mercoledì 2 dicembre 2009
La Madonna a Tre Teste: dove eravamo rimasti?
Nel post di settembre avevamo analizzato un affresco duecentesco con la misteriosa Madonna a Tre Teste in trono sulla facciata della chiesa abbazia di San Pietro a Perugia.
Ora qualcuno potrebbe venirmi a dire: “curioso l’affresco della Madonna a tre teste, sì. Ma cosa c’entra con la dea greca Ecate?”
Come ho già spiegato parlando della stregoneria francescana, sia in questo blog che nel libro, noi moderni abbiamo un’idea fuorviante della società medievale non solo perché gli uomini che la animarono non sono più fra noi, ma perché non è più sotto i nostri occhi il loro paesaggio visivo. L’abbazia di san Pietro a Perugia ne è un caso lampante; fagocitata oggi entro le mura cinquecentesche e accerchiata dal palazzinarismo postunitario [foto in basso], il monastero benedettino non ci appare più per quello che era agli inizi, cioè un corpo isolato immerso in una vegetazione impenetrabile, ma sembra quasi una chiesa urbana, circondata dai monumenti e dai giardini di una città famelica, affamata di spazi, una città di cui nulla sapevano i perugini del MedioEvo, e a maggior ragione i loro antenati etruschi.
1100 metri. Tanto distava la primitiva chiesa di san Pietro dalle mura etrusche, al punto che fino al primo Rinascimento l’abbazia svettava ancora solitaria in mezzo a un fitto boschetto in cima al Monte Caprario. Ma perché costruirla nel 900 d.C. in un luogo tanto desolato, nominandola addirittura prima cattedrale [fuori le mura] di Perugia? Proviamo a ipotizzare per un attimo che questo angolo dell’acropoli, oggi schiavo del traffico cittadino, non fosse un sito tanto sconosciuto nella Perugia etrusca… Ci viene incontro Giovanni Feo, studioso controcorrente di etruscologia e antiche usanze.
“Al termine dell’Era ‘megalitica’, gli Etruschi e i Celti furono i popoli che conservarono e diffusero in Occidente le antiche tradizioni relative al Bosco Sacro. […]
Comunque fu un bosco sacro ad essere il maggiore luogo di culto ed il simbolo centrale della tradizione etrusca, e una prestigiosa selva il centro di riunione annuale dei Lucumoni delle dodici città confederate, presidio inespugnabile a difesa e a protezione magica dell’Etruria. […]
Si potrebbero trovare ancora altre sorprendenti ‘coincidenze’ tra la tradizione etrusca e quella celtica ma, in questa sede, sarà sufficiente l’aver accennato a tali prospettive ricordando solo che l’etimologia più accettata della parola Lucumone viene fatta risalire al greco lukòs (bosco) e quindi il Lucumone sarebbe propriamente un ‘sacerdote del bosco’, così come il termine druido, dal greco drùs (quercia), potrebbe tradursi con ‘sacerdote del bosco di querce’.”
Cfr. G. Feo, Dei della terra : il mondo sotterraneo degli etruschi, pp. 101-105.
È molto probabile quindi che, se questo luogo era sacro fin dall’età antica, il Lucumone di Perugia tenesse qui in zona le sue cerimonie, in mezzo alla selva che ancora nel Medioevo cingeva la chiesetta con la sua Madonna tricefala affrescata. Non conosciamo in modo approfondito il pantheon etrusco, i romani l’hanno spazzato via dalla storia e la mancanza di una mitologia propria ci preclude ogni possibilità di dare un nome all’antenata pagana di quella curiosa Madonna trifronte. Per accostare una tradizione magico superstiziosa all’altra, pertanto, dobbiamo fare quasi un salto nel buio, affidandoci al filtro della credulità medievale in cui tradizioni ctonie come quelle italiche ed etrusche si fondevano facilmente all’immaginario della tradizione greco-romana. Nel mondo greco esiste un precedente simmetrico della Madonna di san Pietro, e cioè la dea Ecate, che non solo era tricefala (a simboleggiare le tre fasi lunari) ma regnava anche sull’Oltretomba. Attributo per cui, specie nella versione italica, la figura di Ecate venne sempre più a coincidere con la pratica della magia e il suo culto in breve fu associato ai boschetti sacri, come quello attiguo al lago Alverno in Campania, teatro di riti stregoneschi a lei dedicati.
Visto che la funzione principale del monaco in età altomedievale era quella di sottrarre campagne e foreste al fronte pagano, combattendo superstizione e stregoneria, l’esistenza di questa abbazia sarebbe giustificata a pieno.
Ma se è lapalissiano che il luogo dove sorse poi l’abbazia perugina di san Pietro era immerso nella vegetazione, e se non è affatto improbabile che in questa selva già i sacerdoti etruschi di Perugia officiassero riti, c’è un terzo elemento, l’Oltretomba e l’attributo di dea degli Inferi di Ecate, che ancora non riusciamo ad associare a questo affresco della Vergine. Dove sorse l’abbazia con l’affresco della Madonna a tre teste c’era in origine un folto bosco, ok, ma come la mettiamo invece con il sottosuolo e i misteri dell’al di là legati alla dea degli inferi Ecate?
La risposta si trova ovviamente sottoterra, o meglio, sotto il livello della chiesa attuale.
Sì, perché è giunto il momento di scendere nei sotterranei dell’abbazia di san Pietro per scoprire una cella adibita al culto nei primi secoli cristiani, secoli e secoli prima dell’erezione del monastero…
Al prossimo post!
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3 commenti:
Sto seguendo questi post con molta partecipazione. Ti prego di non farci attendere un altro mese per il prossimo!
Volevo chiederti una cosa: io non mi intendo di iconografia sacra dell'epoca dell'affresco. Quindi non so se quelle tre figure hanno evidentemente degli attributi femminili per la dolcezza dei lineamenti o era quello il modo di rappresentare il divino. Quel che vedo, comunque, è che queste tre figure hanno la barba. Un tentativo di mascheramento, forse?
Spero potrai rispondermi, magari portandomi altri esempi in cui lo stesso personaggio (Dio, se non la Trinità) è raffigurato negli stessi anni, nello stesso stile ma in modo decisamente maschile.
Grazie.
Carissimo [mi mantengo su un banale "carissimo" non sapendo il tuo nome],
io che l'affresco presente nel chiostro dell'abbazia di San Pietro l'ho visto da vicino, e osservandolo da svariate posizioni, posso dirti che solo il volto di sinistra ha certamente la barba e presenta dei connotati maschili; anche se, nel caso specifico, più che di barba si dovrebbe parlare di un leggerissimo pelo che affiora lungo il mento, quasi che l'affrescatore abbia avuto dei tentennamenti nella realizzazione dell'opera, o vi abbia apportato in corsa delle modifiche.
Per essere più chiaro ed esaustivo ti invito a seguire i prossimi post, quando inserirò delle raffigurazioni con l'iconografia tradizionale del Vultus trifrons, dove la barba risulta talmente marcata e fluente da non lasciare adito a dubbi, mentre l'affresco di Perugia risulta chiaramente equivoco. Per quanto riguarda il materiale, non appena avrò del tempo lo inserirò, diciamo che dovresti trovarlo "sotto l'albero"...
Un saluto e un grazie per il tuo vivo interesse,
Andrea
non so perché il commento è stato lasciato con questo account Google...
comunque sono Valerio, lo stesso che ha scritto due post fa.
Ad ogni modo, l'indirizzo a cui puoi rispondere è
info@deaecate.it
Ciao :)
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