si fa una nuova Regola da religiosi mendicanti [2].
Questi subito si moltiplicarono di numero, ed erano chiamati con ironia e malizia "boscaioli".

Passato del tempo si fecero degli abiti non più di lana grezza, ma di lino, e sotto avevano tuniche ottime, al collo invece un mantello di sacco e perciò furono chiamati "Saccati".

E si fecero dei sandali alla maniera dei frati minori.
Poiché tutti quelli che vogliono inventare un nuovo Ordine e una nuova regola, sempre mendicano qualcosa dall'Ordine del beato Francesco, o i sandali o la corda o anche l'abito
. » (ff 2656)

La 'guerra tra Poveri' che frate Salimbene descrive in questo passo, non dipendeva da esibizionismo fine a se stesso.

Essere riconosciuti dal Papa con un privilegio era un vero affare!
Significava avere diritto a ricevere donazioni dai laici, anche molto ingenti.

Non a caso Salimbene conclude la sua descrizione dei "Saccati" accennando al Privilegio di Povertà, concesso dal Papa ai frati per tutelare il 'copyright' di Francesco...

« Ma ora l'Ordine dei frati minori ha ottenuto un privilegio papale che fa divieto a chiunque di portare un abito per il quale possa essere ritenuto frate minore. » (ff 2656)

Fine della concorrenza!


Nota sull'immagine in apertura ---

L'affresco qui pubblicato proviene dalla chiesa di Santa Maria in campis presso Foligno, e raffigura San Tommaso Apostolo attorniato dai poveri, che fanno ressa intorno a lui chiedendo l'elemosina.


Nota sulle Fonti ---

[1] La Legenda Antiqua Perusina, più nota come Compilatio Assisiensis o per segnatura come MS 1046, fu scoperta solo ai primi del '900 dal padre francese Ferdinand Delorme in un deposito della Biblioteca Augusta di Perugia.


In Augusta il prezioso manoscritto era finito con la demaniazione del patrimonio ecclesiastico; il timbro di Provenienza « Bibliothecae Montis Perusiae » è ancora ben leggibile sul bordo inferiore...



Delorme presentò la sua scoperta nel 1926 in occasione del famoso Centenario francescano in un libro: La legenda antiqua sancti Francisci, texte du ms. 1046 de Perouse, edite par le p. Ferdinand Delorme, Paris : Editions de la France franciscaine.
Sotto, il frontespizio dell'Opera e il passo qui citato...




Recentemente padre Marino Bigaroni ha riordinato il testo del Delorme, cambiando anche il nome del documento da Legenda Antiqua Perusina a Compilatio Assisiensis, perché a suo dire era:

« l'unico testo che noi abbiamo sicuramente assisano di queste tanto ricercate fonti primitive, scritto e riposto in quell' "armario", che allora dovette essere anche l'archivio più autorevole dell'Ordine. »

L'episodio della punizione di Francesco [Delorme, 39] si trova in Bigaroni al paragrafo [80].
Cfr. Bigaroni, San Francesco d'Assisi dagli scritti dei suoi Compagni: compilazione d'Assisi dal ms. 1046 di Perugia,
Edizioni Porziuncola, 1987.


[2] Frate Salimbene racconta la concorrenza spietata tra 'poverelli' per diritto divino e finti poveri, anche in un altro passo della sua Cronaca:

« [...] quanti vogliono indossano un cappuccio e si mettono a mendicare, gloriandosi di aver fondato un nuovo Ordine.
Ne viene una grande confusione nel mondo, perché i secolari ne restano gravati, e per quelli che si affaticano con la parola e con lo studio
[cioè i frati, n.d.a.], per i quali il Signore ha stabilito che vivano del Vangelo, non ci sono elemosine bastanti. » (ff 2630)


Post correlato sulla Povertà ---

Mi ero già soffermato sull'ostentazione del pauperismo tra i frati.
Vedi il post:
Poveri beati & Poveri sfigati: san Francesco e i suoi 'colleghi' straccioni .

Nota sulla traduzione ---

Per i testi delle agiografie seguo sempre le Fonti Francescane, Editrici Francescane, Padova 2004.